mercoledì 30 settembre 2009

Italia ed Europa, un'alleanza in difesa dell'informazione


Italia ed Europa, un'alleanza in difesa dell'informazione

Il 3 ottobre saremo in piazza del Popolo per partecipare alla manifestazione indetta dalla FNSI in difesa dell’informazione libera, oggetto di un virulento attacco da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi. La difesa del diritto di informare e di essere informati, che coinvolge operatori del settore e società civile, si inserisce infatti in una battaglia più generale e vitale: quella a tutela della libertà di pensiero e di espressione, cuore pulsante di ogni democrazia.

Il Governo e la sua maggioranza stanno conducendo un'azione volta ad annichilire il pluralismo dell’informazione, attraverso due livelli di intervento. Il primo consiste nella diretta azione da parte del Presidente del Consiglio verso la stampa e la televisione: minacce e discredito riversati all’indirizzo dell’informazione italiana davanti ai media internazionali, cambiamento dei palinsesti televisivi, apertura di istruttorie e impedimento al regolare svolgimento di trasmissioni programmate (Ballarò, Report, Annozero), per rispondere all’esigenza di propaganda politica senza voci concorrenti. Il secondo, invece, percorre la strada dei provvedimenti legislativi, pensati (come il ddl intercettazioni) con lo scopo di ridurre al silenzio l’informazione e impedire l’autonomo lavoro della magistratura.

L’Italia si sta così trasformando in Europa in un’anomalia senza precedenti nella storia contemporanea, ma che ha origine quindici anni fa con l’ingresso in politica di Berlusconi: un capo di Governo che controlla direttamente o indirettamente parte significativa della stampa e della televisione, compresa quella pubblica, cercando di piegarle al proprio interesse. Un comportamento che vìola la Carta costituzionale, ma anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la Carta dei diritti fondamentali dell' Ue.

Per questo l’Europa può essere un alleato prezioso per difendere la nostra democrazia perchè il Governo di uno Stato membro ha il dovere di rendere conto del suo operato all’Ue quando si configura una lesione dei diritti. Il potere di controllo e di pressione da parte di Bruxelles sarà quindi fondamentale per cercare di respingere il tentativo berlusconiano di annientare la libertà di informazione e, insieme ad essa, svuotare di senso la democrazia nel nostro Paese.

Come parlamentari dell’Italia dei Valori-ALDE stiamo conducendo questa battaglia con la convinzione che essa sia decisiva per il futuro democratico italiano ma anche europeo. Il 7 ottobre la condizione dell’informazione in Italia sarà oggetto di un dibattito all’Europarlamento, mentre una risoluzione sul tema sarà votata alla fine di questo stesso mese a Strasburgo. Si tratta di iniziative politiche che sono il frutto delle reiterate richieste che l’IdV e l’ALDE hanno avanzato in queste settimane, quando l’escalation di attacco e intimidazione verso i media hanno raggiunto una recrudescenza tale da spingere alla mobilitazione del 3 ottobre, a cui lo stesso ALDE ha dato il suo pieno sostegno e appoggio. Appare perciò difficile da sottoscrivere l’appello del Capo dello Stato a non rendere l’Europa ‘cassa di risonanza’ delle vicende politiche interne: di fronte all’aggressione verso lo stato di diritto democratico che si registra nel nostro Paese, l’occhio dell’Europa deve essere vigile e la sua voce forte nel chiedere che sia rispettata la libertà di espressione e informazione.

On. Alfano Sonia
On. Arlacchi Pino
On. de Magistris Luigi
On. Iovine Vincenzo
On. Rinaldi Niccolò
On. Uggias Giommaria
On. Vattimo Gianni

Lettera da un gruppo di europarlamentari sulla libertà e il pluralismo dei media in Italia


Lettera da un gruppo di europarlamentari sulla libertà e il pluralismo dei media in Italia

Il rischio di una violazione della libertà e del pluralismo dei media in Italia è una questione che riguarda tutta l'Europa e che richiede una risposta Europea.

A seguito di una serie di azioni legali del primo ministro italiano contro numerosi giornali italiani ed europei, il Parlamento Europeo ha deciso di studiare il 7 Ottobre la possibilità di prendere una posizione verso il rischio di una violazione del pluralismo e dell'indipendenza dell'informazione. Il 22 Ottobre una risoluzione verrà presentata in assemblea plenaria, e chiediamo ai nostri colleghi europarlamentari di sostenerla.

La questione della libertà e pluralismo dell'informazione in Italia è necessariamente una questione di interesse europeo. La mancanza di una risposta europea rappresenterebbe una minaccia diretta al diritto di libertà d'espressione in tutta l'Unione europea, metterebbe in pericolo i progressi compiuti nei paesi dell'ex Unione Sovietica accolti nell'Unione, e limiterebbe l'autorità di qualsiasi condanna europea verso il controllo della stampa nel resto del mondo.
Le istituzioni europee hanno l'autorità di condannare le intimidazioni alla stampa in Italia e di aprire una procedura legale secondo l'Articolo 7 dei Trattati. L'interesse che dimostrano verso la situazione in Italia non è sintomo di endemica anti-italianità, ma segnale di una forte preoccupazione per la possibile lesione di una delle libertà fondamentali su cui è costruita l'Unione Europea in uno dei suoi paesi fondatori.
Lorenzo Marsili e Niccolo Milanese (Direttori, European Alternatives)


I seguenti europarlamentari sono fra i sostenitori della Campagna Europea per la Libertà dei Media in Italia (www.stampalibera.eu) lanciata dall'organizzazione indipendente European Alternatives Rosario Crocetta, Parlamentare Europeo (Italia): Sonia Alfano, Parlamentare Europeo (Italia): Luigi de Magistris, Parlamentare Europeo (Italia): Gianni Vattimo, Parlamentare Europeo (Italia): Sylvie Guillaume, Parlamentare Europeo (Francia); Vincent Peillon, Parlamentare Europeo (Francia); Sarah Ludford, Parlamentare Europeo (Regno Unito); Claude Moraes, Parlamentare Europeo (Regno Unito); Judith Sargentini, Parlamentare Europeo (Olanda).


Povera e nuda vai, teologia

Povera e nuda vai, teologia
La Stampa - 27 settembre 2009
Ma nei tanti discorsi che si sono fatti e si fanno sulla religione c’è davvero qualche contenuto «teologico», che abbia da fare con Dio? Si tratta sempre e solo dell’esistenza di Dio; cioè della differenza tra chi crede e chi non crede, e cioè ancora: tra chi ascolta, obbediente, la Chiesa e chi no. Dove mai, nelle discussioni di questi tempi, si dibatte sulla predestinazione, l’incarnazione, o meno che mai sulla Trinità?
Un passo avanti nel dibattito potrebbe essere il capire che la relativa povertà di argomenti teologici presenti in queste discussioni dipende dal fatto che ormai la questione di Dio non è più tanto una questione dottrinale, ma piuttosto una questione di potere. È l’ipotesi che viene spontanea quando si constata, anche a livello elementare, che ciò che scandalizza credenti e non credenti nel cristianesimo è l’autorità della Chiesa, non questo o quell’aspetto della figura o dell’insegnamento di Gesù. Chi mai ce l’ha con Gesù Cristo tra coloro che si dichiarano atei o agnostici? Detto in termini più brutali: tutto ciò che ci allontana o minaccia di allontanarci da Gesù è la Chiesa stessa (intesa come «Chiesa docente», la gerarchia cattolica), a cominciare dalla sua pretese di decidere in termini autoritari sulle leggi che devono esser fatte valere in uno Stato democratico (la bioetica e la morale sessuale e familiare sono solo la punta dell’iceberg). La Chiesa, cioè, come centro di potere. Quando Papa e vescovi stigmatizzano il nichilismo e il relativismo che «impediscono una vita autentica» (è il cardinale Caffarra citato da Armando Torno nel Corriere della Sera del 23 agosto) si preoccupano davvero della «insensatezza» dell’esistenza di relativisti e nichilisti, oppure del fatto che costoro non accettano un riferimento assoluto e cioè una autorità ultima - Dio e i suoi rappresentanti sulla terra?
Si può essere relativisti e tuttavia professarsi religiosi, in un senso che non equivalga semplicemente all’accettazione dell’autorità della Chiesa? Sembrerebbe di sì, se pensiamo alla concezione della religiosità che si trova per esempio in un grande teologo protestante profondamente cristiano come Schleiermacher, che parlava del «puro sentimento della dipendenza» dall’Infinito, che potremmo tradurre con la «coscienza della creaturalità»: non mi sono fatto da me, provengo da una decisione che mi ha consegnato a me stesso e che mi chiama a una responsabilità che dà senso alla mia vita e alla storia (non puro effetto del caso, non puro lampo che viene dal niente e va verso il niente). Sappiamo che il Cristianesimo cattolico identifica la creaturalità con la dipendenza dal Dio che si rivela in Gesù Cristo e che parla attraverso i profeti e poi attraverso l’autorità della Chiesa. Prendere atto che è proprio l’autorità della Chiesa (e troppo spesso la sua connivenza con il potere) ciò che scandalizza i credenti nel nostro tempo potrebbe non essere solo - come Papi e vescovi ci hanno sempre detto - una ordinaria prova di fede attraverso cui dobbiamo passare, ma il segno di una diversa epoca nella storia della salvezza e della Chiesa stessa. Se nei secoli passati la missione della Chiesa è stata quella di far conoscere la buona novella (con i suoi dogmi, la storia dei miracoli ecc.) a tutti i popoli, oggi - dopo l’epoca della lotta alle eresie, della colonizzazione e delle conversioni di massa - può ben darsi che la missione non consista più nel chiarimento e nell’annuncio della dottrina, e nella difesa dalle eresie, ma nell’abbandono delle pretese di autorità che allontanano i credenti dall’amore di Gesù Cristo.
Se no, come accade sempre più spesso, i discorsi «teologici» che trovano tanto spazio nella nostra pubblicistica sono pura edificazione - chiacchiere esortative limitate a variazioni su un tema che non muta mai i suoi termini - che non prevede storia e nemmeno salvezza. In molti sensi, è vero pure per i credenti non papisti, diremo, che noi ci muoviamo sempre soltanto nel quadro della tradizione giudaico-cristiana - anche quando pretendiamo di starne fuori: neanche, e anzi soprattutto, gli illuministi più convinti riescono davvero a pensare la storia senza un senso e dunque senza una qualche sopravvivenza dello «spirito», che significa provenienza, responsabilità, destinazione (per problematica che sia).
Ma è proprio per rispetto della storicità dello «spirito» che occorrerebbe prendere atto della fase attuale della storia della salvezza: una fase che possiamo salutare positivamente come nichilistica e relativistica, solo perché in essa (come forse nel caso della «carità», l’unica virtù che non perirà mai, per il San Paolo della seconda Lettera ai Corinzi) oggi non è più questione di dottrina, di nozioni, di lotta sul terreno delle teorie, ma soltanto di rinuncia esemplare alla violenza del potere.
Gianni Vattimo

martedì 29 settembre 2009

“El peor populismo que conozco es el de Berlusconi”

“El peor populismo que conozco es el de Berlusconi”
Vattimo está enrolado en la izquierda radical italiana y sostiene que en Europa los comunistas tienen que permanecer en la oposición y negarse a llegar al gobierno “de cualquier manera”. Tiene esperanzas en los procesos latinoamericanos como el de Chávez, Evo y Lula y ve a los Kirchner “más cerca de Chávez que de Uribe”.
Por Mercedes López San Miguel (Página/12)

–¿Cómo se aplica su concepto de “pensamiento débil” en esta sociedad globalizada?
–Un pensamiento débil intenta ser el de un comunismo posmoderno, menos dogmático y menos científico. El comunismo de hecho es débil, pero puede salvarse aceptando cierta falta de vigor. Por ejemplo, renunciando a ser gobierno a cualquier precio. La izquierda italiana devino en un partido de gobierno que se corrompió.

–¿Cree factible que un partido político renuncie a ser gobierno?
–Me refiero al caso de Italia. En este momento no hay un verdadero partido de oposición y a eso debieran aspirar las fuerzas más progresistas. Cuando deviene en gobierno, pierde sus características de izquierda. Es como cuando se llega a papa, se vuelve reaccionario. Sé que es paradójico. No se trata de decir que nunca debe ser gobierno, sino que hay que ir por las luchas sociales en lugar de buscar ministerios.

–En Italia la izquierda radical desapareció y el Partido Democrático (PD) no parece representar los postulados de la izquierda. ¿Puede haber una alternativa real a la derecha gobernante?
–Espero que sí. Fui elegido como parlamentario europeo para la formación Italia de los Valores (IDV), liderada por Antonio di Pietro, un ex magistrado demonizado por los moderados por “demasiado polémico”. Su partido es el único formalmente existente. La izquierda radical no existe más, porque se dividió en muchos partidos, rivales entre ellos, por pequeñas burocracias. Yo dije: “Hasta que no vea las razones de esta división no me postulo por ninguno. Ellos no iban a lograr el piso para obtener al menos un diputado en el Europarlamento” y no me equivoqué. Inicié la campaña entonces con el movimiento de Di Pietro porque quería asegurarme que aunque sea hubiera un legislador comunista. Los comunistas no existen en el parlamento de Italia como tampoco en el europeo. Existen solamente estos partidos democráticos que pretenden ser la izquierda y que hacen todo menos una política de izquierda: hacen una política de capitalismo razonable. No existe más un proyecto de transformación, prevalece solamente la idea de moderar la violencia del capitalismo salvaje. Esto provoca un daño también desde el punto de vista electoral para el Partido Democrático, porque la gente de izquierda no lo vota más, está desencantada; y vota a estos partidos pequeños. Obviamente que en Italia la izquierda nunca fue mayoría, pero hubo períodos en los cuales era más fuerte. Después de que el PD perdió su identidad, los de la Refundación Comunista lo abandonaron y se juntaron con otros aliados menores en coalición La izquierda Arcoiris, pero no ganaron las elecciones. Un poco porque no tienen dinero y otro tanto por la gran propaganda que se paga la derecha. No hay un engaño en esto. Presenciamos la popularidad de un capitalismo tranquilizador en el que sobresalen los berlusconianos y los demócratas. Los berlusconianos son la derecha despreciable y los otros no existen como unidad: no existen como programa político. Es una situación desesperante.

–Entonces ¿cómo puede renacer la izquierda?
–Sólo a través de una crisis más profunda en el sistema económico. El problema se presenta así: vamos a restaurar el capitalismo banquero como hacen los Estados Unidos o vamos a tomar un poco más seriamente esta crisis y transformar las estructuras sociales. La tendencia de los demócratas ex izquierda es la de restaurar el capitalismo porque creen que es el único que sistema que produce riqueza. Yo no lo creo. Se agrandó la brecha entre ricos y pobres, y sin embargo, hablan de “progreso económico”. Tuvimos que financiar con nuestros ahorros el salvataje a los banqueros. A ese salvataje se lo hace pasar como una manera de salir de la crisis financiera.
–¿Se degradó la política con la vuelta de Silvio Berlusconi?
–Absolutamente. Berlusconi es el jefe de un partido favorable a todo lo peor: el rechazo a los inmigrantes clandestinos con muertes en el mar de Sicilia; la reducción de la seguridad social; el gasto en una guerra inútil como es la de Afganistán. Tenemos un presupuesto de defensa bastante alto que podría ser utilizado para subvencionar escuelas y universidades. Pero esto no se hace porque estamos en este horizonte llamado la OTAN y porque el problema del presupuesto italiano es que no existe una lucha contra los evasores de los impuestos. Una cantidad de presencia de mafia en el sistema político italiano es favorecida por Berlusconi. Il Cavaliere siempre fue amigo de los mafiosos. No sé si él personalmente lo es, sería muy extraño que no lo sea, porque efectivamente muchos gastos inútiles del país pasan a través de los impuestos secretos que se pagan a la mafia. El instituto de la seguridad social es ahora un instituto activo económicamente, no se puede decir que las jubilaciones y la seguridad social cuesten demasiado; pero la salud cuesta demasiado porque se encuentran muchísimos porcentajes pagados a la mafia. Un señor llamado Gianpaolo Tarantini le enviaba prostitutas a Berlusconi y traficaba drogas. Esto es simbólico: un señor que provee a los placeres del primer ministro es uno que trafica con el dinero de la sanidad pública. Cuando pienso en esto tengo un poco de vergüenza de ser italiano. Siempre me digo que tendría que tomar la ciudadanía española... El otro tema es el de la concentración mediática. Berlusconi domina casi todos los medios de comunicación. El diario La Repubblica es opositor y resiste los embates. Yo no me identifico con ese periódico, lo conozco bien, comprendo que es una lucha entre dos poderes económicos, pero entre ambos me quedo con La Repubblica.
–¿Qué opina de las intenciones de Berlusconi de modificar la Constitución?
–Quiere más poder. El se presenta como un hombre “del hacer”. La Constitución de la Repúlica Italiana entró en vigencia en 1948, es reciente y tiene sistemas de garantías que hacen que el trabajo parlamentario sea un poco lento. Berlusconi, como es un empresario, básicamente imagina poder modificarla de una manera más presidencial. Es decir, menos poder al Parlamento y más al presidente, que es él.

–¿Este objetivo se trabó a raíz de los escándalos sexuales?
–No lo sé. Las historias escandalizan a la Iglesia, pero Berlusconi tiene una moneda de cambio con esta institución: el testamento biológico. La Iglesia pone por encima el valor absoluto de la vida, no importa si la persona está casi muerta o sin esperanza de recuperarse. ¿Por qué no le permite morir? Porque se basa en la represión sexual, lo que yo llamo la “espermolatría”, un argumento basado en la reproducción. Es una manera de hacer sufrir más a la gente. “Los últimos días de vida van a ser los peores porque te prohíbo morir”, así piensa la alta jerarquía católica. Para los berlusconianos, la hidratación y la alimentación no pueden interrumpirse porque no son terapias –se pueden rechazar las terapias según dice la Constitución–. El caso de Eluana Englaro, la mujer que estuvo en estado vegetativo durante 17 años, causó una fuerte polémica en el país porque Berlusconi quería impedir que se la desconecte de la máquina en base a ese argumento de que “si yo lo alimento y le doy agua no hago terapia”. Eluana murió en febrero pasado en medio del debate sobre la ley. Berlusconi está intentando chantajear a la Iglesia con la idea de que les garantiza ese “respeto a la vida” del paciente terminal y a cambio le perdonan su putanismo.
–¿Usted es católico, no?
–Yo soy cristiano. Me gustaría ir a la iglesia todos los días, pero tengo tanto rechazo a su jerarquía por los motivos que le menciono... Yo soy profesor honorario de algunas universidades católicas en América latina, pero en Italia no puedo poner el pie en una universidad católica. El problema del Estado vaticano es terrible, es un impedimento al progreso civil. Italia no tiene una ley de unión civil entre homosexuales; no existen leyes de bioética. Tenemos una ley de aborto contra la que lucha la Iglesia. Esta institución dice que la píldora del día después no se puede tomar porque reduce la “dignidad de la sexualidad”. Esto significa que el aborto tiene que ser algo “doloroso, difícil, traumático” para que así se sancione la conducta.

–La intolerancia con el inmigrante no es exclusivo de Italia. ¿A qué se lo atribuye? No es el hombre posmoderno que usted imaginó, uno más tolerante...
–La intolerancia no es de tipo ideológico. Es un problema de diferencia de clase, no de costumbres. En Europa, los países pobres de Africa y de Europa oriental presionan al intentar entrar; esa presión crea trabajo clandestino. La clandestinidad crea sacos de delincuencia. A la vez, genera un clima que algunos partidos políticos explotan políticamente como lo hace la Liga Norte. Esta formación está en el gobierno y obliga a implementar políticas racistas. El problema tiene aspectos psicológicos de masa que son explotados por la derecha, pero que tal vez no sean tan graves objetivamente. Italia necesita de la inmigración, entonces tendría que regularizar más a los indocumentados. Regularizarlos significaría la reducción de la explotación que hacen las empresas con ese trabajador clandestino. Es una cadena insana. Hay un problema de Europa también: el miedo al trabajo de Europa del Este, ese plomero polaco al que los franceses tenían miedo porque era una amenaza. Las desigualdades se podrían combatir con leyes internacionales que no se aprueban. En las diferencias de costo del trabajo entre Europa oriental y occidental ganan muchísimo los capitalistas que desplazan las industrias de Italia a Rumania. El capitalismo utiliza esas diferencias para aumentar los beneficios. Y sufren los pobres de Bulgaria, Rumania, etcétera.
–Esto que piensa para Italia, de que la izquierda no sea gobierno, no lo imagina para América latina. Usted dijo que los jóvenes socialismos de la región son el futuro.
–Chávez, Morales, Correa, Lula, espero que lo sean.

–¿Qué opina de los conflictos que se dan en América latina entre una izquierda o centroizquierda y una derecha revestida de un discurso republicano y con fuerte apoyo de los medios?
–Veo países latinoamericanos que están a la izquierda como Venezuela, Cuba, Bolivia, incluso Brasil, un poco Argentina. Pero la Argentina siempre ha sido considerada como parte del movimiento de democratización social en Latinoamérica después de los Kirchner. Estando acá me doy cuenta de que son peronistas, que están más del lado de Lula que de Uribe. Colombia está más a la derecha, por su condición de fuerte dependencia con Estados Unidos. Los otros países son una posible alternativa al orden capitalista; una forma de socialismo en pro de la igualdad. No se puede ignorar la popularidad de Chávez. La prensa está en su contra. Me golpea el hecho de cuando voy a Venezuela no tengo un diario para leer, son todos opositores. Hay una mezcla de poder económico y de medios de tipo burgués o de clase media que no puede querer a Chávez, porque siente amenazados sus privilegios. Esa imagen cambia si uno va a los pueblos, en todos los barrios donde están comprometidos maestros cubanos, médicos... es extraordinario.

–¿Usted tiene una lectura negativa del concepto populismo?
–Desconfío mucho del concepto. Se utiliza en contra de Chávez. A mí me parece que es como un exorcismo decir “es populista”, sobre todo, porque ¿implica un exceso de confianza en la democracia formal? Chávez siempre ha respetado la democracia formal, hubo 10 elecciones y ha perdido una por muy pocos votos. Hace tres años, antes de que Fidel Castro se enfermara conversé con él. Bueno, fue una conversación de tres horas y media, él habló tres y yo media (se ríe). Lo escuché con una admiración enorme. Castro me decía que él había aconsejado a Evo Morales que no eliminara las elecciones, que respetara las formas de la democracia. El peor populismo que conozco ahora es el de Berlusconi en Italia, que hace elecciones pero que tiene una actitud paternalista, es dueño de los medios, de las publicidades, más populismo que eso no hay, en su sentido negativo. Si Chávez es populista, entonces ¡que viva el populismo!

–Sigue siendo chavista.
–Sí, claro.

–¿Que opina de una medida redistributiva como la que intentó el gobierno argentino de cobrar retenciones a la soja pero que no prosperó ante una fuerte oposición?
–El problema de la transformación socialista de las sociedades se da porque tal vez las fuerzas reaccionarias resisten. Tal vez no tiene éxito porque los que quieren la reforma no la encuentran bastante reformista. Hay que tener en cuenta estos dos factores. De todas formas, me gustaría estudiar más el tema.

–¿Le genera alguna expectativa el presidente Barack Obama?
–Sí. Prefería a Obama antes que a McCain. Un afroamericano que llega a presidente es de por sí una novedad y un paso adelante. Ahora, ¿es una novedad transformadora o no? El dice que quiere retirar las tropas de Irak, pero pide más soldados para Afganistán. Es decir, que el sistema industrial-militar de los Estados Unidos no se siente muy amenazado por el nuevo líder. Por otro lado, la reforma de la salud me parece muy importante. Pero existen dificultades para que sea aprobada, incluso entre los demócratas. Voy a esperar un poco. No sé, escucho lo que dice Chomsky y él no cree mucho en el carácter transformador de Obama.
mercelopez@pagina12.com.ar


lunedì 28 settembre 2009

domenica 27 settembre 2009

In Europa per difendere l'Italia

È dovere degli eletti al Parlamento europeo dare seguito al mandato ricevuto dai cittadini anche denunciando il solco sempre più profondo che separa l’Italia dal resto d'Europa. È interesse vitale di tutta l’Europa intervenire per correggere le profonde anomalie di uno Stato membro.
Il Parlamento europeo non può non recepire le ansie già espresse in numerosi Paesi dell’Ue e non esprimere l'inquietudine per le ripetute violazioni della libertà di informazione, per il conflitto d’interesse del Presidente del Consiglio, per il tentativo perpetrato dal Governo Berlusconi di asservire a sé anche il sistema radiotelevisivo pubblico, per gli abusi sui diritti elementari degli immigrati e richiedenti asilo.
L’Italia dei Valori sta lavorando seriamente in Europa per rappresentare gli interessi del mondo del lavoro e dell’economia del Paese e per dare slancio al progetto federalista. Sarebbe quanto meno paradossale che venisse censurata la promozione di dibattiti trasversali e trasparenti in seno all’istituzione democratica per eccellenza dell’Unione europea, anziché contrastare l’occultamento delle responsabilità da parte di chi sta portando il Paese alla deriva.
Non possiamo essere solo noi italiani a non accorgerci dello stato comatoso della democrazia nel nostro Paese. Per questo l’Italia dei Valori ha già portato il problema della libertà d’informazione all’attenzione dell’Europa.
I parlamentari europei dell’Italia dei Valori


sabato 26 settembre 2009

Se Dio è persona, la fede non appartiene alle Chiese

Se Dio è persona, la fede non appartiene alle Chiese

La religiosità secolare. Un’esperienza sempre più «individualizzata»: un saggio del sociologo Beck letto da Vattimo, che interviene domani a «Torino Spiritualità»

La Stampa - TuttoLibri, 26 settembre 2009

Anche se molti fondamentalisti non sono d'accordo, è ormai abbastanza generalmente acquisito che la secolarizzazione - l'erosione e trasformazione in senso laico della tradizione religiosa - è un fenomeno legato all'essenza stessa della religione, e in particolare un vero fenomeno cristiano.
È da qui che parte il libro del sociologo tedesco Ulrich Beck, il quale intitola la sua opera Il Dio personale. Un'espressione che a prima vista sembrerebbe esprimere la più pura ortodossia cristiana, giacché, come abbiamo imparato dal catechismo, Dio è per l'appunto una persona, non un'entità astratta o una specie di nome per la totalità dell'essere. È solo a un Dio personale in questo senso che si possono rivolgere preghiere e atti di amore.
Ma nel titolo di Beck il termine «personale» allude piuttosto al credente stesso: noi ormai crediamo in un dio nostro, termine di una esperienza che ciascuno vive in proprio e secondo la propria identità più profonda.
Spesso i fondamentalisti parlano di questo come di una «religione à la carte»: secondo loro, oggi ognuno si fa la sua religione, o possiamo dire il suo Dio, secondo i propri gusti e ideali individuali. Beck suggerisce che in fondo un Dio personale nel primo senso, più oggettivo, del termine, non può alla lunga che divenire anche un Dio personale nel secondo senso: se il Dio in cui crediamo è una persona è difficile che non ci rapportiamo a lui a nostra volta come persone specifiche.
Questo è in fondo il senso della secolarizzazione: non una dissoluzione e presa di congedo dal religioso, ma lo sviluppo di una esperienza sempre meno rigidamente istituzionalizzata del rapporto con Dio. E proprio il cristianesimo, con la sua insistenza sulla coscienza individuale, ha spinto la religiosità in questa direzione.
È il problema di fronte a cui si trovano oggi le chiese, non solo la cattolica e non solo le chiese cristiane. Beck, che è un sociologo, documenta fenomeni analoghi a quella che chiamiamo secolarizzazione anche in altri territori religiosi, e anzitutto nell'Islam. La questione è insomma, sul piano descrittivo su cui si colloca Beck: come si stanno configurando e si configureranno le grandi religioni della tradizione, in un mondo come il nostro, nel quale modernità e post-modernità sembrano tutte, anche se in modi diversi, orientare la credenza religiosa nel senso di una sempre maggiore individualizzazione?
Non è solo un problema per le gerarchie ecclesiastiche, che vedono ridursi la propria autorità nella sfera pubblica e incontrano sempre più resistenza da parte degli stessi fedeli che pure professano il loro credo. Anche per i credenti sembra difficile immaginare una vita religiosa senza istituzioni, senza i riti, le feste, in generale la «guida» delle loro tradizionali autorità. E si noti poi, come mostra bene Beck, che la secolarizzazione «occidentale» (riscontrabile soprattutto nel mondo cristiano europeo-americano) non solo non significa una diminuzione della religiosità, ma ha anche un potente contraltare (è il caso di dirlo) nella crescente diffusione del cristianesimo, cattolico o protestante, in regioni come Africa, Asia, America Latina. Il che conferma che le chiese sono, come dice il sociologo, dei global players, degli agenti globali.
Utile ricordarlo a noi italiani che spesso, guardando alla situazione della Chiesa cattolica in Italia, abbiamo l'impressione non immotivata che qui si stia assistendo agli ultimi spasimi di un «potere» tanto più esigente e dispotico quanto più consapevole del proprio declino.
Le chiese, insomma, lungi dall'essere alla fine, come pensava e voleva una teoria troppo ingenua e lineare della modernizzazione e della secolarizzazione, manifestano oggi una vitalità rinnovata proprio nella misura in cui sono, nella loro stessa costituzione originaria, soggetti globali e dunque adeguati all'epoca della mondializzazione. In qualche senso, la religiosità è tanto più universalistica quanto più è individualizzata. Sono le istituzioni ecclesiastiche, molto più che la fede individuale, a pretendere l'esclusiva del rapporto con il divino, verso l'esterno, e verso l'interno l'ortodossia dei loro fedeli.
Naturalmente Beck non si nasconde i tanti rischi che l'individualizzazione della religiosità porta con sé. Non solo certi fenomeni - visibili soprattutto in America – della nascita di nuove sette spesso ispirate da pastori o guru che badano soltanto agli affari. Piu sottilmente, il grande rischio è che le coscienze individuali siano profondamente manipolate dai media e dal potere - una questione a cui è sensibile soprattutto Juergen Habermas, che Beck cita spesso nel suo lavoro.
Ma quest'ultimo rischio è ovviamente legato alla questione della libertà politica in un mondo dove i sistemi di controllo e di manipolazione stanno diventando sempre più potenti. Le chiese che cosa faranno per combattere i rischi contro la libertà?
Per Beck, le religioni possono e devono avere un ruolo politico fondamentale nella costruzione di un mondo più giusto. Ma solo, pensa Beck e noi siamo d'accordo con lui, se, con una non facile trasformazione, sapranno sostituire alla dedizione alla verità (solo il nostro Dio è vero e salva, gli altri sono «dèi falsi e bugiardi») il valore prevalente della pace. Non sarebbe anche questo un modo per realizzare il vero trionfo del Cristianesimo come religione della carità?

Ulrich Beck
IL DIO PERSONALE
La nascita della
religiosità secolare
trad. di S. Franchini
Laterza, pp. 258, euro 16

Gianni Vattimo interverrà domani (h.11, Cortile di Palazzo Carignano) a Torino Spiritualità su «Credere di credere» in un dibattito con Ermanno Bencivenga e Alberto Voltolini, moderato da Giancarlo Bosetti, autore di «Il fallimento dei laici furiosi» (Rizzoli).

venerdì 25 settembre 2009

"Etica de la interpretación. Pensar y actuar en el post nihilismo": Conferenza in Argentina (2)



"Hoy, la ética es rechazar una autoridad suprema, la objetividad, una verdad"
El italiano dice que enseña con una actitud erótica y que "dar clase es como una orgía".
Por: Héctor Pavón

Gianni Vattimo seduce a estudiantes y lectores. El filósofo habla con un grupo de universitarios en el lobby del hotel que está abandonando y se lo ve feliz. Enamorado. De eso se trata. "Dar clase es como... una orgía", define sin mover las cejas color ceniza. "Doy clases con una actitud erótica, con los varones especialmente, pero eso no quita que también lo sienta con las alumnas. Y ese erotismo puede surgir en una clase con ancianos... siempre que enseño estoy a la búsqueda de una relación sentimental, del amor". Vattimo, diputado comunista del parlamento europeo, estuvo en Buenos Aires invitado por el Ministerio de Cultura porteño para dar una charla sobre ética. Antes de partir habló con Clarín.

¿Cuánto de erótico puede haber en el diálogo político, en la discusión parlamentaria?
Lo mejor de la política es la campaña electoral, porque hablas con la gente y todo eso tiene algo de erótico. No quiero exagerar porque también se ha dicho que la relación de las masas con Mussolini era algo erótico y Berlusconi pretende hacer lo mismo. Sobre el erotismo de Berlusconi... (no puede contener la risa) se publicó mucho: sobre el cuerpo mismo del líder.

¿Cuánto importa debatir los placeres sexuales de Berlusconi?
A mí no me interesa saber cuántas putas recibe Berlusconi cada noche. Lo que ha tenido relevancia son sus mentiras. Las mentiras que dijo para ocultar, por ejemplo, que fue al cumpleaños de 18 de esa chica. Miente y entonces el problema deviene político, en un problema de la República.

¿La ética debe tomar en cuenta las transformaciones de la política?
Para Aristóteles la política es la cumbre de la ética, la construcción de la comunidad social. Hoy el problema de la ética es liberarse de la ley natural y terminar con la idea de que hay límites, como por ejemplo en la bioética. Hay principios "naturales" que se tratan de aplicar y obviamente aparecen los príncipes que los conocen mejor que uno, un comité central, el Papa, los filósofos de Platón, etc.

¿Se puede construir una ética, una política que renuncie totalmente a esta idea de autoridad básica?
Creo que sí. Pero choca con la Iglesia... La política ética religiosa de la Iglesia ha sido esta: 'nosotros tenemos los principios, ustedes tienen que obedecer'. Esto lo sufro mucho como italiano con la bioética. En muchos países de Europa hay leyes respecto al derecho a morir; en Italia no porque la Iglesia pretende que se aplique la sacralidad de la vida. Pero la vida no es solamente la biología. Entonces se enfrentan: biografía vs. biología. Para mí la ética hoy significa rechazo a la pretensión de autoridad suprema de algunos principios, de la tradición de la objetividad, de una verdad a la que hay someterse. Y esto tiene que ser como la democracia en el sentido de aplicar leyes compartidas, obviamente es un camino largo.

¿Qué implica la triple identidad cristiana comunista homosexual?
Es la mejor mezcla posible: no sería comunista si no fuera cristiano. Cómo homosexual no tengo más problemas en esta sociedad. Nadie me objeta nada. El cristianismo me ha educado en el sentido de una sociedad caritativa, solidaria y esto se realiza políticamente sólo en el marco de una sociedad sin clases, de igualdad. Obviamente el comunismo no tiene mucho que ver con el comunismo de Stalin. Pero empiezo a no estar seguro de que Stalin fuera sólo un loco. Nos ayudó contra el nazismo. No fueron los Estados Unidos los que liberaron Europa sino los muertos de Stalingrado, la armada roja. Passolini también era comunista, cristiano y gay. Pero lo vivía dramáticamente. Lo echaron del PC por ser homosexual. Y de este modo yo puedo comprender el dramatismo en su obra.



“Es irrazonable votar por Berlusconi”

La pequeña multitud que abarrotó el Salón Dorado se llevó un profundo repaso de las convicciones del filósofo italiano, que supo meterse en temas tan áridos como las interpretaciones de la ley o de candente actualidad como Il Cavaliere.
Por Silvina Friera

En el Salón Dorado de la Casa de la Cultura hay gente de a pie y de pie, estudiantes de filosofía y un grupo de devotos vattimianos que leen los libros del filósofo italiano porque los “ayuda a ser mejores” y a ponerse en la ontología de presente, como dice su discípula española, la filósofa Teresa de Oñate. Gianni Vattimo, el hombre en cuestión, el centro de todas las miradas, el que sacude las orejas de la audiencia y mueve las manos, como si espantara un fantasma, cuando menciona a Berlusconi, comienza su charla sobre “Etica de la interpretación. Pensar y actuar en el post nihilismo”. Prefiere arrancar con una anécdota. Cuando fue un joven dirigente de la Acción Católica italiana y tenía un lenguaje técnico, acaso un tanto alambicado, lo enviaron a dar una ponencia en una parroquia de un campo remoto, donde había jóvenes campesinos. Al final el cura dijo: “Ahora voy a explicarles lo que el joven quiso decir”. La broma va dirigida a su discípula Oñate, quien hizo una chispeante presentación de la columna vertebral del pensamiento filosófico de Vattimo.
“Cuando tú hablas una lengua artificial que has inventado, tienes que respetar las reglas de esta lengua, incluso si inventas un lenguaje muy privado; hay una fuerza normativa de la lengua que se impone. Siempre el lenguaje es una toma de responsabilidad frente a otros”, planteó el autor de La sociedad transparente. “Todo se funda sobre la idea de que no puede haber en tu lenguaje una contradicción performativa; si no respetas algunas estructuras, no puedes ni siquiera pensar.” Al repasar la labor filosófica de los últimos veinte años, desde la publicación de Etica de la interpretación, Vattimo confesó que siempre desconfió de la metafísica, de la idea de que el ser es algo dado por su estructura. “Siempre tememos a la violencia: un martillazo sobre mi dedo es violencia, pero si voy al dentista y me explica cómo pasa y por qué tiene que acontecer, esto no es violencia. Es decir que la violencia es el hecho de no respetar tu libertad”, explicó. “Pascal dijo que la ley humana es contradictoria y absurda porque si de este lado del río matas a alguien, eres un asesino; si lo matas del otro lado, eres un héroe.”
La idea de fundar una ética sobre estructuras metafísicas es lo que inspiraba a Vattimo dos décadas atrás. Y la polémica en contra del neokantismo habermasiano. “No era tan estúpido sospechar de Habermas, y estoy de acuerdo políticamente en casi todo con Habermas, pero el hecho de que recientemente empezara a hablar del derecho fundado en una ley de la naturaleza humana, discutiendo el problema de la bioética y la manipulación, me confirma cierta sospecha frente a los residuos metafísicos que subsisten en nuestras éticas colectivas.” Dando sutiles rodeos sobre el espinoso asunto de la ética y la interpretación, Vattimo afirmó que una ética de los principios es siempre una ética autoritaria que supone una autoridad absoluta de la razón. “Cuando le dan la mayoría a Berlusconi, mis conciudadanos italianos son locos; es irrazonable votar por Berlusconi. Soy un demócrata y tengo un poco de resistencia, pero tengo que aceptar lo que pasa en las elecciones”, ironizó el filósofo, indigestado con Il Cavaliere que gobierna en su país.
La claridad es una de las máximas virtudes de Vattimo cuando ofrece una conferencia. “Una ética metafísica es una que pretende fundarse sobre estructuras dadas, frente a las cuales se trata de aceptar, actuar, observar y respetar una ley. Mirando un hecho nunca se tiene una ley. La ley dice lo que tiene que hacer, no lo que es. Cuando la ley se identifica demasiado con lo que es, es una ley autoritaria”, subrayó. La cita de Walter Benjamin y su Tesis de filosofía de la historia (el filósofo alemán decía que los que creían en una racionalidad de la historia eran los vencedores) le permitió esgrimir las razones por las cuales los heideggerianos hermenéuticos como Vattimo están en contra de la metafísica. “La ética no puede ser fundada por hechos acertados por una razón calculadora porque entonces la libertad no se da. Si el deber es respetar lo que es, prácticamente lo que es, es. Obviamente, mi amigo aristotélico me diría que hay un ser potencial, actual... bueno, puede ser, pero lo que puede ser no es”, bromea el filósofo.
Si siempre hay una fundación de tipo autoritario esencialista que implica que “el otro sabe mejor que yo lo que tengo que ser”, frente a esto, la interpretación propone la tesis de Nietzsche según la cual no hay hechos, sólo interpretaciones. “Siguiendo una expresión de Nietzsche, ‘la escuela de la sospecha’, nosotros sospechamos de lo que nos dice alguien”, aclaró. “¿Quién dice cómo están las cosas? La idea de la escuela de la sospecha ha sido preparada por Freud, por Marx, por Nietzsche mismo. Hemos aprendido que mirar al dado no es simplemente una mirada totalmente incondicional. El mundo se conoce a partir de un interés y siempre el conocimiento es interpretación. Cuando hablamos de algo, siempre hablamos de una realidad interpretada por alguien.”
“Cuando escucho la palabra universalismo, pongo a mano mi pistola”, dijo, en serio. “La ética de la interpretación no puede fundarse sobre principios universales. La historia de la verdad en los últimos siglos es la historia de la intersubjetividad, del consentimiento. El conocimiento científico deviene en verdad cuando es repetido. La intersubjetividad tiene vigencia incluso en la ciencia. La estructura epistémica racional es mejor porque se puede transmitir mejor.” Para Vattimo, en nuestro siglo la verdad se transformó en caridad. “La verdad supone el consenso; decimos que tenemos la verdad cuando hemos realizado un consenso. La ética de la interpretación deviene en un esfuerzo por obtener consenso sobre el comportamiento, actitudes y valores de los otros, que implica no sólo decir que hemos encontrado el valor absoluto, sino que obligamos a los otros a creer en ellos”, señaló, y citó un ejemplo desde el filo de la ironía: “Siempre hemos votado por Berlusconi, por qué tenemos que cambiar”.
“La ética consiste en convertir un sistema de valores y expectativas con los otros no sólo aquí, sino con los que escribieron libros en el siglo XIX, con los otros de otras culturas”, precisó. “La ética es una práctica de escucha del otro; como decía Levinas, el otro es digno de respeto porque su cara está vuelta a Dios. Se trata de respetar al otro porque refleja la cara de Dios. La caridad no se demuestra, se practica como respuesta a una gracia.” Vattimo planteó que si no hay principios metafísicos en el mundo, no hay otro principio que la llamada de los otros. “Se trata de abrir tu casa a todos, evitando que la destruyan totalmente. Es una actitud delicada y difícil de tomar. El principio de la hospitalidad, de la amistad, implica una actitud amistosa, incluso de diálogo con el otro. Lo más difícil de aceptar es que haya alguien que yo quiero mucho y que no me quiere. Tengo que aceptar mi propia finitud en el sentido más profundo. Yo no soy el caballero Berlusconi. El dice que nunca pagó a una mujer para hacer el amor porque lo máximo es ser seductor, que alguien me quiera por lo que yo soy. Nosotros tenemos que aceptar incluso estos límites”, observó.
Vattimo prometió que debía concluir la conferencia porque practica la caridad hacia sus numerosos escuchas. “La ética de la amistad podría parecer una ética demasiado conformista. Hago lo que los otros esperan de mí, lo que los otros me piden. Siempre hay resistencias; no es tan fácil hacer lo que mi tradición, mi sociedad, mis amigos, me piden. Para elaborar una ética no metafísica hay que empezar con los excluidos, para realizar una sociedad en la que no haya más dominación ni sumisión. Este es el problema básico que tenemos.”

giovedì 24 settembre 2009

"Etica de la interpretación. Pensar y actuar en el post nihilismo": Conferenza in Argentina

Alcuni articoli pubblicati sulla mia conferenza argentina alla Casa della Cultura di Buenos Aires di ieri.

Vattimo desgrano el concepto de etica de la interpretacion
miércoles 23 de septiembre, 1:16 PM
Buenos Aires, 23 de septiembre (Télam, por Mercedes Ezquiaga).- El filósofo italiano Gianni Vattimo, de visita en el país, afirmó hoy que la ética es "una práctica de la caridad" que "consiste en compartir un sistema de valores y expectativas con otros, de aquí, de otras culturas, musulmanes, budistas, incluso de otras épocas y años".
"Etica de la interpretación. Pensar y actuar en el post nihilismo" fue el título de la charla organizada por el Ministerio de Cultura porteño, realizada en la Casa de la Cultura donde el filósofo italiano nacido en Turín en 1936, se mostró de excelente humor e impecable traje gris, y compartió la mesa junto su discípula, la filósofa española Teresa Oñate, y Mario Mactas, en rol de presentador.
"'La ética de la interpretación' es un libro publicado hace 20 años, basado en una discusión de ese momento bastante actual, donde (el filósofo alemán) Jurgen Habermas hablaba de la ética de la comunicación", arrancó el italiano ante un colmado auditorio donde sobresalían correligionarios suyos y estudiantes universitarios.
"Cuando uno habla -prosiguió el italiano en un español bastante comprensible- tiene que dar fuerza normativa a la lengua. El lenguaje es una toma de responsabilidad frente a otros por eso no puede haber contradicción 'performativa' porque si no, no puede siquiera pensar. Hay imperativos que debe respetar sino quiere volverse irracional", dijo.
Vattimo se sumergió en el concepto de ética, en una charla amena y entretenida, donde no faltaron ejemplos gráficos, como que "la violencia es el hecho de no respetar tu libertad": "No quiero que alguien dé un martillazo sobre mis dedos, pero sí que el dentista me saque un diente que me hace mal", ejemplificó el filósofo cuya práctica exhibe una clara influencia de Nietzsche y Heidegger.
"En Italia, un hombre pasó 18 años en coma y apenas podía hablar, y cuando lo hacía, era para pedir que acaben con su vida. Se piensa que la violencia es el hecho de matar a alguien. Hay un dicho que asegura que de este lado del río, si matas a alguien eres un asesino, pero si lo haces del otro lado del río, eres un héroe", apuntó.
"Es como si hubiera algo sobre la historia de esta civilización de sangre, guerra, matanza. A míno me escandaliza que se tome una vida sino que se lo haga en nombre de la verdad, en nombre de los principios. Se bombardea Irak para reafirmar sus derechos a la democracia... Se puede ayudar si ellos lo piden pero no llegando y empezando a bombardear. Estos son problemas de la ética de la interpretación", expresó.
Autor de "El pensamiento débil"; "El sujeto y la máscara"; "En torno a la posmodernidad" y "La sociedad transparente"; entre otros títulos, es sabido que el pensamiento de Vattimo se centra en una revisión del papel de la filosofía en nuestra sociedad y la transformación del pensamiento, de las funciones y efectos sociales del pensamiento en las prácticas cotidianas.
"Una ética de los principios es siempre una ética autoritaria, y la razón es difícil de reconocer directamente", indicó el italiano, reconocido por su pensamiento crítico y su vocación de cambiar el mundo.
"Hubo un caso de un chico que murió por un ataque de abstinencia, que habían atado para ayudar a liberarse de las drogas. ¿El chico no tenía razón? El deseaba algo. También es irrazonable votar por Berlusconi, pero los chicos de 18 años lo hacen ¿tengo que pensar que están locos?", se preguntó en una de las numerosas referencias al presidente italiano, que provocó risas de la audiencia.
Vattimo explicó que "la ética no puede ser fundada sobre hechos aceptados por una razón calculadora. Siempre hay una fundación de tipo autoritario de que el otro sabe mejor que yo lo que tengo que ser. Cuando alguien me dice las cosas están así yo me pregunto ¿Quién lo dice? ¿Tu quien eres?" Tu no describes el mundo sino que reaccionas ante una situación desde el punto de vista tuyo".
"Por eso, una realidad es interpretada por alguien y en esta situación ¿como puedo describir la ética que tiene que fundarse sobre un principio universal? Universalmente, tu derecho es ser un ciudadano que puede votar, pero si me bombardeas.. También lo digo como cristiano que se enfrenta a su iglesia", señaló y se refirió a la imposición de los jesuitas sobre los nativos de América.
"La ética de la interpretación no puede fundarse sobre principios universales -prosiguió el filósofo-. La historia de la verdad en los últimos siglos es la historia de la inter-subjetividad. Una opinión deviene verdad en la medida que es dialéctica", desgranó.
Según el filósofo, "en nuestro siglo, la verdad se transformó en caridad y supone consenso. La ética de la interpretación deviene de obtener consenso sobre comportamientos de los otros, en el esfuerzo de hacer lo que se presenta al otro como amistoso y no como enemigo y violento. Es compartir un sistema de valores y expectativas con otros, de aquí, de otras culturas, musulmanes, budistas, incluso de otras épocas y años".
"Esto es la ética, tomar frente a lo que pasa una actitud receptiva. Lo único que me impide ser amistoso a los otros es que soy fiel a principios. Siempre hay resistencias; no es tan fácil hacer lo que mi tradición, sociedad, religión o amigos me piden. Hay que empezar a intentar con los excluidos, hay que realizar una sociedad donde no haya más dominación ni sumisión", concluyó. (Télam).- mme-mc-mag 23/09/2009 17:14

Vattimo: "La verdad se transformó en caridad"
El filósofo italiano disertó sobre ética
Daniel Amiano LA NACION
Didáctico, afable y accesible, Gianni Vattimo, una figura de referencia en el pensamiento actual, disertó ayer en la Casa de la Cultura sobre "Etica de interpretación", en el comienzo de un ciclo sobre ética que organiza el Ministerio de Cultura porteño.
"La historia de la verdad de los últimos siglos es la historia del asentimiento", por lo cual "la verdad se transformó en caridad y supone consenso", dijo el pensador italiano, ante un público que colmó el Salón Dorado de la sede cultural.
El filósofo italiano llegó acompañado por su discípula, la española Teresa Oñate, y fue recibido por el ministro de Cultura porteño, Hernán Lombardi, y el periodista Mario Mactas, que ofició de presentador. La pensadora española trazó brevemente los lineamientos básicos del pensamiento de Vattimo, que además es eurodiputado comunista.
Considerado uno de los principales hermeneutas de la actualidad, el pensador se involucra con el arte, la religión y la política. Especialista en Nietzsche y Heidegger, propone un pensamiento débil, que es el que no se apoya en verdades absolutas, alineado con el posmodernismo. Poder y sociedad
Vattimo habló de una ética consensuada, no bajo los lineamientos del poder (político, económico), sino de toda la sociedad y, en línea con lo que propone el pensamiento posmoderno, aceptar la diferencia. Esto es: "a los más débiles, a los desplazados, a los que no tienen voz". Su ética de la interpretación sugiere que vivimos "residuos metafísicos en la ética comunitaria, creyente de una verdad absoluta impuesta por el poder político, económico y religioso", explicó el visitante.
Opuesto a la metafísica, propone una "hermenéutica de una ética sin principios en nombre de la verdad", ya que "una ética de los principios es siempre una ética intolerante" que lleva al autoritarismo. Para Vattimo, una ética basada en "lo que ya es" se convierte en fundamentalista, ya que el otro no puede opinar diferente. "Pasa con las últimas guerras, donde un pueblo invade y mata gente en nombre de lo que ellos dicen que necesitan los otros", dijo.
"La violencia es el hecho de no respetar tu libertad. No quiero que alguien dé un martillazo sobre mis dedos, pero sí que el dentista me saque un diente que me hace mal", dijo.
Según su ética de la interpretación, no hay una verdad absoluta, porque cada uno tiene una mirada, una interpretación del mundo, y para ello citó a Nietzsche: "No hay hechos, sólo interpretaciones", y afirmó luego que "el mundo se conoce a partir de algún interés".
Como ejemplos de esa ética metafísica a la que se opone, mencionó la invasión de los Estados Unidos a países árabes y el comportamiento del premier italiano, Silvio Berlusconi, sobre todo a partir de los escándalos que protagonizó por las denuncias de algunas prostitutas italianas.

Gianni Vattimo: “Argentina no sabe bien dónde está y busca definirse”
Cansado por el viaje de Italia a Mendoza y luego de escuchar la conferencia de su discípula Teresa Oñate y Zubía, el filósofo Gianni Vattimo habló de política y de economía, afirmó que “Cristina Kirchner no es izquierdista, es peronista” y confesó que vino a Mendoza porque al Primer Congreso Nacional de Filosofía de 1949 asistieron varios de sus maestros y quería homenajearlos.
-Usted dice que volver a ser comunista es una utopía posible...
-Sí porque me he dado cuenta de que nunca me abstuve de ser comunista. Stalin con su régimen totalitario no me gustaba, me gustaba la izquierda europea de Adorno, Horkheimer y Benjamin. Pero como el comunismo real se ha muerto, se vive el comunismo ideal y es el que Lenin llamaba electrificación con trabajadores; es decir, desarrollo tecnológico y económico con participación popular. Vivimos en un mundo en el que el desarrollo tecnológico, científico y económico es rápido, pero la participación popular está disminuyendo. Si seguimos en esta dirección vamos a ser todos esclavos. La tecnología desarrolla también medios de control, vamos a ser controlados más y más. Como la estructura capitalista produce excluidos, los excluidos son una amenaza y esa amenaza es una justificación para aumentar el control. El comunismo que pienso es de mayor participación popular.
-¿Cómo ve el escenario político latinoamericano?
-Me parece ejemplar porque son países donde, un poco paradójicamente, la democracia es más sentida como un valor que en Europa. Vamos a hacer una comparación, cuando Bush bombardeaba Irak para aportarle democracia, sabemos que eso no era tan así. En Europa el valor de la democracia es retórico, sobre todo cuando se ve que las elecciones las ganan los que tienen más dinero. Estamos todos en una situación de duda sobre el entusiasmo democrático en los países industrializados avanzados y así el ejemplo de algunos países latinoamericanos, en los que hay recursos y pobreza y que necesitaban exigencias de libertad y reconocimiento como lo que ha hecho Morales en Bolivia y también mucho ha progresado Brasil con Lula. Si hay una esperanza de futuro para Europa es Latinoamérica.
-¿Qué sabe de la situación de Argentina?
-Desde Europa vemos que en Argentina se estaría llevando a cabo un aspecto de la revolución latinoamericana de tipo socialista como Lula en Brasil; pero Cristina Kirchner no es una izquierdista, es peronista y se da la ambigüedad del peronismo. Vemos un gobierno de centro derecha un poco populista. Se mira más con esperanza a Brasil, Argentina no se sabe bien dónde está y busca definirse todavía.Creo que se busca una integración intensa de los países latinoamericanos y no bajo la hegemonía de Brasil, pero se necesita un proceso parecido al proceso de unificación europeo y hasta podría ser mejor porque el poder del Parlamento y de la Comisión Europea es reducido con relación al poder de los gobiernos nacionales. Imagino a la Argentina como parte de un proceso de democratización de América Latina, pero sé que están pasando por un momento delicado.
-¿La crisis financiera mundial del año pasado generó algún cambio?
-Temo que no. La reacción de los gobiernos ha sido simplemente salvar al capitalismo con el dinero de los ciudadanos. Si los bancos no están todos vamos a vivir un poco peor; mi interés es que no se repita una crisis de este tipo en 10 ó 15 años. Si restauramos el régimen que había, la crisis se va a repetir y siempre los que pagan los costos son los más necesitados.
Los Andes, 20 – 09 – 09

Candidatura di Roberto Saviano al Premio Sakharov per la libertà di pensiero

Segnalo qui l'iniziativa di Sonia Alfano, che approvo in toto:
la candidatura di Roberto Saviano al Premio Sakharov per la libertà di pensiero.


Io sostengo Saviano per il Premio Sakharov

Vattimo (Idv): L'Europa discuta sul caso Italia


AMB - Informazione, Vattimo (Idv): L'Europa discuta sul caso Italia

Roma, 22 set (Velino) - "La guerra alla libertà dei media e il tentativo di boicottare le trasmissioni scomode, da Annozero a Report, non possono essere nascoste agli osservatori che guardano l'Italia da lontano. L'Europa deve poter discutere ciò che avviene in uno stato membro, soprattutto se in esso si prospetta la violazione di diritti fondamentali come quello della libertà di pensiero e di informazione, come accade nel nostro Paese". Lo afferma, rispondendo a Mario Mauro, Gianni Vattimo, europarlamentare dell'Italia dei Valori, che aggiunge: "Lo scatto di nervi da parte del Pdl, rispetto al dibattito europeo sulla condizione vissuta dall'informazione italiana, è la prova dell'autoritarismo strisciante che si sta affermando in Italia ad opera di Berlusconi e dei suoi sodali".


venerdì 18 settembre 2009

“Todos somos Evo”, anche Vattimo nel libro dedicato a Morales


“Todos somos Evo”, anche Vattimo nel libro dedicato a Morales

La Paz, 18 set (Velino/Velino Latam) - “Todos somos Evo” (Tutti siamo Evo). Così si intitola il libro che raccoglie opinioni e commenti di leader internazionali, intellettuali e uomini dello spettacolo sul presidente boliviano Evo Morales. L’opera dello scrittore cubano Pedro de la Hoz è stata presentata, a La Paz, dal vicepresidente Alvaro Garcia Linera come un testo sul “boliviano più famoso al mondo” in cui si “riconoscono” i suoi compatrioti. A esprimere la loro opinione su Morales ci sono leader politici come il venezuelano Hugo Chávez, il russo Dimitri Medvedev e l’iraniano Mahmud Ahmedinejad, ma anche l’attore Benicio del Toro, lo scrittore José Saramago e il politico-filosofo Gianni Vattimo.

Delegazioni interparlamentari

Giovedì 16 settembre il Parlamento di Strasburgo ha assegnato i suoi membri alle diverse delegazioni interparlamentari con i paesi terzi. Sono particolarmente orgoglioso, come sicuramente immaginano coloro che si sono interessati alle mie vicende politiche negli ultimi anni - e che magari hanno letto "Ecce Comu", nel quale raccontavo delle nuove esperienze dell'America Latina in termini di comunismo libertario - di essere stato eletto vicepresidente (insieme ad altri sei colleghi) della "Delegazione all'Assemblea parlamentare euro-latinoamericana", EUROLAT (http://www.europarl.europa.eu/intcoop/eurolat/default_en.htm). EUROLAT è l'organo parlamentare della Bi-regional Strategic Association creata nel 1999 nel quadro dei summit EU-LAC
(European Union-Latin American and Caribbean). Composta da 150 parlamentari, 75 europei e 75 latino-americani, membri del Parlamento Latino-Americano, di quello andino, di quello dell'America Centrale, e infine di quello del Mercosur, il mercato comune sudamericano. Sono poi stato designato membro della Delegazione per le relazioni con i paesi dell'America centrale, nonché della Delegazione all'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE (i paesi - spesso ex colonie - dell'Africa, Caraibi e Pacifico, cui - fino al 2000 - la Convenzione di Lomé del 1975 assegnava un trattamento speciale nelle relazioni economiche con il mercato unico europeo). Mi auguro di essere all'altezza dei compiti che mi attendono. Di certo, non posso che essere felice di battermi per portare all'attenzione del mondo un modello, quello latino-americano, che può aiutare il mondo a ritrovare forme di convivenza sociale la cui attuazione è troppo spesso, e colpevolmente, sacrificata sull'altare del neoliberismo.

giovedì 17 settembre 2009

Margini


Margini

Si inaugura in questi giorni una settimana di iniziative intitolata "Torino spiritualità". Conferenze, esercizi di meditazione, presentazione di libri e illustrazione di figure di mistici - non solo cattolici o cristiani, anche rappresentanti di altre religioni. Tutto questo mentre impazzano tra Bari, Roma e la Sardegna le escort (leggi puttane) dell'utilizzatore finale (leggi puttaniere) Silvio Berlusconi. Qual è qui il fenomeno marginale? La mignottocrazia berlusconiana, tinta del razzismo "cristiano" della Lega, oppure la settimana di spiritualità torinese? E ancora, a proposito di eventi "marginali": il 16 settembre, mentre un Parlamento Europeo disincantato e distratto rieleggeva Barroso presidente della Commissione europea, consapevole che questo era un ennesimo scacco all'autorità e vitalità del Parlamento (unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini), in una piccola aula del palazzo di Strasburgo si ricostituiva, poiché siamo a inizio legislatura, l'intergruppo sul benessere e la conservazione degli animali, questi nostri fratelli muti, con cui condividiamo tanti problemi di sopravvivenza. Una boccata di aria non mefitica, da Torino e da Strasburgo, libera anche forse perché spira nei margini, sfugge all'attenzione dei poteri forti, ma come la vecchia talpa scava loro la fossa.

Gianni Vattimo

Intervista a Gianni Vattimo sulla riconferma di Josè Manuel Barroso alla presidenza della Commissione Europea



Tratto da Radio Radicale, http://www.radioradicale.it/scheda/287097

Il materiale contenuto in questa scheda è rilasciato con licenza Creative Commons Attribution 2.5 Italy

Vattimo: Situazione drammatica, intervenga l’Europa

Gianni Vattimo spiega a MicroMega le ragioni della sua adesione alla manifestazione promossa dalla Federazione Nazionale della stampa.

17 settembre

http://temi.repubblica.it/micromega-online/vattimo-situazione-drammatica-intervenga-leuropa/

Lectio magistralis a "Tuttoingioco", 5 settembre 2009

La mia lectio a Tuttoingioco, Civitanova Marche Alta (Biennale di arte, pensiero e società), 5 settembre 2009.

venerdì 11 settembre 2009

Case popolari e servizi sociali alle coppie di fatto

Più di 2800 firme perché il Comune apra anche alle coppie di fatto case popolari, contributi per il mutuo, servizi sanitari e sociali: saranno presentate oggi a Palazzo Civico, poi la questione passerà al vaglio del Consiglio comunale. Tra i firmatari ci sono anche personaggi come Luciana Littizzetto e Gianni Vattimo. Nelle delibere di Palazzo civico dovrebbe comparire un riferimento, oltre che alle coppie coniugate, anche ai conviventi, a cui il Comune dovrebbe rilasciare un “certificato di famiglia anagrafica basato sul vincolo affettivo”, che li certifichi all’anagrafe come coppie di fatto: un provvedimento simile annullerebbe le differenze con gli sposati in settori chiave come casa, servizi sociali e sanitari, anziani e minori, scuola e formazione.L’appello è partito da un ampio ventaglio di associazioni cittadine, come la Adelaide Aglietta, l’Arcigay, la Consulta per la laicità e il Coordinamento Torino Pride, a cui si sono poi aggiunte altre 31 realtà, ed è poi stato sottoscritto da 57 docenti universitari e intellettuali torinesi e firmato da 2800 cittadini: e stamattina arriverà nelle stanze di Palazzo civico, sotto forma di delibera di iniziativa popolare. (I.Soa./ass)

mercoledì 9 settembre 2009

Torino, unioni civili: conferenza stampa di presentazione della proposta di iniziativa popolare per il riconoscimento di pari opportunità


Torino, unioni civili: conferenza stampa di presentazione della proposta di iniziativa popolare per il riconoscimento di pari opportunità.

Venerdì 11 settembre, alle ore 11, presso il Comune di Torino (diritto di Tribuna).

(da http://www.radicali.it/view.php?id=145893)

Davanti ad un Governo e ad un Parlamento che hanno deciso di non riconoscere una situazione di fatto ormai ampiamente diffusa nella società italiana e nel vivere quotidiano, i cittadini e le cittadine di Torino hanno dimostrato di essere più governanti dei loro rappresentanti istituzionali, attribuendo, con la sottoscrizione, efficacia giuridica vincolante alla proposta di delibera di iniziativa popolare che chiede alla città di Torino il riconoscimento di pari opportunità per le unioni civili nelle materie di sua competenza (assistenza, case popolari, asili, cultura, diritti, politiche per i giovani e per gli anziani, formazione e scuola).
La proposta è stata presentata dalle associazioni torinesi: Associazione Radicale Satyagraha, Associazione Radicale Certi Diritti, Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Consulta torinese per la laicità delle istituzioni, Coordinamento Torino Pride, Casa delle Donne, Circolo evangelico Arturo Pascal, Comitato torinese per la laicità della scuola, Gruppo Lambda e ArciGay Torino, alla quale hanno poi aderito 31 associazioni torinesi.
L’appello alla sottoscrizione è stato sottoscritto da 57 personalità del mondo della cultura e dell’Università torinese, tra cui: Chiara Saraceno, Alfonso Di Giovine, Gianni Vattimo, Massimo Salvadori, Edoardo Tortarolo, Francesco Remotti, Carlo Augusto Viano, Franco Giampiccoli, Franco Sbarberi, Piera Egidi, Loredana Sciolla, Vincenzo Ferrone, Tullio Telmon.
Sono state raccolte oltre 2800 firme di cittadini e cittadine, residenti e votanti a Torino fra cui: Luciana Litizzetto, Franco Debenedetti, Maria Pia Brunato, Pietro Garibaldi, Nicola De Ruggero, Bianca Guidetti Serra, Elena Negri, Giorgio Ardito, Magda Negri, Antonio Boccuzzi, Stefano Esposito, Carmelo Palma, Emilia Rossi, Massimo Negarville, Rosanna Abbà, Laura Fornaro, Nicoletta Casiraghi, Gigi Brossa, Juri Bossutto.
A seguito della verifica formale dalle sottoscrizioni da parte dei competenti uffici comunali, sono state ritenute valide 2582 firme.
La proposta di delibera si fonda sull’esigenza di garantire a ciascuno, senza discriminazioni di sorta, i diritti civili e sociali statuiti agli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Non si chiede, pertanto, al comune di Torino l’istituzione di un registro delle unioni civili, ma si vuole impegnare l’amministrazione comunale ad adottare delibere volte ad eliminare le disparità di trattamento fra le coppie coniugate e le convivenze che ottengono il rilascio del “certificato di famiglia anagrafica basato sul vincolo affettivo” inteso come reciproca assistenza morale e materiale ai sensi dell’articolo 4 del vigente regolamento anagrafico (DPR 223/1989), nei settori di competenza della medesima amministrazione comunale e quindi: casa (assegnazione di case popolari e di contributi a sostegno di acquisti ed affitti), servizi sociali e sanitari (le unioni civili devono diventare destinatarie delle politiche rivolte alle famiglie), anziani e minori (diritto di rappresentanza e tutela dei propri conviventi di fronte ai servizi pubblici), scuola, formazione ed educazione (interventi di informazione) diritti e partecipazione (sportello informativo per i conviventi).
Peraltro, già oggi, la famiglia anagrafica ha un riconoscimento pubblico: infatti, per gli interveti di natura socio-assistenziale gestiti dalla Città di Torino, i redditi dei conviventi fanno cumulo al fine dell’accertamento dei requisiti reddituali. Se pertanto, già oggi l’unione civile assume rilievo pubblicistico – negativo in quanto finalizzato a non riconoscere un sostegno – non si vede per quale motivo non debba assumere anche una valenza positiva, per l’attuazione di quanto statuito dagli artt. 2 e 3 Cost.
Se pertanto, già oggi la convivenza, l’unione civile, la famiglia anagrafica assume rilievo pubblicistico – che possiamo definire negativo in quanto finalizzato a negare un sostegno – non si vede per quale motivo non debba assumere anche una valenza positiva, per il riconoscimento dei diritti civili e sociali di cui agli artt. 2 e 3 Cost.
Abbiamo raggiunto il primo risultato, ma la lotta è ancora lunga: vi sono infatti troppe resistenze -basate su interessi personali, elettorali e di bottega – che vorrebbero negare i diritti della maggioranza dei cittadini e delle cittadine di ogni età, orientamento politico e fede.
I cittadini conviventi – che oggi hanno obblighi e doveri - chiedono diritti: gli amministratori devono decidere, assumendosi la responsabilità, anche, di negare tali richieste, di negare tali diritti!
La proposta di delibera – se approvata dal Consiglio Comunale - integrerebbe il primo riconoscimento pubblicistico delle coppie di fatto: un passo verso la modernità di un’Italia ancora troppo ancorata all’evo antico dei diritti.

Stefano Mossino – Tesoriere Associazione Radicale Satyagraha e portavoce del Comitato
Enzo Cucco – Associazione Radicale Certi Diritti
Jolanda Casigliani – Associazione Radicale Satyagraha

Sede del Comitato: 011.5212033 Mail: unioni.civili.torino@gmail.com

lunedì 7 settembre 2009

Le nostre energie


Ecco il primo editoriale che scrivo per Proletari@. Comunicazione militante (cito dal "Chi siamo?" del sito, http://www.proletaria.it/, che invito ovviamente a visitare: "Proletari@, Comunicazione militante, è un progetto aperto a tutte e tutti coloro che ritengono il superamento dell’attuale modello di società capitalistica l’obiettivo fondamentale della battaglia sociale e politica.Non sarà un’area politica, né tanto meno una corrente, piuttosto un progetto di conoscenza e collegamento delle innumerevoli ingiustizie sociali ed individuali che opprimono sempre di più la vita della stragrande maggioranza delle persone che vivono nel nostro paese").

Le nostre energie

Sento alla radio un economista che presenta dati sul rapporto, negli Usa, tra aumento del reddito e crescita del senso individuale di felicità. Sono due curve che, almeno da un certo livello in poi, vanno in direzioni opposte: chi non ha niente e ottiene qualcosa si sente felice. Ma poi, quelli che hanno già e aumentano il loro reddito dichiarano di essere meno felici di prima. Ragioni varie: meno tempo libero, meno soddisfazione nei rapporti affettivi e sociali in genere. Dunque non ha senso per chi fa politica cercare maggior benessere economico, perché si rischia di produrre dei controeffetti? Non esageriamo. Però, è semmai vero che fare politica comunista oggi in Italia significa tutto tranne che cercare o promettere un maggior benessere economico a breve scadenza. Ed è più probabile essere felici lottando insieme per un ideale, per remoto che sia; piuttosto che (come direbbe Benjamin) sprecare le nostre energie con le tante baldracche riformiste nel bordello del compromesso e della corruzione.
Gianni Vattimo

Parliamo del cielo con il filosofo Gianni Vattimo

Parliamo del cielo con il filosofo Gianni Vattimo
La Stampa.it, 7 settembre 2009
di PIERO BIANUCCI

Poteva essere qualcosa di rituale, l’Anno Internazionale dell’Astronomia. Bei discorsi, tante cerimonie accademiche. Non è così. Anzi, le iniziative intelligenti si moltiplicano e hanno spesso un successo popolare. I piccoli telescopi didattici da 15 dollari progettati per l’occasione si vendono a decine di migliaia e la produzione non riesce a soddisfare la domanda. Le notti di osservazione in Planetari e Osservatori pubblici attirano legioni di curiosi del cielo. Si susseguono dibattiti e conferenze affollate (il 15 settembre all’Accademia delle Scienze di Torino ci sarà il Nobel Riccardo Giacconi), numerosi i progetti didattici con le scuole e le mostre, anche interdisciplinari (“L’universo dentro” si aprirà a Milano il 15 settembre con 100 opere d’arte – vedi www.universodentro.it – , è curata da Stefano Sandrelli per l’INAF e dall’Accademia di Brera; un’altra è in programma a Venezia dal 23 al 28 settembre settembre). Si pubblicano, inoltre, molti libri concepiti apposta per questa festa delle stelle che dura un anno in tutto il mondo.

Dopo la collana di sei volumetti pubblicata da Gruppo B, l’editore della rivista mensile “Orione”, tra gli ultimi libri apparsi vorrei segnalare l’accattivante “Astronomia perché?” (Editrice Compositori, Bologna) di Cesare Barbieri dell’Università di Padova, “padre” di alcuni telescopi spaziali e del nostro telescopio nazionale “Galileo” in funzione all’isola di La Palma nelle Canarie. Di grande interesse è la ristampa presso l’editore Muzzio della raccolta di saggi di Stillman Drake intitolata “Galileo Galilei, pioniere della scienza”. Qui Drake, forse il maggiore studioso e biografo dello scienziato pisano, analizza in modo penetrante e originale le leggi del pendolo e della caduta dei gravi, le osservazioni delle eclissi dei satelliti di Giove che diedero a Galileo l’unica prova inconfutabile della correttezza del sistema eliocentrico, le teorie delle comete e delle maree, sulle quali invece Galileo inciampò. E per i più piccoli c’è “Alla scoperta dello spazio”, pubblicato dalla benemerita Editoriale Scienza di Trieste (ora confluita nel Gruppo Giunti). E’ un autentico libro-laboratorio adatto agli aspiranti astronomi di sei anni, pieno di giochi da fare e costruire, perché si capisce e si impara meglio ciò che si tocca con le proprie mani. Ci sono anche stelle e pianeti fluorescenti da appiccicare alle pareti della cameretta.

Una sfida lanciata dall’Unesco nel promuovere l’Anno dell’Astronomia riguardava il rapporto tra la scienza del cielo e il mondo della cultura umanistica, filosofica, letteraria, artistica. Ha raccolto questa sfida il Planetario di Torino Infini.To, accanto all’Osservatorio astronomico dell’INAF sulla collina di Pino Torinese, dove sta per iniziare un ciclo di incontri e talk show che hanno come titolo generale proprio “Il Cielo nella Cultura”. Si incomincia venerdì 11 settembre, ore 21, con “Il cielo nella filosofia”, ospite Gianni Vattimo.

Che origine ha l’universo? E’ eterno o è destinato a finire, e magari a ricominciare? Quali sostanze compongono i corpi celesti? Che cosa unifica l’estremamente grande e l’estremamente piccolo? Sono domande modernissime. Le stesse che si pongono oggi astrofisici di tutto il mondo quando “ascoltano” ciò che rimane del rombo del Big Bang e scoprono che lo spazio è pervaso da materia ed energia oscure insospettabili fino a pochi anni fa. Ma sono anche le domande che si posero i primi filosofi greci tra il VII e il V secolo avanti Cristo: Talete di Mileto vide nell’acqua il Principio Universale, Democrito ipotizzò l’esistenza degli atomi, Parmenide immaginava l’universo eterno e sempre uguale a sé stesso, Eraclito come un fuoco in continua evoluzione, Pitagora vi intravedeva l’armonia dei numeri. Passando a tempi più recenti, di Immanuel Kant tutti conoscono la frase ispirata che chiude la “Critica della Ragion Pratica”: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.” E oggi? Che cosa suggerisce il cielo al filosofo? E in particolare al teorico del “pensiero debole”? Gli interrogativi sulla natura dell’universo che si posero i filosofi sono stati completamente consegnati agli astronomi e ai fisici o la filosofia ha ancora qualcosa da dire in proposito? Più in generale: dove possono incontrarsi le scoperte astronomiche e la riflessione filosofica?

Gianni Vattimo si è laureato nel 1959 a Torino alla scuola di Luigi Pareyson, ha completato la sua formazione a Heidelberg con Hans Georg Gadamer, maestro del pensiero ermeneutico, ed è stato dal 1969 al 2009 professore ordinario di filosofia estetica e poi teoretica all’Università di Torino, con frequenti periodi di insegnamento in atenei americani (Yale, Los Angeles, New York University, State University of New York). Studioso di Heidegger e di Nietzsche, ha elaborato la filosofia del “pensiero debole” in contrapposizione con le diverse forme del “pensiero forte” dell’Otto-Novecento: hegelismo, marxismo, fenomenologia, psicanalisi, strutturalismo. Riconoscendo il tramonto di ogni forma di conoscenza assoluta e totalitaria, il “pensiero debole” è diventato anche la chiave per interpretare la società contemporanea e aiutarla nel cammino democratico conducendola fuori dalla violenza e verso la diffusione del pluralismo e della tolleranza. Di Vattimo va ricordata con altrettanto rilievo l’attività politica e per la diffusione della cultura attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Negli Anni 50-60 fu alla Rai tra i pionieri della neonata televisione italiana, accanto a Umberto Eco (anche lui allievo di Pareyson) e Furio Colombo. In politica è stato parlamentare europeo con il partito radicale, con i Democratici di sinistra e ora con l’Italia dei Valori. La sua “opera omnia” (una trentina di saggi) è in via di pubblicazione presso l’editore Meltemi. Tra i titoli più noti e tradotti, “Il soggetto e la maschera” (1974), “Il pensiero debole” (1983), “La fine della modernità” (1985), “Credere di credere” (1996), “Addio alla Verità” (2009). Ha curato la “Garzantina” della filosofia e collabora a giornali italiani e stranieri (La Stampa, El Paìs, Clarìn).

Il secondo appuntamento del ciclo “Il cielo nella cultura” è per venerdì 30 ottobre con “Il cielo nella letteratura”, ospiti lo scrittore Dario Voltolini (direttore didattico della Scuola Holden fodata da Alessandro Baricco) e il critico letterario Giovanni Tesio (Università del Piemonte Orientale). Sarà poi la volta di Marco Piccolino (ordinario di fisiologia all’Università di Ferrara), protagonista di una serata sul legame tra osservazione astronomica e neuroscienze dal titolo “Il cielo negli occhi di Galileo”, in calendario venerdì 6 novembre. Seguirà venerdì 27 novembre “Il cielo dei matematici da Galileo a Einstein” con Piergiorgio Odifreddi. Concluderà il ciclo un dibattito sul tema “Le nove Grandi Idee che l’astronomia ha dato alla cultura” (11 dicembre), con la partecipazione di Ernesto Ferrero, scrittore e direttore della Fiera Internazionale del Libro di Torino, Stefano Sandrelli (INAF, Milano, Osservatorio di Brera) e Piero Galeotti (Università di Torino).

Per informazioni e prenotazioni: http://www.planetarioditorino.it/ info@planetarioditorino.it Tel. 011- 811.8640

Torino, la seria che incute timore

Torino, la seria che incute timore
Vattimo: "Capisco il vescovo, non ci pentiamo mai"
La Repubblica — 06 settembre 2009, pagina 2, sezione: TORINO
di Vera Schiavazzi


Una città "pesante", dove non è facile mostrarsi all'altezza della propria tradizione né confrontarsi con quella altrui. Dal Risorgimento ai Santi sociali, da Gramsci a Gobetti fino alle lotte sindacali e alla sinistra cattolica degli anni Sessanta e Settanta, tutto autorizzava il cardinal Severino Poletto a preoccuparsi, come ha confidato ieri ripercorrendo il momento della sua nomina, dieci anni fa. «Provare "timore e tremore" forse può parere eccessivo - commenta Gianni Vattimo, filosofo, un credente le posizioni del quale sono spesso in forte contrasto con quelle delle gerarchie cattoliche, e un torinese doc - ma dal punto di vista di un vescovo posso capirlo. La città di don Bosco e del beato Cafasso, di Gramsci e di Gobetti può mettere a dura prova: dalla tua parte ci sono esempi altissimi, dall'altra interlocutori di altrettanta statura. È vero anche il contrario: qui esiste una grande serietà morale, qualcosa che, anche negli anni Ottanta, rendeva Torino diversissima dalla rutilante "Milano da bere" del pre-Tangentopoli, e questo non può che far piacere a un vescovo». Ma la verità è che la Torino laica, con la quale pure il cardinal Severino Poletto ha cercato e talora trovato il dialogo – come sembrano testimoniare i ricordi dedicati all'incontro con Norberto Bobbio – ha un "nocciolo duro" difficile da convertire: «Non ci pentiamo facilmente, siamo sufficientemente radicati nelle nostre convinzioni per spaventarci o lasciarci addomesticare. Insomma, non siamo di quelli che alla prima difficoltà chiamano il prete – suggerisce Vattimo, che pure non si sottrae al dialogo quando è invitato in una parrocchia –. E non è tutto: questa è, o meglio era, anche la città della potenza economica, di un grande potere industriale col quale non era facile confrontarsi. Quando Poletto arrivò, gli anni dell'abbraccio tra Fiat e chiesa locale erano finiti da tempo, e anche movimenti come quello dove militavo da ragazzo, l'Azione Cattolica, avevano dato il loro bel contributo a un atteggiamento più critico sui temi sociali». Atterraggio duro, dunque, per il vescovo arrivato da Asti, in una città che – oltre a tutto il resto – non è proprio nota per l' allegria e la cordialità dei suoi abitanti. Ma Poletto deve averci fatto l'abitudine, se è vero come è vero che, dieci anni dopo, il dialogo con lui è considerato un passaggio-chiave, nel bene e nel male, per i politici di una delle ultime roccaforti del centrosinistra. E che, benché certe sintonie non siano più automatiche come un tempo, anche nelle fabbriche il cardinale è ormai di casa, che si tratti di ascoltare i cassintegrati che protestano o di benedire un nuovo stabilimento.