mercoledì 26 agosto 2009

Servizio estivo


Ecco un breve resoconto di come ho passato luglio e agosto, e anche qualche cenno di risposta ai blogger che hanno avuto la pazienza e la forza di scrivermi.

Le prime riunioni a Bruxelles e a Strasburgo se ne sono andate in questioni pratiche – complesse perché le nuove regole che si è dato il Parlamento sembrano mosse da una inconscia mania suicida: tutto è così complesso (certo, anche per evitare abusi – che adesso si sono concentrati tutti sul Parlamento nazionale...). Questioni importanti decise in quelle prime riunioni sono state le afferenze di ciascuno di noi alle varie commissioni di lavoro del Parlamento. Come sapete io sono “finito” nella Commissione Cultura e Istruzione: non è delle più eccitanti, ho ottenuto di essere anche supplente nella Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni, dove si discutono tematiche più brucianti (coppie gay, diritti di migranti, e così via). Naturalmente la Cultura non è da buttare, tenendo pur sempre conto che per ora (dovrebbe cambiare qualcosa nel futuro prossimo, se entreranno in vigore gli ultimi accordi di Lisbona) le competenze dell’Unione sono molto limitate rispetto a quelle dei governi nazionali, e che il Parlamento non ha di fatto potere di iniziativa legislativa, si limita a “reagire” a progetti di provvedimenti della Commissione europea e del Consiglio. Comunque, una delle prime battaglie che intendo iniziare in quella Commissione è quella sull’informazione e i monopoli di essa (le leggi ad personam di B. e il conflitto di interessi).

Tra gli altri temi di inizio legislatura: ottenuta dall’IdV la presidenza della commissione controllo del budget per Luigi De Magistris – che darà del filo da torcere a chi cerca di usare l’Europa come una vacca da mungere… Poi un lungo promemoria che il gruppo ALDE (liberali e democratici) di cui faccio parte, presieduto dall’ex primo ministro belga Verhofstadt, ha inviato a Barroso, il quale si candida a presiedere di nuovo la Commissione esecutiva e forse sarà rieletto a ottobre. Il nostro gruppo subordina il sostegno a Barroso al programma che questi intende presentare. In particolare, chiediamo che la Commissione (magari una Commissione più rosa rispetto a quella precedente) si adoperi per un coordinamento delle risposte alla crisi che i governi nazionali danno per ora in ordine sparso. Un anticipo, insomma, del coordinamento delle politiche economiche che l’Europa stenta ancora a darsi. Chiediamo, nello stesso spirito, l’istituzione di uno European Financial Supervisor, che si occupi di armonizzare i diversi servizi finanziari europei e contrasti le forze centrifughe, che impediscono la creazione di un mercato unico anche in questo settore. Il gruppo chiede poi che l’UE si doti finalmente di un bilancio autonomo (dai singoli stati membri), e che provveda, tra l’altro, a definire meglio la sua posizione di potenza diplomatica nello scenario internazionale. Di particolare interesse (si pensi ai tanti drammi italiani in merito) la richiesta di un portafoglio (da assegnare a un membro della Commissione) per i diritti e le libertà fondamentali e contro le discriminazioni, che rafforzi tra l’altro i poteri della Commissione esecutiva contro la criminalità internazionale e la corruzione.

Nella Commissione cultura c’entrano anche i temi della libertà della rete, dei pirati, ecc. Capisco le obiezioni che alcuni dei miei blogger hanno sollevato, a difesa del lavoro di chi crea beni immateriali (anch’io scrivo libri, e se mi rendono non mi ribello certo), ma credo che la questione della libertà di scaricare sia una di quelle che vanno discusse e approfondite in maniera centrale, perché prefigura un mondo che, proprio per le nuove capacità tecnologiche, non si lascia più chiudere dalla proprietà, dal capitale, ecc. Forze produttive che si sviluppano al di là dei rapporti di produzione vigenti: è quello che diceva Marx, e io ci credo. Perché, come mi scrive criticamente Valerio su questo blog, sono comunista. Lo slogan (sì, sarà un po’ superficiale, ma riassume bene) è: “Il comunismo reale è morto, viva il comunismo ideale”. Ma come e perché sono stato candidato ed eletto con l’Italia dei Valori? Quando sono stato a Londra a marzo (il convegno cui Valerio si riferisce), la candidatura non era ancora decisa, tutto è cominciato il primo aprile (un pesce?); dunque allora non ho mentito, certo dopo mi sono ricreduto, ho cambiato idea... Volevo che almeno un comunista (ideale: per una società senza classi, con elettrificazione – cioè sviluppo tecnico e economico – più soviet, e cioè potere democratico autentico) fosse presente nel Parlamento europeo. Di Pietro mi ha offerto questa possibilità, a cui prima non pensavo. E mi sta molto bene. Se dovesse cambiare qualcosa di essenziale nella libertà di cui godo con i miei colleghi eletti (con i quali condivido, se non l’ideale comunista alla lettera, tutto il resto...), mi dimetterei da europarlamentare; non me lo ordina il medico, non ho nemmeno un grande interesse economico a restarci (ho già detto che in questa nuova legislatura ci sono molti meno privilegi per i membri del Parlamento europeo). Dunque...

Ma in luglio e agosto non mi sono solo riposato. Come sapete, sono andato a visitare un carcere, rispondendo all’appello di colleghi radicali. A Imperia. Poco più di cento “ospiti”, la maggioranza per piccoli reati, spaccio, rapina, ecc. E per lo più immigrati – non ho ancora trovato i nuovi prigionieri per reato di immigrazione clandestina, non c’erano ancora. La cosa più scandalosa che ho rilevato è che non mancano i carceri (a Reggio Calabria ce n’è uno nuovissimo vuoto); mancano gli agenti di custodia, il che vuol dire che tutta una serie di attività che sarebbero previste – scuola, lavoro esterno, movimento e sport, ecc. – non si possono fare. I detenuti hanno quattro ore d’aria (in un cortiletto di cemento) e stanno venti ore al giorno in cella, per lo più sulle loro brande. Disumano è dir poco. Ma intanto le leggi folli e sadiche della Lega fanno morire gli immigrati in mare. Visita al carcere e lettura dei giornali di questi giorni spiegano anche un poco la difficoltà con cui mi dedico al blog: spesso la disperazione mi fa mancare la voglia e le parole. Quando vi rendete conto di vivere in un paese fascista e mafioso come il nostro, può prendervi l’idea che non ci sia niente da fare, e dunque che non si fa nulla...

Ho letto anche qualche romanzo: il Millennium di Stig Larsson, una bella macchina per passare il tempo. Ma anche libri di Zizek – un mio amico “comunista” –, un libro di saggi di Marcuse intitolato Heideggerian Marxism. Già, perché sono anche andato avanti nella redazione del libro Hermeneutic Communism che sto scrivendo con il mio collega e amico Santiago Zabala. Ho scritto l’articolo in morte di Jervis che molti di voi hanno commentato. Era troppo duro il giudizio sul “ritorno all’ordine”? Ma, l’ho detto anche nell’articolo, non era tanto rivolto a Jervis, che ho sempre ammirato, quanto alla situazione complessiva attuale i cui i filosofi, molti italiani, sembrano preoccupati soprattutto di cancellare ogni idea di trasformazione sociale, e lavorano su cascami reazionari predicando il realismo, l’oggettivismo, lo scientismo. Il supplemento domenicale del giornale confindustriale è la loro palestra. Bah. Ho anche letto alcune recensioni al mio Addio alla verità – spesso polemiche, e ho annotato le obiezioni. Ma su questo scriverò a parte, se no il blog scoppia... Il blog: che come sapete, ho deciso di non interrompere. Mi obbligherà ogni tanto a fare il punto su di me. Sarà il mio “servizio” flosofico-deputatesco.

A risentirci (presto) su questo canale, dunque. E grazie di tutto.
GianniV.

lunedì 24 agosto 2009

A quando la bandiera rionale?

Un mio articolo uscito su La Stampa del 12 agosto.

A quando la bandiera rionale?

Ma fino a quando? Sono cominciate le applicazioni della legge sulla «sicurezza» imposta dalla Lega; Bossi straparla di bandiere regionali - ma perché non comunali, di quartiere, di caseggiato? E intanto è sempre più evidente a tutti che il reato di clandestinità non potrà essere seriamente perseguito se non a prezzo di un insopportabile aggravamento del lavoro di giudici, pubblici ministeri, carcerieri e carceri che già scoppiano. Non solo la vacuità e inapplicabilità di questa legge; anche un bilancio di ciò che la Lega ha preteso dal governo negli ultimi mesi, o dei provvedimenti a cui come parte attiva del governo ha collaborato, dovrebbe spingere i suoi elettori a riflettere.

«Roma ladrona», lo slogan di Bossi che manda in delirio le sue piazze, si è rafforzata enormemente proprio per le complicazioni che il federalismo ha creato. Del resto, già da tempo chi ha praticato Bruxelles e le istituzioni europee sa che molte regioni italiane hanno aperto vere e proprie ambasciate presso l'Unione Europea: con spese di locali, personale, eccetera. E per coordinare la moltiplicazione dei poteri regionali sono nate nuove direzioni generali presso i ministeri romani, nuove e sempre più complesse «authorities». Per non parlare degli stipendi e dei privilegi dei consiglieri regionali, in varie regioni di gran lunga superiori a quelli - già alti - dei parlamentari nazionali. E tutto questo in nome delle autonomie locali: penso alle Province, enti della cui inutilità nessuno più dubita, compresi coloro che si sono candidati a presiederle nelle ultime elezioni (così un moderato realista come Vietti, candidato sconfitto alla Provincia di Torino), si sono moltiplicate. E avranno ovviamente diritto alle loro bandiere, magari alle loro ambasciate, a un apposito ministero che le coordini.

La politica, anche e soprattutto quella ispirata dalla Lega, diventa sempre più un terreno in cui si moltiplicano le spese e le cariche inutili, mentre i problemi reali del Paese restano sullo sfondo remoto. E le leggi, sotto la pressione di forze politiche minuscole ma «determinanti» (chi si ricorda mai che la Lega, con tutti i suoi ministri e il suo potere di ricatto su Berlusconi, vale alle elezioni europee un paio di punti percentuali in più dell'Italia dei Valori?), vengono scritte (non ancora in dialetto lombardo, ma poco ci manca) in maniera frettolosa, raffazzonata, contraddittoria, e hanno bisogno di essere immediatamente corrette da decreti ad hoc che ne complicano ulteriormente l'applicazione e ne rendono spesso problematica la costituzionalità (perché sanatoria per le badanti e non per i muratori e i netturbini?). Conoscendo i suoi successi come uomo d'affari, abbiamo sempre pensato che almeno sul piano dell'efficienza Berlusconi fosse affidabile. Bossi gli fa perdere anche questa unica virtù, lo sommerge nel mare delle sue chiacchiere demagogiche, lo riduce al livello degli urli di Pontida e del ridicolo culto del dio Po. Ma davvero: fino a quando?


Gianni Vattimo

Chi ci fa la morale?

Un articolo di Mattia Feltri su La Stampa, 12 agosto.

Chi ci fa la morale?
Come decidere cosa è beneo male per la società
MATTIA FELTRI

ROMA. Non è l’opinione pubblica a scegliere che cosa è morale o immorale», ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Il bene e il male non siano decisi dalle convinzioni della maggioranza o, come ha già sostenuto l’arcivescovo emerito di Bologna, Giacomo Biffi, «la verità non si stabilisce per alzata di mano». E, dunque, la morale non può combaciare con le consuetudini di una società, nemmeno se - proprio come scriveva ieri sul Corriere della Sera il filosofo Remo Bodei - «nella sfera sessuale l’uso dei contraccettivi (...) rende donne e uomini più propensi alle avventure, alle trasgressioni e all’eros fine a se stesso, in comportamenti fortemente biasimati dalla morale ereditata e dalle chiese non solo cristiane».
Per combinazione, sempre ieri, ma sulla Repubblica e affrontando il parallelo offerto da Benedetto XVI fra il nazismo e il nichilismo, Adriano Sofri ha ricordato che «la Chiesa cattolica non ha il monopolio della conoscenza (e tanto meno della pratica) del bene, così come non ne è esclusa. La strada è difficile, per ciascuno. Le fede religiosa non può essere una compagnia di assicurazione, né pubblica né privata». L’articolo di Bodei - titolato «La dittatura dei desideri» - sembra andare incontro alle tesi di Bagnasco, e all’opposto pare dirigersi Sofri. Chi stabilisce che cosa è morale? La prassi di una comunità oppure il diritto naturale cui si è richiamato il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian? E’ morale ciò che la maggioranza considera accettabile o ci sono valori - per usare un’espressione cara alla dottrina cattolica - non negoziabili? Lo storico del cristianesimo Alberto Melloni vuole intanto evitare fraintendimenti: «Il cardinale Bagnasco non sostiene che la morale cattolica debba essere imposta: è soltanto proposta». La morale, lo dice Melloni, lo aveva detto martedì Bagnasco, lo ripete Rocco Buttiglione, è «della coscienza».
Il problema, dunque, lo sottolinea Gianni Vattimo: «Se uno è credente ritiene che la morale abbia una derivazione divina. Se uno è kantiano ubbidisce a un imperativo categorico della ragione e ritiene di esercitare la morale in proprio, e non riconosce autorità esterna. Non è facile. Il guaio sorge quando la morale deve tradursi in legge e lì, è scontato, comanda la maggioranza». La considerazione è condivisa. Buttiglione però rifiuta decisamente che la maggioranza sia per forza nel giusto: «Anzi, che abbia spesso torto lo sappiamo dai tempi di Socrate, condannato da una maggioranza. E gli evangelisti non mettono in dubbio che fu una maggioranza a salvare Barabba e a mandare a morte Gesù». E allora? E allora, continua Buttiglione, «bisogna affidarsi a Machiavelli: il popolo fa sempre la cosa giusta se gli vengono forniti gli strumenti adeguati alla valutazione».
Insomma, l’intervento di Bagnasco sarebbe semplicemente diretto al popolo credente, ad incitarlo anche se si ritrova in minoranza su buona parte dei temi bioetici, a non avere paura di essere fuori dal mucchio, come sovente ha ammonito Joseph Ratzinger. Buttiglione ci sta, e rimarca: «L’idea di Bagnasco, di tutta la Chiesa, è l’idea di Platone su cui si basa la cultura occidentale: la democrazia non produce la verità ma produce delle leggi e sono leggi che hanno sempre la possibilità di appello. Se oggi esistono leggi contrarie alle leggi della Chiesa, significa che ci siamo spiegati male, e che dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato per porvi rimedio». Per esempio, dice, un giorno o l’altro - fra un anno, fra un secolo - la morale cattolica e la legge coincideranno, e l’aborto sarà unanimemente rifiutato. «Purché - obietta l’ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick - si obbedisca al concetto di legge permissiva che ho imparato da un cattolico adulto come Leopoldo Elia».
Flick, che si definisce un cattolico vecchio, un giuspositivista costituzionale, si richiama a Elia perché «ha ragione Bagnasco: se è l’opinione pubblica a stabilire la morale si va incontro alla dittatura della maggioranza. Ma i valori non possono essere imposti: se c’è una minoranza che vuole usare il preservativo o ricorrere all’aborto, deve avere la libertà di farlo». E quindi, un cattolico non può praticare l’aborto ma nemmeno può impedirne la pratica ad altri, purché vengano rispettati i valori costituzionali: «Ecco perché la morale e la legge non confliggono. Io ho due vangeli, quello rivelato e quello laico, che è la Costituzione. Anche la Costituzione ha valori non negoziabili, e sono valori spesso coincidenti con quelli propugnati dal Vangelo. Quando il Papa andò in Parlamento a invocare un atto di clemenza per i carcerati, non faceva altro che ripetere l’articolo 27 della Carta, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Eppure Vattimo conserva un dubbio: «Quando la Chiesa dice che la maggioranza non esprime la morale dice un’ovvietà, ma mi rimane il sospetto che nell’affermare così fortemente la sua morale, la sua morale di minoranza, cerchi il modo di farla valere per tutti. Oggi Ratzinger e i suoi dicono di interpretare il vero senso della sessualità, ma della sessualità hanno sempre fatto carne di porco. E l’espressione mi sembra calzante». E’ un punto di vista rifiutato da Melloni per il quale, fra l’altro, l’appello di Bagnasco era rivolto non tanto alle questioni sessuali e bioetiche («su cui il Vaticano si è pronunciato diffusamente e fortemente»), quando alle politiche della sicurezza, al diffondersi delle ronde, «alle quali si affida l’educazione dei diciottenni, cresciuti secondo precetti di odio e paura». E’ insomma una Chiesa, dice Melloni, che non si arrende allo spirito dei tempi, e vuole partecipare alla costruzione della città, della civitas. Lo fa attraverso i suoi valori irrinunciabili così come Flick («almeno finché l’Italia è repubblicana») non rinuncia al valore irrinunciabile e costituzionale della laicità. «E la democrazia vive», e vive la laicità, «finché alle minoranze resta il diritto di non sentirsi nel torto», chiosa Buttiglione.

Tuttoingioco: Civitanova, 5 settembre


Il 5 settembre, alle ore 1, presso il chiostro di Sant'Agostino di Civitanova Alta (MC), terrò una lectio magistralis nell'ambito di "Tuttoingioco. Biennale di cultura e intrattenimento", in merito alla quale riporto qui sotto un articolo tratto dal Resto del Carlino:


LA BIENNALE 'TUTTOINGIOCO'
Dalla luna al centro della terra... A Civitanova è il turno della scienza
Dal 21 al 23 agosto la manifestazione ospita Tito Stagno, cronista dello sbarco sulla luna e il geologo Mario Tozzi. Dal 28 al 30 saranno presenti Giampiero Mughini e Vladimir Luxuria. Conclude il Festival della Filosofia

Civitanova, 20 agosto 2009 - Arte, pensieri e spettacolo. Si mette proprio 'Tuttoingioco' alla Biennale di cultura ed intrattenimento in corso a Civitanova dal 10 luglio e fino al 6 settembre. E per l'occasione, la città si è trasformata in una vera e propria palestra intellettuale, luogo dove nuove idee e antiche tradizioni possono scontrarsi ed incontrarsi. Molto buona finora l'affluenza di residenti e turisti ai numerosi eventi legati alla manifestazione.

Dal 21 al 23 agosto sarà la scienza a farla da padrone. La manifestazione infatti ospiterà venerdì alle 21:30, Tito Stagno, l'indimenticabile cronista della diretta televisiva del primo sbarco sulla luna, avvenuto quarant'anni fa. Domenica invece alle 22:30, è la volta del geologo e conduttore televisivo de "La gaia scienza", Mario Tozzi.

Sarà invece l'eros a mettersi in gioco dal 28 al 30 di agosto. Ad aprire questo fine settimana Giampiero Mughini, seguito dalla conturbante Debora Caprioglio e dall'attesissima Vladimir Luxuria che sarà in scena domenica alle ore 21:30 con 'Le favole non dette'. A chiudere questo spazio, Dario Vergassola con 'Interviste sull'Eros' alle 22:30.

Tuttoingioco si concluderà nel primo week-end di settembre, dal 4 al 6, con il Festival della Filosofia, che ospiterà illustri pensatori come Massimo Cacciari e Gianni Vattimo.

(di Alice Muri)

Ferragosto nel carcere d'Imperia

Dal resoconto di Dario Dal Mut, Consigliere Comunale del Gruppo Italia dei Valori di Imperia:

“Buongiorno a tutti, mi chiamo Gianni Vattimo” si è presentato così, sorprendendo quanti lo attendevano arrivare con un codazzo di auto blu e con la scorta, il filosofo Eurodeputato per l’Italia dei Valori Gianteresio (Gianni) Vattimo. Ad attenderlo davanti alla casa circondariale di Imperia il Consigliere Comunale dell’IdV Dario Dal Mut, il segretario della Uil provinciale Marco Masini, l’esponente dei Radicali il sig. Buscaglia, ed il Comandante degli Agenti della Polizia Penitenziaria il sostituto commissario Enzo Pasqualone.

Prima di accedere nella Casa Circondariale l’onorevole Vattimo ha ascoltato i presenti. Il segretario della Uil Marco Masini esprimendo il disagio dei lavoratori della Polizia Penitenziaria che si fanno carico di turni pesanti dovendo vigilare sui 116 detenuti, in gran parte extracomunitari. In particolare ha lamentato il fatto che a fronte di una forza organica di 78 unità esiste una forza effettiva di 58, in quanto non è mai stato rimpiazzato il personale congedato per pensionamento e/o trasferito ad altra sede. Ha inoltre manifestato perplessità sulla costruzioni di altri carceri quando si può far funzionare le attuali assumere nuovo personale.

Il Consigliere Comunale Dario Dal Mut, dando il benvenuto a nome della città di Imperia a Vattimo, ha marcato la necessità di avere una struttura adeguata ai tempi ed, essendo la stessa, situata in pieno centro cittadino ritiene che deve essere garantita la sicurezza dei cittadini Imperiesi. Episodi gravi di evasione successi negli ultimi tempi non devono ripetersi e per questo deve essere garantito un numero di agenti di Polizia Penitenziaria adeguato all’effettiva esigenza.

Il sostituto Commissario Enzo Pasqualone ha quindi accompagnato l’on. Vattimo a visitare la struttura carceraria. Predetta struttura che ha una capienza di 70/80 detenuti di fatto ne ospita 116. Si è soffermato a dialogare con gli stessi ascoltando attentamente le loro problematiche. Essi hanno lamentato l’assenza di attività sportive e/o lavorative volta ad un futuro reinserimento nella società.

Alla conclusione della visita l’On. Vattimo ha voluto, ringraziando tutti gli interlocutori, manifestare la propria solidarietà ai lavoratori della Polizia Penitenziaria che con grandi sacrifici assicurano comunque sicurezza. “Mi attiverò nelle competenti sedi Istituzionali per garantirvi una migliore e più serena condizione di lavoro. Nondimeno mi attiverò per migliorare la condizione di convivenza per i detenuti così come stabilisce la Costituzione Italiana”.

mercoledì 19 agosto 2009

Sconosciuti, nella notte, in casa del testimone di giustizia Pino Masciari. Solidarietà e appoggio da Gianni Vattimo





Stanotte, degli sconosciuti sono entrati nell’abitazione della famiglia del testimone di giustizia Pino Masciari, ubicata in località segreta. A tarda ora, Masciari ha trovato nella sua stanza da letto delle persone, che fortunatamente è riuscito ad allontanare. Pericolo scampato, ma tanta tensione e paura, che, purtroppo, permangono.

Pensavo che avessero toccato i miei figli”, ha dichiarato Masciari, profondamente scosso, al laboratorio culturale antimafia “la Voce di Fiore" (sorto grazie soprattutto a Gianni Vattimo), che ha espresso a lui e ai suoi la propria convinta vicinanza e solidarietà.

Al momento, non si conoscono le intenzioni degli autori dell’azione, ma è certo che l’imprenditore calabrese vive da anni in esilio, lontano dalla sua terra, e in costante pericolo per aver fatto condannare, testimoniando coraggiosamente, ’ndranghetisti e collusi; perfino alti funzionari dello Stato.

Il 20 luglio scorso, il giorno successivo all’anniversario della strage di via D’Amelio a Palermo, è stato ritrovato un ordigno presso la casa di Masciari in Calabria. Possiamo parlare di coincidenze? Si tratta di una strategia del terrore?

Sull’accaduto di questa notte, interviene il filosofo italiano Gianni Vattimo, amico di Pino Masciari, della moglie e dei bambini. Vattimo, che è anche parlamentare europeo, sostiene che “mai come adesso si deve vigilare per la sicurezza della famiglia Masciari, poiché Pino è un bersaglio mobile ed è scomodo per le parole che dice in giro per l’Italia, per l’aggregazione che crea intorno ai valori della libertà e legalità”.

Vattimo - da tempo vicino a Masciari, agli altri testimoni di giustizia e a quanti rischiano per la democrazia - esprime il suo “fraterno appoggio al testimone di giustizia, alla coniuge Marisa e ai bambini”. Inoltre, assicura il proprio impegno, di politico e intellettuale, “per la tutela e la serenità di Pino Masciari, uomo esemplare, della sua famiglia e degli altri servitori dello Stato che vivono quotidianamente con l’incubo di ritorsioni”.

Da la Voce di Fiore

venerdì 7 agosto 2009

Impegno e ritorno all'ordine


Giovanni Jervis era nato nel 1933, dunque scompare abbastanza prematuramente. E tuttavia, se si pensa alla grande popolarità di cui aveva goduto ai tempi dei “Quaderni piacentini” si deve riconoscere che la sua figura di intellettuale pubblico era notevolmente sbiadita negli ultimi anni. Lo diciamo non come giudizio su di lui – Jervis ha continuato e scrivere e pubblicare fino all’ultimo, con il rigore e l’impegno che hanno sempre contraddistinto il suo lavoro; ma considerando la fortuna e la presenza pubblica della disciplina – una antropologia sociale fondata sulla psicoanalisi, ricca di risvolti politici – di cui era l’esponente di punta in Italia, un personaggio più o meno del livello di Elvio Fachinelli, anche lui morto troppo presto dieci anni fa.
Ciò che si legge nella parabola degli scritti di Jervis, fino al libro liquidatorio dell’antipsichiatria e anche a quello contro il relativismo, è il generale ritorno all’ordine che ha segnato quei movimenti sociali che, a cominciare dalle teorie di Franco Basaglia, di Michel Foucault, di Cooper e Laing, avevano avuto anche nel richiamo alla psicoanalisi e alla psichiatria uno dei loro punti di riferimento decisivi. Nel momento in cui il lavoro di Jervis subisce la definitiva interruzione, il pubblico dei non specialisti – a cui del resto lui si era cosi spesso rivolto – non può non domandarsi se il movimento di ritorno all’ordine che è visibile anche nella psicoanalisi come in altre scienze umane di oggi, abbia un senso positivo e possa essere salutato come un affermazione della razionalità (cosi lo pensava Jervis) oppure non faccia parte di quel “riflusso” conservatore che il troppo e dominante buon senso non smette di raccomandarci.
Gianni Vattimo
(La Stampa, 3 agosto 2009)

giovedì 6 agosto 2009

Sant’Anselmo, quel che resta di Dio

Ecco un articolo pubblicato su La Stampa di oggi, 6 agosto 2009.

Sant’Anselmo, quel che resta di Dio

Lodato dal Papa, a nove secoli dalla morte. Ma la sua “prova ontologica” serve ancora alla religiosità d’oggi?

Si possono formulare idee abbastanza curiose se si rilegge il discorso tenuto dal papa nella cattedrale di Aosta il 24 luglio scorso, durante una visita che era stata presentata anche come un modo di rendere omaggio alla memoria di Sant’Anselmo, il grande teologo medievale aostano di cui ricorre quest’anno il nono centenario della morte. Il fatto sorprendente è che in quella occasione il papa non abbia neanche nominato Anselmo; e che d’altra parte, evocando la famosa battuta di Stalin (“Quante divisioni ha il Vaticano?”), abbia in definitiva confermato in qualche modo la propria adesione a quella che è rimasta famosa come la “prova ontologica” dell’esistenza di Dio formulata per l’appunto da Anselmo e da allora andata sotto il suo nome.

Si può qui parlare di una adesione alla prova di Anselmo nella misura in cui il papa oppone alla considerazione puramente materiale di Stalin, che non crede alla potenza di Dio perché non la vede dimostrata da realtà di fatto, l’impossibilità di negarne l’esistenza in ragione di una più profonda esperienza, quella della fede, che secondo il Papa, e lo stesso Anselmo, non è disgiunta da una sana razionalità. Ricordiamo gli elementi del famoso argomento anselmiano, che è stato chiamato ontologico perché fa leva sullo stesso concetto di essere e sulle sue leggi a cui nessun ente si può sottrarre. Dunque: se cerco di capire che cosa penso quando dico Dio, lo definirò come quell’essere di cui non si può pensare nulla di più perfetto. Ma se non esistesse, vorrebbe dire che c’è un ente più perfetto di lui, dotato appunto dell’esistenza. Dunque non posso negare l’esistenza di Dio senza contraddirmi.

Ma perché rifiutare la rozza battuta di Stalin dovrebbe significare accettare la prova ontologica di Anselmo? Forse proprio l’esigenza di sfuggire a questa domanda ha ispirato – almeno implicitamente – il silenzio del papa (che peraltro, in un discorso precedente dell’aprile scorso, aveva lodato Anselmo come grande esempio di pensatore capace di tenere unite in armonia fede e ragione). Il fatto è che la teologia medievale e moderna ha sempre cercato di non accettare la perentorietà di questo dilemma. San Tommaso e la tradizione aristotelica del pensiero cristiano hanno argomentato l’esistenza di Dio dalle sue opere: Dio come causa del mondo, come motore primo di tutto ciò che si muove, insomma come creatore e signore onnipotente dell’essere. Non proprio la potenza militare a cui pensava Stalin (anche se nell’antico testamento si chiama proprio “Deus sabaoth”, tradotto in latino come signore degli eserciti), ma qualcosa di molto simile.

E’ però questo il Dio di cui parla la Chiesa di oggi? La difficoltà di difendere il creazionismo nella forma letterale che troviamo nella Bibbia sembra costituire una sorta di indiretto invito a non mettere troppo frettolosamente da parte S.Anselmo, e i tanti che si sono ispirati a lui, compreso il padre della filosofia moderna, Cartesio, altro famoso adepto della prova ontologica. Insomma: via via che le scienze empiriche svelano i segreti della natura che credevamo impenetrabili – fino al big bang, fino alla mappatura del genoma, fino all’esplorazione delle più remote regioni dell’universo – diventa sempre più difficile pensare a Dio come al creatore e ordinatore di questo “tutto”. Se c’è una verità della religione, essa sembra doversi cercare solo “in interiore homine”, come diceva Agostino (che per primo formulò una prova del tipo di quella di Anselmo). È solo guardando dentro di noi, riflettendo sulla nostra esperienza di vita, che possiamo forse scoprire la “esistenza” di Dio.

La religiosità moderna è dunque piuttosto soggettiva che oggettiva, potremmo dire. Ma davvero nel senso di Anselmo? “Ontologico” era l’argomento di Anselmo perché riteneva di fondarsi sulla struttura logico-oggettiva dell’essere stesso: è in nome della “logica” che non posso negare l’esistenza di Dio. Ma chi si è mai convertito in base a questo argomento? Persino la logica, nella modernità, è diventata molteplice, e ha sempre più riconosciuto che le sue leggi non sono le leggi dell’essere stesso. Meglio dunque, come ha voluto fare la Chiesa e la teologia tomistica, mostrare ancora sempre che le divisioni a cui pensava Stalin in fondo ci sono. Ma il dilemma indecidibile – o Anselmo o Stalin – potrebbe alla fine significare che è proprio l’esistenza – quella che implica lo stare da qualche parte, il poter essere “oggetto” di una esperienza – ciò che non possiamo attribuire a Dio. Contro Anselmo e Tommaso, il grande Bonhoeffer: “Un Dio che “c’è”, non c’è”.
Gianni Vattimo

A Ferragosto in carcere

Ho raccolto (così come molti altri deputati) l'invito di Rita Bernardini, deputata radicale eletta col Pd, a visitare le carceri italiane, a seguito della vicenda che ha coinvolto il cittadino bosniaco Izet Sulejmanovic. La Corte per i diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per trattamento inumano e degradante - a Sulejmanovic erano riservati circa 2,7 metri quadrati di cella, contro i 4,5 previsti come minimo per chi dimora in cella multipla. A Ferragosto, mi recherò nel carcere di Imperia.

mercoledì 5 agosto 2009

Sessualità pillola e scomunica

Un mio articolo da La Stampa di oggi, 5 agosto 2009, sulle avventure della pillola RU486.
Sessualità pillola e scomunica
Ci si perdoni l’impertinenza: ma il motto «Non lo fo per piacer mio ma per dare figli a Dio», che forse qualcuno dei più anziani fra noi ha ancora visto ricamato sulle lenzuola della propria nonna conservate nel baule dei ricordi, non era forse il riassunto della morale che la Chiesa cattolica instillava alle giovinette timorate che si preparavano al matrimonio - un scelta di vita comunque sempre meno «perfetta» di chi decideva per la verginità, uomo o donna che fosse? E adesso, per rafforzare la scomunica ipso facto minacciata a chi ricorre alla pillola RU486, anche al medico che la prescriva, i rappresentanti della gerarchia cattolica ci parlano del «significato profondo della sessualità» che proprio la Chiesa avrebbe il compito di insegnare e difendere. E invitano il governo - che temiamo non insensibile a questi richiami - a porre immediato rimedio alla minaccia di un «salto nel buio» che la RU486 rappresenterebbe per l’Italia, che si accinge finalmente ad ammetterla, buona ultima tra i numerosi Paesi europei che evidentemente, avendone ammesso l’uso da anni, si rivoltano nelle tenebre dell’inciviltà.
«Il governo - citiamo sempre monsignor Anfossi, dall’intervista sulla Stampa del 31 luglio - deve bloccare tutto e stanziare fondi per formare i giovani al giusto senso della sessualità», divenendo così finalmente uno Stato etico o decisamente una dépendance del Vaticano, ancor più di quanto non sia ora. E per evitare di dover ricorrere all’aborto, se si esclude il voto di castità prematrimoniale o extramatrimoniale (così poco rispettato del resto da tanti membri del clero), sarà il caso di educare i giovani all’uso del profilattico? Absit! Non sia mai, lo ha insegnato autorevolmente Giovanni Paolo secondo e lo ha confermato il suo successore: chi si azzarda a far sesso deve farlo senza il diabolico ordigno, anche a rischio di infettarsi e infettare di Aids il proprio partner.
Come ricorda una delle giovani intervistate da Monica Perosino sullo stesso numero della Stampa, che dovrebbero sentirsi umiliate e aver sofferto profondi dolori fisici usando la pillola maledetta, «l’interruzione farmacologica della gravidanza è più simile a un aborto spontaneo, aiuta a far sembrare tutto meno violento». Ma proprio questo è ciò che ispira la scomunica dell’aborto chimico, dice un’altra delle giovani intervistate. «Perché non fa soffrire, perché è psicologicamente più facile da sostenere. E come si può espiare la colpa senza la penitenza?».
Non molti anni fa - ma fortunatamente sembrano secoli - un cardinale di Santa Romana Chiesa (e forse non era il solo, andiamo a memoria) diceva che l’Aids è il giusto castigo di Dio per coloro che praticano il vizio «contro natura» dell’omosessualità. Se leggiamo con attenzione i due interventi affiancati - e non solo spazialmente - di monsignor Anfossi e della sottosegretaria Roccella - non riusciamo davvero a convincerci che la RU486 sia una minaccia alla salute, alla dignità della donna o addirittura alla civiltà del nostro Paese. Non difendiamo assolutamente una concezione solo edonistica o consumistica della sessualità, dunque riconosciamo che molto spesso l’etica cattolica ha avuto ragione nello stigmatizzare simili eccessi. Ma se abbiamo ereditato dal passato una cultura machista che ha cercato sempre solo di equilibrare la repressione sessuofobica con il ricorso (riservato! Nisi casti saltem cauti) ai più vari tipi di escort, non sarebbe il caso che anche la Chiesa, che nella nostra tradizione ha avuto sempre un peso così centrale, rivedesse le proprie certezze sul «giusto senso della sessualità»?
Gianni Vattimo