martedì 30 giugno 2009

Gay Pride a Genova

28 giugno 2009

Gay Pride Genova: Luxuria, Grillini, Don Gallo. Tutti al corteo
Sabato 27 giugno a Genova danze, musica a tutto volume, colore e sorrisi. Alla manifestazione c'erano Luxuria, Grillini, don Gallo, Concia, Della Vedova.

Di Francesca Baroncelli (mentelocale.it)

GENOVA, 27 GIUGNO 2009
Gay Pride di Genova: dopo il corteo, tutti in piazza De Ferrari. Sul palcoscenico le associazioni che hanno aderito alla manifestazione hanno parlato di diritti e libertà. «Questa è una piazza piena di Princesas», ha esordito la presentatrice e madrina del Pride Vladimir Luxuria. La canzone di De André, Princesa, è stata scelta come inno della manifestazione. Quello di De Ferrari è stato un palco politico: «speriamo che la Carfagna venga sfiorata dall'idea che le coppie omosessuali hanno gli stessi diritti di quelle etero», ha incalzato Luxuria.In molti si chiedevano se la Sindaco Marta Vincenzi sarebbe salita sul palco. L'ha fatto e ha dichiarato: «questa è una manifestazione straordinaria. Ringrazio i tanti genovesi che hanno accompagnato il corteo. Essere qui è impegnativo, perché significa che non finisce qui. Questo Pride è stato solo un inizio».
Insieme a Luxuria, a De Ferrari c'era un'altra madrina d'eccezione. Lella Costa era entusiasta: «questa piazza fa bene al cuore. Il tema dei diritti riguarda tutti noi. Ora Genova può avviare un nuovo percorso, dopo il periodo buio iniziato il 21 luglio di otto anni fa: dopo il G8 la città si è finalmente riscattata».
Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay ha chiesto al pubblico: «entrate in Arcigay per cambiare le cose. Dobbiamo essere uniti per dire a Mara Carfagna e a Ratzinger di non illudersi: noi ci saremo sempre».
Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, ha ricordato che «non abbiamo mai visto un Pride in diretta sulla Rai. Ma il Family Day è stato trasmesso. Chiediamo la par condicio».
Il saluto finale è toccato a Lella Costa: « quando tornate nelle vostre case, fate una carezza ai vostri figli, e dite loro che questa è la carezza del Pride».
Tanta tanta gente (200 mila persone) in corteo. Tanti etero, tante famiglie, tanti bambini. E naturalmente quel popolo LGBTQI (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali) che con il Gay Pride chiede diritti e rispetto.
Sabato 27 giugno a Genova danze, musica a tutto volume, colore e sorrisi. I 20 carri che animano il corteo sono carichi di messaggi: Lezioni d'ironia contro l'omofobia, recita quello lombardo; Vogliamo godere dei nostri diritti, si legge sul carro di Arcilesbica; Non siamo fantasmi, ma palloncini colorati sul trenino delle Famiglie Arcobaleno, carico di bambini. E poi ci sono i Cuerpos libres del carro dei gay e trans migranti.
Genova c'è: le strade del corteo sono stracolme e Vladimir Luxuria, madrina del Pride nazionale 2009, non se ne stupisce: «sapevo che Genova avrebbe risposto con grande calore. La cosa che più mi colpisce è la forte presenza degli etero, che si mescolano con gli omosessuali, camminano con loro. Oggi in Italia noi non ci sentiamo rappresentati e il Pride è un modo per far sentire la nostra voce».
Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, è accanto a Luxuria al capo del corteo: «quello di Genova è stato annunciato come un Pride politico, ma tutti i Pride sono politici. Questo lo è di più, perché oggi in Italia le cose vanno sempre peggio a causa di tutte le violenze di cui abbiamo notizia ogni giorno. Questo Pride lascia un'eredità: il Comitato Genova Pride che non morirà, ma continuerà a portare avanti le sue iniziative contro l'omofobia».
C'era anche don Andrea Gallo, che ha partecipato al Pride con il carro della Comunità di San Benedetto al Porto: «ciò che conta è la libertà e l'amore. Questo Pride vuol dire basta all'omofobia che in Italia imperversa. Dov'è il Ministro delle Pari Opportunità? Anche alla Chiesa chiedo un dinamismo nuovo: non si può non rispondere alle richieste della comunità LGBTQI. L'Italia è una repubblica democratica e laica; c'è libertà di coscienza e religiosa. È necessario ripartire dai diritti di tutti, per passare dalla solitudine alla festa».
Anna Paola Concia, è una delle quattro politiche arrivate a rappresentare il Pd al Pride. Tra le altre, Roberta Pinotti. E gli uomini dove sono? «Sono omofobi!», risponde Concia, che continua: «in Italia stiamo tornando indietro. Bisogna uscire in piazza».
In corteo c'è anche il deputato del Pdl Benedetto Della Vedova: «rappresento Pdl e PPE (Partito Popolare Europeo) e difendo i diritti delle coppie omosessuali. Rappresento anche gli elettori omosessuali». E i DiDoRe? «Sono un piccolo passo nella direzione dei diritti».
Per il filosofo e politico Gianni Vattimo, che ha seguito il corteo fino a piazza Corvetto, questo non era il primo Gay Pride: «questa è stata una manifestazione più politicamente consapevole rispetto a quelle a cui ero abituato. Le stravaganze e il folklore sono state messe in secondo piano».


Gay Pride, la festa dei 200 mila in corteo

Luxuria: "Da oggi tutti un po' genovesi"
Luxuria superstar, curiosità e divertimento battono la diffidenza. Vattimo: "Il Pride è diventato meno pittoresco ma più politico. E del resto il movimento omosessuale deve fare politica". I trans del ghetto al sindaco: "Vogliamo un incontro per dirle che dai bassi non ce ne vogliamo andare perché la nostra storia è lì"

di Wanda Valli

Per rivendicare i diritti, per essere "l´Italia che fa la differenza", lo slogan che hanno scelto. Così, commenta Gianni Vattimo, filosofo e politico, ieri sera a De Ferrari, il «Pride è diventato molto più politico che pittoresco, e del resto ormai il movimento omosessuale, deve fare politica». A modo suo, certo, con le sue icone, come Valdimir Luxuria, ammiratissima, in testa al corteo con sandali viola e abito beige. Lei che sottolinea il feeling con Genova: «È un Pride a cui questa città ospitale, pronta a accogliere le nostre richieste, partecipa con il sorriso e non con uno sguardo di distacco morboso». È proprio così, c´è curiosità, ci sono le foto, soprattutto a Luxuria, c´è qualche smorfia, ma niente di più dalla città, per un giorno diversa, che si limita affrontare l´invasione con consigli via telefonino sulle strade alternative da percorrere. «Mai vista tanta partecipazione da almeno sette anni», commenta Riccardo Gottardi, segretario nazionale Arcigay. E gli altri, da Aurelio Mancuso che di Arcigay è il presidente, ad Alberto Villa, uno dei portavoce, concordano. Il clima di festa si intuisce subito, nel primo pomeriggio, sulla metropolitana invasa da ragazzi e ragazze, soprattutto, giovanissimi, che si rovesciano fuori a Principe, dove già c´è musica, ci sono i carri, c´è gente. Qualcuno si accosta a un muretto per truccarsi, le ragazze infilano parrucche rosa, gialle, bluette, arancioni; molte indossano, come fosse un pareo, la bandiera dal Pride 2009, con i colori dell´arcobaleno della pace, qualcun altro l´ha trasformata in una bandoliera. Palloncini colorati sui carri e poi musica: "I will survive" canta Gloria Gaynor, qualcun altro sceglie "Pop Porno" o gli anni Sessanta. Sul carro della comunità di San Benedetto al porto c´è Fabrizio De André, con i versi della "Canzone del Maggio", e sopra ci sono loro, i trans del Ghetto che escono fuori per la prima volta, da quarant´anni.
Alla sera arrivati a De Ferrari, avvertono il sindaco, Marta Vincenzi: «Verremo a chiederle un incontro perché dai bassi non ce ne andiamo, la nostra storia è lì». Si sente male una trans, proprio sul carro di San Benedetto, e viene ricoverata in ospedale; la voce risale lungo il corteo che sembra lambire Genova, accompagnarla. In mezzo, un po´ staccata dagli altri, c´è una trans metà diavolo e metà angelo, un´altra assomiglia a un angelo nero di velo e piume. C´è il gruppo degli Omosessuali Cristiani, di Milano, con striscione, e Gianni spiega: «La Chiesa non è tutta così, solo una parte della gerarchia, ma anche a Genova non abbiamo avuto problemi». A Genova c´é don Gallo in prima fila, c´è il cardinale Bagnasco che non ha lanciato anatemi. In piazza i cartelli di protesta. Uno per esempio si chiede: «Se Silvio e Noemi si possono frequentare, perché Paolo e Antonio non si possono sposare?». All´inizio di via XX Settembre, è il silenzio, per «la morte della libertà in Iran». Il silenzio regge, da Luxuria a Lella Costa che si è unita al Pride a Brignole, a tutti gli altri. All´altezza del Ponte Monumentale, si spezza con l´urlo collettivo "Libertà-massima", ancora su fino a De Ferrari, insieme con i politici che si sono mescolati agli altri, assessori e senatori, gente del Pd, del Pdci, di Sinistra e Libertà, di Rifondazione. Poi, nella piazza simbolo di Genova, prima del saluto del sindaco, il "grazie" alla città.

giovedì 18 giugno 2009

''L'Idv a Torino: tanti ragazzi pochi tromboni''. ''Ceto medio, riflessivo, attento per niente leghista di sinistra''


Ecco un'intervista, fattami da Mario Baudino per La Stampa e pubblicata il 9 giugno. Prima di sapere che sarei finito al Parlamento.

''L'Idv a Torino: tanti ragazzi pochi tromboni''. ''Ceto medio, riflessivo, attento per niente leghista di sinistra''
Ho visto soprattutto giovani militanti. Potevano essere miei allievi, ma non solo. Non necessariamente studenti. Nella campagna elettorale ho incontrato molto più gente di base, di quanto mi sarei aspettato». Gianni Vattimo, da Gadamer a Di Pietro, è il quarto per preferenze nell'Idv: dovrebbe farcela grazie al gioco delle rinunce; mette in chiaro subito che ha una gran voglia di andare al Parlamento europeo.
«Me lo sono meritato», dice, «E con tutto il rispetto, sono uno dei pochi indipendenti. E dei pochi di sinistra».
Professore, come ha visto l'Idv?
«Qui in Piemonte attraverso Buquicchio e Porcino. Molto amichevoli, nonostante l'indipendente possa essere accettato con difficoltà. Ho incrociato il partito abbastanza per rendermi conto che è composto da persone di cui non mi devo certo vergognare, e così spero loro di me. Anche se in politica non si sa mai, non si può mai giurare».
E che cosa ha capito?
«Che ci sono moltissimi giovani, ma non solo. Ho scoperto per esempio Giorgio Shultze, col suo ''movimento umanista''. E' un ingegnere, parla sempre di quelle cose lì che non ricordo mai, il fotovoltaico, le pale a vento. Molto preparato, buon oratore. Siamo andati davanti ai cancelli della Fiat e c'erano tanti ragazzi che distribuivano i suoi materiali. Sono contento di aver conosciuto questa gente».
E gli intellettuali? Da Roma a Trieste, hanno scelto Di Pietro in tanti, da Camilleri a Magris. A Torino ha visto qualcosa di simile?
«Credo che a Roma ci sia stato il traino della rivista Micromega. Comunque sia, sugli intellettuali non mi pronuncio. Qualche mio amico mi ha promesso il voto, ma vai a sapere, in genere sono abbastanza rognosi, alla fine scelgono Rifondazione. Per esempio: due storici come Beppe Sergi e Giuseppe Ricuperati mi avranno votato? Chissà. Che io sappia non c'è stata aggregazione».
Le spiace? «Un po' sì. Un'amica aveva organizzato un aperitivo in mio onore con tanti professori. Una buona metà ha continuato a ripetere che avrebbe votato Rifondazione. E allora dico, andate un po' a quel paese».
L'Idv resta popolo?
«Popolo? Sì, forse. Ho girato molti mercati; però avevo più seguito in quelli di Torino centro che non in periferia. Anche questo vorrà dire qualcosa».
Mercati «colti», intende?
«Mercati frequentati da un certo tipo di persone. Ho anche mandato una gran quantità di lettere insieme a Porcino, che è un vero boss, ha un vasto seguito tra i calabresi. Qualche volta mi sono trovato un po' fuori posto».
Per esempio?
«Per il clima, la compattezza regionale. Un po' di folklore».
Qualcuno vi ha presi in giro parlando di un partito «cafone».
«Neanche per sogno. Tutti incravattati, a parte i giovani che si vestono da giovani, cioè da barboni. L'unico che fa il cafone per prendere voti è Di Pietro. Ho trovato ambienti raffinati, per esempio a Luino».
Sul lago. Ma a Torino?
«Ceto medio riflessivo. Niente ''leghismo'' inteso come atteggiamento; starei per dire purtroppo».
Di sinistra?
«Non proprio. Anche se quelli che ho incontrato nelle periferie provenivano dalla sinistra. A Venaria c'è un ragazzo bravissimo, si chiama Donzella. Grande organizzatore. Ma le apparenze contano poco, ormai. Un volontario che mi faceva da autista - è anche mio parente - si e' rivelato fine conoscitore dei migliori vini e dei migliori ristoranti».
L'Idv le e' piaciuta?
«Nel '99 giravo per le sedi del Pds, e incontravo quasi solo funzionarietti. Qui c'è al più una segretaria assunta e pagata per tenere aperta la sede. Qualcosa vorrà dire».

lunedì 15 giugno 2009

Roma, Presentazione di "Addio alla verità"


Presentazione del volume Addio alla verità
di Gianni Vattimo,
edito dalla Meltemi

Venerdì 19 giugno alle ore 18,
"la Feltrinelli" di piazza Colonna,
galleria Alberto Sordi, Roma.

Insieme all'autore, saranno presenti:

Alberto Abruzzese (Docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l'Università IULM di Milano)
Giacomo Marramao (Docente di Filosofia politica presso l'Università degli Studi Roma Tre)
Corrado Ocone (Responsabile della Luiss University Press. Giornalista per il quotidiano Il Mattino)

Scheda del libro:

http://www.meltemieditore.it/Scheda_libro.asp?Codice=Y087

Due letture

Due proposte di lettura... l'Europa torna di moda!

La lezione verde di Cohn-Bendit
Mario Monti, 14 giugno 2009, Corriere della Sera

Come vivono, gli europei, la crisi economica? Ha an­cora senso che l’Europa punti allo «svilup­po sostenibile»? Può anco­ra permettersi questo «lus­so »? I risultati delle elezio­ni europee offrono indica­zioni in proposito. Da anni la Ue si è data l’obiettivo dello sviluppo so­stenibile: crescita economi­ca, ma accompagnata da conseguenze sociali accetta­bili e condotta nella tutela dell’ambiente.
Con la crisi, ci si poteva attendere che l’ambiente scendesse di priorità, con perdite per i partiti ecologi­sti; e che la situazione socia­le favorisse le sinistre. E’ av­venuto il contrario. I Verdi — in particolare in Francia, ma anche in Germania e al­trove, con l’eccezione del­­l’Italia — hanno avuto una vistosa affermazione; le si­nistre, un pesante insucces­so. Questo risultato è stato oggetto di molte analisi. Ma non se ne è pienamente colta la connessione con il modello di integrazione fi­nora seguito dalla Ue.
La protezione sociale, il welfare, sono funzioni svol­te dagli Stati membri. A li­vello comunitario, viene in­vece coltivata l’integrazio­ne, fondata sul mercato uni­co. Questa è essenziale per la crescita e per l’occupazio­ne. Ma i cittadini vedono un’Europa che, mentre im­pone il rispetto delle regole del mercato, non «offre» il sociale. A farlo, sono gli Sta­ti. L’Europa, se mai, rende difficile questa funzione de­gli Stati, perché lascia gioca­re la concorrenza fiscale tra gli stessi Stati, che drena ri­sorse, avvantaggia i capita­li, penalizza il lavoro.
Se non si porrà freno a questa tendenza, non deve sorprendere che gli elettori si rivolgano a quei partiti che non spingono per l’inte­grazione e che vogliono un’Europa che protegga, che non ostacoli troppo gli Stati che proteggono i loro cittadini e le loro imprese, anche all’interno della stes­sa Ue. Posizioni di questo ti­po, oggi, si trovano in larga misura in certi partiti di de­stra, oltre che in partiti di­chiaratamente contrari al­l’integrazione.
La protezione dell’am­biente, invece, si è diffusa nei Paesi europei in gran parte per impulso della Ue. Varie direttive sull’ambien­te, la leadership sul piano internazionale per gli accor­di di Kyoto, il pacchetto sul­l’energia e sul cambiamen­to climatico adottato in di­cembre, sono tutte manifestazioni di una Ue all’avan­guardia sul terreno ambien­tale, mentre essa appare in posizione di retroguardia sul terreno sociale.
Si capisce allora che Da­niel Cohn-Bendit possa tra­scinare un movimento eco­logista alla conquista di vo­ti con un programma che mira a rafforzare l’integra­zione economica e politica e con una campagna eletto­rale che, caso raro, ha parla­to di Europa, solo di Euro­pa.
E’ necessario riconciliare l’Europa e l’attenzione so­ciale come già sono in ar­monia l’Europa e l’attenzio­ne ambientale. E’ anche possibile? Sì, in due modi.
Un primo modo consiste­rebbe nel consentire, da parte della Ue, che ogni Sta­to si occupi delle istanze so­ciali senza riguardo all’aper­tura rispetto al resto della Ue, anche in violazione del­le regole del mercato uni­co. Forse l’Europa divente­rebbe meno impopolare, ma si avvierebbe a una rapi­da disintegrazione.
Un secondo modo, inve­ce, richiede che l’integrazio­ne prosegua, ma si estenda ad aspetti, come il coordi­namento della fiscalità, che permettano agli Stati di da­re grande attenzione al so­ciale pur rispettando il mer­cato unico. E’ la linea pro­posta su queste colonne il 10 maggio. I risultati delle elezioni ne mostrano l’op­portunità.

Se Marx seduce la destra
Barbara Spinelli, 14 giugno 2009, La Stampa

Anche le destre - forse soprattutto le destre - guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.
A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».
In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».
Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.
Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.
Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o - nell’affare Elf - l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.
Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).
L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale».

Raccolta idee


Qui vorrei trovare i vostri suggerimenti per l'attività politica al Parlamento europeo. Troverete il collegamento a questo post nella pagina principale del blog, sulla destra, sempre attivo. Grazie, attendo.

Gianni V.

venerdì 12 giugno 2009

Blog sì, blog no


Che ne dite di farmi sapere in modo diretto (anche quelli che non si sono espressi, insomma) se continuare con questo blog? Continuerete a usarlo? E il sito, non soffrirà di gelosia? E chi deve gestirli (entrambi!), non finirà col mal di mouse? Lancio qui il sondaggio. Certo un canale diretto non può far poi tanto male: ma voi farete da suggeritori? Attendo vostri responsi, positivi o negativi che siano.

Vattimo con i liberali dice: “Spero non mi rompano le palle”

Altra intervista, questa volta con Il Foglio. Certo, a destra il tono è sempre un po' partigiano (Milton Friedman... per carità!), ma fa parte del gioco: à vous.

Vattimo con i liberali dice: “Spero non mi rompano le palle”

Bruxelles. Che c’azzecca Gianni Vattimo con i liberali al Parlamento europeo? Il filosofo del “pensiero debole” è uno dei sette deputati che Antonio Di Pietro ha inviato a Strasburgo, dove l’Idv siede in mezzo agli apologeti di Adam Smith, John Stuart Mill e Milton Friedman. “Io resto comunista!”, aveva detto Vattimo a marzo, annunciando che sarebbe salito sul taxi dipietrista per tornare a Strasburgo: il completamento di una carriera politica di cattolico omosessuale, iniziata nel Partito radicale, nei Ds, nell’Ulivo, nei Comunisti italiani, prima di approdare tra i giustizialisti di Di Pietro. “Spero che siano abbastanza liberali da non rompermi le palle”, dice al Foglio Vattimo, confermando il suo ingresso “molto alla leggera” nei liberali europei. Ma come la mettiamo con la filosofia? Nel 2004 si inventò un “Marx indebolito” per giustificare il passaggio dai Ds ai comunisti, gli unici disposti a offrirgli un posto in lista. Oggi come allora il pensiero filosofico evolve: “La mia è una vera posizione liberale”, spiega Vattimo. “La società non può essere ridotta ad armonia” in modo artificiale come vorrebbe il marxismo: la società “è una continua serie di conflitti” e, come dicono i liberali, l’armonia sta “nella soluzione dei conflitti”. Detto questo, “la visione marxiana della storia, se togli l’assolutismo dello scientismo, è un progetto di emancipazione ancora valido”.

Di Pietro non ha mai azzeccato le candidature all’Europarlamento. Nel 2004 si fece accompagnare nei liberali da Giulietto Chiesa, che poi preferì migrare tra i vecchi compagni dell’internazionale socialista. Nel 2009 doveva schierare “solo persone competenti e che parlano le lingue”, aveva annunciato Di Pietro in marzo. Filosofo del pensiero debole a parte, l’unico degli eletti che ha una solida esperienza europea è Niccolò Rinaldi, ex segretario generale aggiunto del gruppo liberale a Strasburgo. Un “signor nessuno” senza “pacchetti di tessere né voti”, che ha accolto “un invito inaspettato”, come lo stesso Rinaldi spiega sul suo sito Internet. Salvo lasciar intendere, in un convegno di radicali a Bruxelles a maggio, che sarà la quinta colonna di Marco Pannella a Strasburgo: “Sarò fiero di aiutare tutte le battaglie radicali, che al Parlamento europeo devono continuare a trovare voce”. L’ex magistrato Luigi De Magistris, invece, non soltanto si confronterà con Clemente Mastella, ma dovrà interrogarsi sul suo compagno di banco Pino Arlacchi, finito sotto inchiesta all’Onu, di cui era vicesegretario generale, per aver tentato – tra l’altro – di finanziare il giro del mondo di un amico velista con la scusa di promuovere la lotta alla droga.

Vattimo, De Magistris e Arlacchi rischiano pure di dare il loro voto ai candidati del Cav. alla presidenza della Commissione e dell’Europarlamento. Graham Watson, il presidente dei liberali europei, ha confermato che il suo gruppo “sosterrà” la conferma di José Manuel Barroso alla testa dell’esecutivo comunitario, come chiesto dall’Italia, e ha proposto al Partito popolare europeo, grande vincitore delle elezioni, “un’alleanza ideologica” per formare una “maggioranza politica” nella prossima legislatura. Le chance del ciellino Mario Mauro di diventare presidente del Parlamento, in calo dopo che il Pdl ha mancato l’obiettivo di diventare la prima delegazione nazionale nel Ppe, possono essere rilanciate attraverso un ticket con Watson per guidare l’Assemblea di Strasburgo. Forse i dipietristi saranno pure costretti a sostenere Roberto Formigoni. Ieri, il presidente della regione Lombardia ha incontrato il Cav. a Palazzo Grazioli. Dopo il successo alle europee, la Lega nord rivendica la guida di alcune regioni del nord e, viste le storiche ambizioni di Formigoni di ricoprire l’incarico di commissario europeo, la Lombardia più del Veneto potrebbe aiutare la quadratura del cerchio del Cav.

VATTIMO TORNA A STRASBURGO: «SONO QUELLO PIU' A SINISTRA»

Anche qui, non sapevo ancora di essere stato scelto tra i sette.

Da gay.it (http://www.gaynews.it/view.php?ID=81876). Intervista di Luca Mastrantonio

Gianteresio detto "Gianni" Vattimo è soddisfatto del suo risultato personale e, soprattutto, dello scenario di partito che dovrebbe rilanciarlo nel Parlamento europeo. «Ho avuto una buona affermazione, un sacco di voti, ma ci sono altri nella mia circoscrizione, che hanno fatto meglio. Antonio Di Pietro, che però resterà al Parlamento italiano, poi Luigi De Magistris e Sonia Alfano, ma credo che Alfano non finirà nella mia circoscrizione. Ogni decisione sarà presa con il partito. Io però sono ottimista…».

In una conversazione telefonica con il Riformista, autografa le motivazioni politiche: «Ci sono molte buone ragioni per farmi tornare in Europa. Sono il più a sinistra dell'Italia dei valori, per ragioni storiche, anche in funzione di alleanza con il Pd sono utile, e Di Pietro ha preso molti voti a sinistra, mentre con De Magistris ha preso molti grillini. E poi nella circoscrizione nord-ovest non possono esserci due meridionali. Potrebbero suscitare obiezioni. Non vorrei fare il leghista, anch'io vengo dal sud, mio padre è calabrese e in campagna elettorale l'ho fatto pesare, per i figli di immigrati, ma bisogna rispettare l'elettorato del nord». Leghismo debole? «Perché no...».

Vattimo si dice convinto che «sia davvero iniziata la fine del berlusconismo. Certo, se cadiamo dalla padella di Berlusconi alla brace di Bossi è un bel rischio. Ma Berlusconi in questa situazione assomiglia molto di più alla sinistra, divisa e in preda a correnti. La scandalosità della sua storia politica e personale, non dico di Noemi ma delle troppe bugie legate al caso, è evidente a tutti e ha causato una flessione dei voti dei cattolici».

Da ex militante della Gioventù cattolica - assieme a Umberto Eco - Vattimo sperava in un crollo "controllato" del Pd, una frana verso Casini. «Guardo con simpatia al Pd, per legami personali di amicizia, e mi piace Franceschini, anche se io avrei preferito Rosy Bindi, perché i pochi di sinistra di quel partito sono quelli che vengono dalla sinistra della Dc. Gli altri sono i professionisti del calcolo, come Massimo D'Alema, un genio del male, che fa e disfa… come Penelope». Romano Prodi è Ulisse? «Guardi, io mi occupo dei Proci, anzi, dei froci, dei diritti dei gay, vorrei andare in Europa proprio per difendere i loro diritti. Speravo, comunque che i Rutelli e i clerico-radicali si separassero dal Pd e andassero con Casini». Così sarebbe stato più facile che il Pd diventasse «un punto di coagulo di molta gente di sinistra che non sa più dove sbattere la testa. Io mi sono candidato con l'Idv per portare elettorato di sinistra a una forza che poi si possa alleare al Pd».

«Voglio andare in Europa per fare l’agit-prop»

Durante il riposo (ma quale riposo? Tra interviste e televisioni, sembra di stare ancora in campagna... ma bene così), vi lascio qui sul blog qualche frase rubatami dopo le votazioni. Qui sotto quella de Il Giornale, prima di sapere di essere uno dei sette Idv al Parlamento. Ora lo sono, e lo so. E dire che uno dei miei collaboratori mi aveva consigliato, quand'è partita l'avventura, di scrivere da subito una lettera per spiegare che nonostante la sconfitta (che tuttavia, alla fine, non c'è stata!), mi sarei impegnato a continuare la battaglia, ecc. Insomma, un modo per non cadere nelle grinfie della depressione o di un cattivo risultato personale o di partito. Beh, quella lettera non l'ho mai scritta, ma mi sono sempre ricordato di scriverla. E forse è servita, pur non scritta. Il difficile viene adesso...

«Voglio andare in Europa per fare l’agit-prop»
intervista di Luciano Gulli

A mezzogiorno in punto Gianni Vattimo, 73 anni, l’inventore del «pensiero debole» attraversò via Po e venne a sedersi a un tavolino all’aperto del caffè Fiorio, giusto dirimpetto alla sua grande casa nobile e vecchiotta (tre piani a piedi, però). «Scusi, le spiace?» aveva detto amabile, spostando di sedia il mio giacchetto. E si era seduto con le spalle rivolte alla strada, in modo da intercettare con lo sguardo i disillusi, i neghittosi, gli incerti, i ritardatari che transitavano sotto i portici, mesmerizzandoli. «La tecnica è guardare la gente negli occhi, fisso. Uno sguardo, il tuo sguardo che dice: sì, sono io, si ricordi di votare per me», mi aveva spiegato.
Il week end era stato un momento di grande goduria narcisistica e di voluttuosi adescamenti elettorali, per il filosofo che una volta diede del figlio di puttana e della cloaca umana a Cecchi Paone (rimediando una querela che gli costò diecimila euro) e di «picchiatori» ai tirapiedi del comunista Marco Rizzo (altra querela, altri cinquemila). Sabato Vattimo se ne era andato avanti e indietro per via Roma, piazza Castello, piazza Vittorio: quella che i torinesi chiamano «la passeggiata del re» perché sua maestà poteva concedersi ai suoi sudditi senza bagnarsi, in caso di maltempo. Pari avanti tutta, dunque, come un incrociatore da battaglia, avanti e indietro, sempre guardando la gente dritto negli occhi, come vuole la regola del candidato. E a chi lo salutava, riconoscendolo, non aveva mancato di ricordare, civettando: «Ha già fatto il suo dovere?».
In mattinata, prima di tornare a battere il marciapiede (nel senso buono, si capisce) Vattimo aveva fatto la sua visita di dovere al cimitero, dove riposano i due grandi amori della sua vita: Giampiero, morto di Aids a 42 anni, nel ’93, e Sergio, ucciso a 41 anni da un cancro ai polmoni nel 2003. Lui dice che la domenica va a coltivare il suo senso di colpa «per essere sopravvissuto». Poi però, dopo aver elaborato il lutto, il vedovo si è innamorato di nuovo. Prima di un cubista, Stefano, che ha 31 anni, e poi di un immigrato brasiliano, Luiz, un bel morettone che ne ha 28 e abita con lui. Certo, gli dissi: a 73 anni, certi ardori si saranno attenuati... «Be’, è seccante», aveva convenuto, «perché certe cose non si possono più fare, neanche con le iniezioni alla base del pube, come fa uno che so io...» Ma poi, aveva concesso, «in realtà mi accontento di far loro da papà. Mi prendo cura dei loro bisogni, mi fanno compagnia...».
Ecco. L’articolo è stato declinato al passato remoto, fin qui, perché stamani tutto questo, e il di più che andremo a raccontare, parrà una storia del passato. Stamani, la sola cosa che conterà è sapere se Gianni Vattimo tornerà a sedersi su uno scranno a Strasburgo, o se i trentacinquemila euro che ha sperperato correndo il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e brandelli di Val d’Aosta, stancandosi come una bestia, saranno stati invano.Ora che le ombre della sera avvolgono la città, e il gran momento si avvicina gli domando: perché si ricandida? Bramosia di denaro? Ansia di visibilità? Voluttà di protagonismo? «L’aspetto esibizionistico certo conta - ammette -. Non ci si mette in politica solo per amore della causa. Quanto al denaro, la volta scorsa prendevo 9 mila euro netti. Ora sarebbero 7.500, più un portaborse pagato dal Parlamento europeo. Tanto che mi sono chiesto: ma ne vale la pena?».
Candidato per l’Italia dei valori di Di Pietro. Un «uomo di quart’ordine. Una barzelletta. La vergogna dell’Italia», per dirla con uno sdegnato Franco Zeffirelli. Vattimo non abbocca. Sorride. «Vado con Di Pietro per offrire un’alternativa, una via di scampo agli elettori di sinistra delusi dal Pd, che è tutto tranne che un partito di sinistra, e dagli altri comunisti, che non hanno spiegato alla gente perché si sono divisi. Se ci sarà una buona affermazione dei candidati di sinistra all’interno dell’Idv lavoreremo per fare del partito il nucleo della nuova opposizione di sinistra».
Se perde, pazienza. «Ci leggerò un segno della Provvidenza. Ogni tanto, del resto, mi dico: ma chi me lo fa fare? Chi me lo fa fare ad andare in Tv a discutere con Borghezio, il leghista, e la Santanchè, che è una al di sotto del bene e del male? Faccio la politica per dovere civico. Quand’anche mi paghassero molto, sarebbe sempre troppo poco per le umiliazioni cui mi devo sottoporre. Se mi votano, come Berlusconi potrò dire: sono sceso in politica», e accompagna il termine «sceso» con un gesto della mano che vuol dire: rasoterra. «Se non mi eleggono, pazienza. Peggio per loro».
La domenica del candidato Vattimo non è stata niente di speciale. Il cimitero, l’incontro col giornalista, due vasche in centro, ancora, fra i turisti e i suonatori di fisarmonica e flauto traverso che tendono le loro note ai viandanti in cambio di un obolo, tra lo Sfashion cafè ("bar italiano first in the world", dice l’insegna del locale di Piero Chiambretti) e la lapide, girato l’angolo, in via Carlo Alberto, dove abitò Nietzsche. Chiacchierando di Claudio Magris («il mio candidato al Nobel, visto che a me, troppo radicalmente antisistema non lo daranno») e di Umberto Eco («il monumento di se stesso, un trombone che io ammiro sfrenatamente. Ma pontifica con le sue bustine e i suoi articoli, da gatto prudente che amministra senza coinvolgersi pienamente la sua fama e il suo carisma»).
Nel 2004, reduce dalla clamorosa trombatura alle europee (correva per i Comunisti italiani) Vattimo si era consolato pensando a quale barba in fondo era sfuggito. «Ma che cavolo vado a fare, mi chiedevo ogni tanto. Un posto dove si discuteva dell’altezza dei parafanghi delle auto e della lunghezza dei porri, si figuri». Raccontò, quella volta, che al Parlamento aveva occupato un seggio tra Volcic e Veltroni. «Quando c’erano le votazioni davamo delle gran botte sul tavolo per svegliarci a vicenda», aggiunse. Dunque, perché riprovarci? «Perché voglio andare a fare l’agit prop, puntando a modificare l’istituzione rivendicando il diritto per il Parlamento di eleggere il presidente e i commissari».

martedì 9 giugno 2009

Ce l'abbiamo fatta!

Roma, 9 giu. (Adnkronos) - Sonia Alfano, Pino Arlacchi, Luigi de Magistris, Vincenzo Iovine, Niccolo' Rinaldi, Giommaria Uggias e Gianni Vattimo. Sono questi i nomi dei candidati dell'Idv eletti al Parlamento Europeo. Lo rende noto un comunicato dell'ufficio stampa del partito guidato da Antonio Di Pietro.

Finalmente i risultati... Grazie!

27.022 persone, tra sabato e domenica, hanno scelto di votare l'Italia dei Valori e di scrivere il mio nome sulla scheda. E' un risultato straordinario per me, che si inserisce nella clamorosa affermazione dell'Italia dei Valori: dal 4,4% di un anno fa, all'8% di oggi.
Non è ancora tempo di analisi. Mi limito qui ai ringraziamenti di cuore a tutti, in attesa delle scelte di coloro che sono stati eletti in più circoscrizioni.

Ecco i link con i risultati in dettaglio delle tre circoscrizioni in cui ero candidato: Circoscrizione Nord-ovest, Circoscrizione Centro, Circoscrizione Sud.

sabato 6 giugno 2009

Eccoli



Direte, giustamente, "eccoli chi"?


Anche se non sono saliti alla ribalta della cronaca (almeno fino a questo post), si tratta delle persone che si sono spese per "creare", letteralmente, questa campagna elettorale.

Codazzo, staff, manifesti, furgoncino, manifestazioni, volantini e volantinaggi, viaggi, ufficio stampa, sito, blog e facebook. Sempre con me, obbligandomi (ma non esageriamo) a parlarvi, scrivervi, ecc.

Tutto - o quasi: articoli, risposte su internet, comizi e presentazioni del mio libro sono miei, ma anche qui, quando cause di forza maggiore, di solito i tempi, la Tv e le autostrade, mi hanno impedito di partecipare agli incontri in programma, qualcuno di loro ha dovuto sostituirmi in tutto e per tutto - è opera loro. Almeno so con chi prendermela se non sarò eletto...

Scherzo, ovviamente. Naturalmente non sono i soli: e anzi ringrazio tutte le persone dell'IdV, tutti gli amici, e tutti coloro che mi hanno sostenuto in questi giorni terribili.

Quelli che vedete nelle fotografie qui a fianco sono anche quelli che hanno dovuto sopportare le mie ire nei momenti più difficili, e vi assicuro che non dev'essere facile. In più, si tratta di persone convinte del progetto, con le quali ho discusso quotidianamente, persone insomma con idee, e il coraggio (dato il mio carattere!) di esprimerle, anche in caso di critica.

Nella fotografia in alto (uso l'ordine alfabetico), ecco immediatamente alla mia sinistra, con maglietta rossa (era il pranzo della giornata di manifestazione alla Fiat; con lui Stefano e Glauco, di cui sotto), Emanuele Antonelli, giovane filosofo di Torino, instancabile volantinatore, attacchino, e guidatore del pulmino elettorale.

Nella seconda fotografia, Mario Cedrini, economista, mio assistente a Torino nel mandato 1999-2004. Suggeritore e critico esigente, presentatore di libri (la foto si riferisce all'incontro di Pinerolo), attacchino, adora volantinare ai mercati e perdere tempo sul blog.

Al mio fianco il Primo maggio, ecco Stefano Cuteri (con gli occhiali scuri). Ci ha portato ovunque con la sua automobile, e qualche volta senza che nessuno glielo avesse chiesto (in campagna, si finisce spesso... in campagna, e cioè in luoghi sbagliati. Il navigatore ci ha salvati più di una volta). Instancabile.

Nella successiva fotografia, ecco Mario mentre attacca manifesti davanti all'Olivetti a Ivrea (so bene che il posto del manifesto non è quello giusto: nessuno ci quereli, è stato subito tolto e piazzato nel posto giusto. Ma la foto con il manifesto giusto è mossa), insieme a Peppino Iannantuono, mio assistente a Bruxelles durante il precedente mandato. Costretto dal lavoro a partecipare solo ad avventura iniziata, ha girato l'intera provincia di Torino sul veicolo con i miei faccioni.

Nello scatto del corteo, ecco Alberto Martinengo, alla mia destra. Anch'egli filosofo, ha fatto un po' di tutto. Sempre col sorriso sulle labbra, nonostante il compito (gravoso? Forse non è abbastanza) di coordinare, insieme a Mario, l'intero progetto.

E ancora, ecco Emiliano Morrone, l'agente di Roma. Nel senso che si è occupato delle altre due circoscrizioni nelle quali sono candidato, Centro e Sud. La Voce di Fiore, nel vero senso della parola.

Infine, Glauco Tiengo, filosofo e cantante, l'uomo-ufficio stampa, presentatore e diffusore del mio programma. Sempre presente, ha portato carichi (di volantini) persino superiori alle sue possibilità.


Ecco, ora sapete con chi avete avuto a che fare ai mercati, negli
incontri in giro per la circoscrizione, sulle autostrade, al telefono.

Per qualsiasi rimostranza, vi fornirò i recapiti...

Ormai sembrano pronti ad affrontare qualsiasi campagna elettorale si presenti: potrei fornirli davvero, i loro recapiti, ma non lo farò. Almeno per ora: sanno troppo.


Al di fuori degli scherzi e della retorica, tenuto conto delle condizioni di partenza, mi pare abbiano davvero dato vita a una squadra.
Spero vincente!


I più sentiti ringraziamenti, è ovvio ma non scontato, a tutti loro.




venerdì 5 giugno 2009

(Quasi) finita


Cari amici,

La campagna volge al termine. Dopo le ultime presentazioni del mio libro, a Torino e Milano, dopo gli ultimi appuntamenti, dopo gli ultimi mercati, sarò oggi a Milano (piazza Liberty, ore 17) per la chiusura della campagna, insieme ai candidati dell'Italia dei Valori della Circoscrizione Nord-Ovest.
Risponderò agli ultimi post di questo blog nelle prossime ore, per intanto ringrazio tutti voi per avermi scritto, letto, ecc. E ringrazio tutti coloro che hanno condiviso questo progetto, a partire dai miei collaboratori, per continuare con tutte le persone che ho incontrato in questi due, intensi, mesi. Continuate a scrivere anche in questi due giorni di voto e di tendenziale silenzio pubblico. E - mi raccomando - votate!
Un saluto a tutti voi,
Gianni

lunedì 1 giugno 2009

Per il benessere degli animali



Sono tra i candidati "Positivi" segnalati dalla LAV (e dunque, e ne sono onorato, tra i "consigli della LAV" per le elezioni al Parlamento europeo: http://www.lav.it/index.php?id=1324), La Lega Anti-Vivisezione. Quando ero deputato europeo, ho fatto parte dell'Intergruppo Parlamentare per il Benessere e la Conservazione degli Animali.

Inoltre, sono stato segnalato tra i candidati anti-caccia. Ebbene sì, ho preso più volte posizioni anti-caccia nel passato, anche sui giornali. Grazie della fiducia riposta in me dall'Associazione Vittime della Caccia: http://www.nadiamarino.com/2009/05/31/europee-2009-candidati-italiani-anti-caccia/.

Ripeto qui sul blog ciò che ho scritto ad alcuni tra i più sensibili alla questione del benessere degli animali, che mi hanno interpellato sulle mie intenzioni una volta eletto. Effettivamente, quando ero deputato europeo, mi sono battuto per il benessere degli animali in ogni occasione si sia presentata. Io stesso ho un gatto che mi chiede, ogniqualvolta torno da incontri della campagna elettorale, di giocare, anche a notte fonda: assicuro che dopo una giornata trascorsa a parlare e volantinare, anziché accasciarmi sul letto do retta al gatto! Anche in passato, mi sono speso non poco per il benessere degli animali, questione che mi attrae, del resto, anche filosoficamente: Peter Singer, del quale non condivido tutto il pensiero ma è comunque difficile trovare una questione di etica pratica che ci distanzi, ha scritto cose importantissime sui nostri doveri nei confronti degli animali (ne ho anche ampiamente parlato in un libro, "La vita dell'altro", che raccoglie miei precedenti articoli sulla questione). Sul mio sito, laddove ho tenuto in vita una sezione sulle mie attività di parlamentare europeo tra il 1999 e il 2004, compaiono numerose mie iniziative a favore del benessere degli animali, e non intendo certo sottrarmi, se dovessi essere eletto, a battermi ancora (http://www.giannivattimo.it/menu/europparl2.html). Mi auguro anche di poter essere ancora un punto di riferimento per l'Italia al Parlamento europeo per tramite dell'eurogruppo sul benessere degli animali.
Non ho un programma così dettagliato da illustrare le specifiche tematiche delle quali intendo occuparmi, anche perché ho capito negli anni che molte delle migliori cose che si possono fare dal punto di vista della legislazione hanno per così dire un background di società civile; in parole meno fumose, ritengo che i cittadini possano fare molto per fornire spunti ai parlamentari europei (in particolare a coloro che per formazione provengono, come il sottoscritto, da esperienze diverse rispetto a quelle connesse ai problemi di cui qui si tratta), e far sì che questi ultimi si mobilitino in tal senso. Tuttavia, mi occuperei certamente di promuovere idee come quelle segnalatemi dagli elettori in questi giorni: tra queste, la ricerca di soluzioni meno barbare rispetto ai canili e l'adozione di provvedimenti contro i canili-lager, e la prevenzione: ovvero, la predisposizione di spazi che permettano ai cani di evitare le nevrosi connesse con la solitudine, il vivere in spazi angusti per troppe ore durante la giornata, ecc. Si tratterebbe, credo, di passare a una nuova epoca di regolamentazione, nella quale diventi finalmente possibile trasformare dichiarazioni d'intenti in vere e proprie possibilità di fare, per aumentare la libertà di esseri che non devono subire limitazioni indebite a causa della presenza umana.
In generale, tenterei di muovere la legislazione europea verso forme di convivenza ben più civile della nostra con gli animali, non sono quelli domestici. Per fare un esempio, cercherei di capire se è possibile fare qualcosa contro gli scempi che l'Europa ancora compie in osservanza alle leggi dell'Organizzazione mondiale del commercio, che per promuovere la legge unica del free trade passa sopra a qualsiasi diritto degli animali sia immaginabile, concependoli unicamente come ostacoli a quella stessa legge. Anche perché se è assolutamente doveroso occuparsi della legislazione europea in materia di benessere degli animali, è ipocrita non occuparsi appunto di ciò che l'Europa fa a livello sovranazionale, smentendo l'attenzione dedicata agli animali sul suo territorio.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto per sensibilizzarmi alle diverse questioni, e li invito a segnalarmene altre qui, sul mio blog (http://giannivattimo/blogspot.com), per richiamare l'attenzione non solo mia su questi problemi.

In Europa per cambiare anche l’Italia

Il filosofo Gianni Vattimo, candidato con Di Pietro nel Nordovest: «In Europa per cambiare anche l’Italia»
L'Eco di Bergamo, 30 maggio 2009. Intervista di Mino Carrara

«Perché mi candido? Sostanzialmente per modificare sia la situazione italiana, visto che sono oppositore di Berlusconi, sia per far agire l’Europa in modo ancor più incisivo». Gianni Vattimo, intellettuale, filosofo e docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, già eurodeputato per i Ds dal 1999 al 2004, è in lista alle Europee con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro nella Circoscrizione Nordovest.

Lei non è il solo intellettuale che si è schierato con l’ex pm, tra gli altri ci sono Nicola Tranfaglia, Pancho Pardi e Giorgio Pressburger.
«Non sono stato sollecitato ad aderire all’Italia dei Valori: anzi, avevo deciso di votare Di Pietro prima ancora di diventare candidato».

Ma come mai ha scelto Di Pietro visto che lei dopo l’uscita dai Ds ha avuto una svolta marxista?
«Non sapevo più dove sbattere la testa. Le opposizioni attuali, anche quelle di sinistra con cui ho delle affinità, sono o troppo deboli o troppo divise. Scegliendo Di Pietro, ho pensato alle persone come me che non si fidano del Pd, troppo composito, e delle sinistre estreme troppo settarie. Faccio questa scelta per quelli che altrimenti si asterrebbero».

Ma cosa rappresenta Di Pietro?
«Un partito non ideologicamente connotato e io mi presento come uno che ha riscoperto gli ideali del comunismo. Del resto quando Berlusconi dice che la Costituzione italiana l’hanno scritta i comunisti e i cattolici di sinistra ha ragione ed è proprio per questo che la Carta merita di essere difesa. Se Di Pietro tiene alla Costituzione e alla legalità, è un bel progetto di Repubblica socialista. Inoltre spero che dopo le elezioni Di Pietro diventi il nocciolo della ricostituzione di un’opposizione credibile».

Quanto ha pesato l’antiberlusconismo?
«Chi lo sa? Comunque molto».

Lei conta su Di Pietro come nocciolo dell’opposizione: campane a morto per il Pd? «Non credo che avverrà il tracollo ipotizzato. Il Pd rimane pur sempre il più grande partito di opposizione».

Stiamo per andare alle urne per le Europee, ma di Europa non si parla e non solo in Italia.
«È vero. Il popolo esercita il potere nelle elezioni nazionali, quindi immaginiamo quanto è difficile mandare la gente alle urne per le Europee. È un circolo vizioso che deve essere rotto con il varo di una Costituzione europea che va approvata dai singoli Stati, ma tutti sono un po’ gelosi».

Superare gelosie ed egoismi non è facile soprattutto tra nazioni che per secoli si sono combattute.
«Uno dei successi dell’Ue è avere dato il più lungo periodo di pace. Comunque teniamo presente che a uno Stato federale saremo costretti ad arrivarci soprattutto dal fatto che stanno nascendo altre superpotenze, dalla Cina all’india. I problemi ambientali, per esempio, possono essere regolati solo internazionalmente».

A quale Europa pensa: a quella dei popoli di cui parla la Lega o a quella di Zapatero?
«Avremmo bisogno di un’Europa federale il più possibile autorevole nei confronti degli Stati nazionali. Abbiamo un problema di politiche fiscali: ogni Paese vuole difendere i propri privilegi. Occorre una legislazione europea che garantisca quell’eguaglianza che possa giovare economicamente: se non ci saranno più i paradisi fiscali, ci sarà una competizione più autentica. La stessa lotta alla criminalità deve avere una dimensione europea. Come si fa a combattere la mafia che ha una dimensione sovranazionale, se noi abbiamo il problema della rogatoria?».

Il suo ultimo libro si intitola «Addio alla verità». Ma senza la verità cosa resta all’uomo?
«È un titolo un po’ provocatorio e parte dalla frase di Dostoevskij "se dovessi scegliere tra Gesù Cristo e la verità sceglierei Gesù Cristo". Le verità assolute sono più un pericolo che un vantaggio. Kant diceva che bisogna difendersi dall’invadenza dei saperi positivi che rendono impossibile credere in Dio. Ecco perché voglio dare l’addio alla verità per non permettere alle verità positive dimostrabili e dimostrate di dominare e rendere impossibile la vita sociale. Se ciascun gruppo crede di avere la verità assoluta alla fine ci si scanna».