lunedì 10 maggio 2010

VATTIMO: «CI MANCA PASOLINI AVEVA CAPITO IL MALE ITALIANO»

VATTIMO: «CI MANCA PASOLINI AVEVA CAPITO IL MALE ITALIANO»
Domani mattina a Udine dialogherà con Pier Aldo Rovatti su ”Pensiero debole ed etica minima”
sabato 08 maggio 2010, Il Piccolo di Trieste

UDINE. L’Italia d’oggi ha bisogno di profeti. Come Pier Paolo Pasolini, «figura di intellettuale di cui non abbiamo più esempi, e della quale abbiamo nostalgia». Ne è convinto il filosofo Gianni Vattimo, che insieme a Pier Aldo Rovatti è tra i “padri” del pensiero debole. «Non so come vorrei che fosse Pasolini oggi – dice –, ma so che vorrei sentirlo parlare in questa situazione».
Vattimo, con Rovatti, sarà protagonista domani di due incontri nell’ambito della rassegna Vicino/lontano, festival del pensiero in corso fino al 9 maggio, organizzato dall’omonima associazione culturale presieduta da Paolo Cerutti e coordinata da Paola Colombo e Antonio Maconi. Con Rovatti parlerà di “Pensiero debole ed etica minima” in un confronto in San Francesco (alle 11.30) moderato dal direttore de “Il Piccolo” Paolo Possamai; in seguito i due filosofi saranno protagonisti di un incontro sul tema “Aut-aut. Inattualità di Pasolini” alla Libreria Feltrinelli (alle 16).
Oggi, intanto, il festival prosegue con un fittissimo programma di dibattiti e incontri, con personalità di spicco come l’ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa, i filosofi Derrick de Kerckhove e Nicola Gasbarro, i politologi Lucio Caracciolo, Marco Tarchi e Vittorio Emanuele Parsi, il sociologo Renzo Guolo, il giornalista Fabrizio Gatti, il magistrato Gherardo Colombo e l’avvocato Umberto Ambrosoli, al quale questa al sera al Teatro Nuovo (ore 21) sarà consegnato da Angela Terzani il Premio letterario internazionale intitolato a Tiziano Terzani, per il racconto-verità “Qualunque cosa succeda”, sulla vicenda umana e professionale di suo padre Giorgio Ambrosoli, avvocato ucciso da un killer nel 1979. Stasera Vattimo parteciperà anche a un incontro sul tema delle “diversità” al Teatro San Giorgio di Udine (ore 21), organizzato da Italia dei Valori Fvg.

Che cosa apprezza, in particolare, della figura di Pasolini?

«Pasolini, paradossalmente, oggi mi interessa di più come intellettuale che come artista - dice Gianni Vattimo -. Guardando un suo film o leggendo una sua poesia, si può avere l’impressione che appartengono al passato. Certo, ci sono film di Pasolini e sue poesie che mi piacciono ancora molto, come quelle scritte in friulano. Come intellettuale, invece, è stato una figura determinante, che ha sentito il male italiano. Penso che in ciò non sia stata indifferente la sua personale condizione di omosessuale in un’Italia rurale che si stava affacciando alla modernità».

La diversità di Pasolini è stata motore di consapevolezza?

«L’orizzonte di personale diversità credo abbia avuto una forte influenza. Una diversità che non incontrò tanto l’ostilità della cultura collettiva, quanto per esempio quella “istituzionale” del Pci, dal quale è stato duramente discriminato. Penso anche che nel Pci Pasolini vedesse una delle forme di quella struttura istituzionalizzata in cui si poteva proiettare l’immagine dell’Italia del futuro, modernizzata e industrializzata, molto lontana dalla sua personale nostalgia di un mondo altro. Pasolini non sarebbe mai andato a un Gay Pride, ad esempio, e neppure avrebbe invocato le nozze gay. Oggi si rivendicano giustamente questi diritti e io personalmente vado al Gay Pride. Ma si è persa tutta la tensione legata al sentirsi esclusi, crocifissi».

Non pensa che ci siano degli esclusi, oggi, in Italia?

«Certo che sì. Gli esclusi sono i poveri che abitano negli slum, quelli che non hanno neppure la possibilità di far sentire la propria voce. Non esiste più, però, quella forma di esclusione profetica, siamo arrivati all’esclusione economica e commerciale. Esclusione allo stato puro».

Dunque Pasolini la interessa per il suo opporsi all’omologazione?

«Pasolini rappresenta la rivendicazione della diversità come punto di vista profetico. Mentre oggi, paradossalmente, della diversità non si può parlare se non con una certa nostalgia. Non c’è nessuno, ormai, di così diverso da scandalizzare qualcuno. Recuperare almeno la nostalgia della tensione profetica pasoliniana oggi potrebbe ispirarci un atteggiamento diverso da quello dell’accettazione dell’ordine vigente».

Pasolini inattuale. Una caratteristica che rintraccia in qualche intellettuale oggi in Italia?

«Neanche per sogno. Non la sento presente perché in Italia non ci sono intellettuali che siano considerati stravaganti. Forse Ceronetti, che se ne sta sempre ai margini, oppure il mio collega filosofo del pensiero debole Rovatti, che esplora appunto i margini e le differenze. Lui ha interpretato il pensiero debole come cultura dei margini da cui può provenire un richiamo alla salvezza. La salvezza non può venire da una rivoluzione del pensiero che si realizzi una volta per tutte, in forma sistemica».

L’omologazione e la globalizzazione. Tutto da buttare?

«L’omologazione è una situazione tranquillizzante, che rischia sempre di addormentare le coscienze. Spero che ci siano ancora delle coscienze acute, come quella di Pasolini per esempio. Abbiamo bisogno di profeti, ma purtroppo non vedo molti in giro».

Come si costruisce un’etica minima per un mondo in cerca di profeti e di punti di riferimento valoriali?

«Dal punto di vista etico, è vero che siamo in un momento di deserto. Ma proprio per questo costruire un’etica sistematica è ancora più difficile. Basti pensare alla situazione in cui, con questa pretesa, si è ridotta la Chiesa. Credo, invece, sia necessario ripartire dai margini, dalle cose piccole, da ciò che sembra appunto minimo».

Questo vale anche per la politica?

«Certamente. Dal punto di vista politico sono favorevole a una resistenza “di quartiere”, alle manifestazioni di strada, alla difesa degli interessi minimi, a cominciare dai salari. Anche quando parlo della carità cristiana mi riferisco proprio a questo: bisogna cominciare dalle piccole cose, dalle scelte che si fanno ogni giorno. Credo in una contestazione che combatte pacificamente il sistema dai margini, attaccandolo sui fianchi. In Piemonte, per esempio, simpatizzo per i No Tav. Vogliono farci credere che bloccando queste opere si blocca lo sviluppo. Mi chiedo come si abbia ancora il coraggio di parlare di sviluppo economico guardando a quello che questo modello ha prodotto fino alla recente crisi finanziaria negli Stati Uniti».

C’è ancora spazio in politica per fare cose nuove?

«Viviamo in una situazione in cui l’unico modo in cui possiamo essere veramente rivoluzionari à rivendicare la legalità e l’applicazione della Costituzione. Siamo spolpati da mafie e da altre cose terrificanti. Penso che Di Pietro sia una delle poche figure dell’opposizione in Italia, proprio perché rivendica la legalità e il rispetto della Costituzione».

A che cosa sta lavorando ora?

«Insieme al mio collaboratore Santiago Zabala, sto per terminare la stesura di un nuovo libro “Hermeneutic Communism”. Un ripensamento del marxismo e del comunismo alla luce dell’ermeneutica contemporanea, che porta alla teoria di un comunismo libertario. Oggi, essendo finito il comunismo reale, quello per cui non ci si poteva dire comunisti, c’è finalmente la possibilità di essere comunisti ideali. Cioè credere in uno sviluppo economico e sociale controllato dai poteri popolari. Ho fiducia nei modelli sudamericani, quelli di Lula e di Morales. Non ne ho per la Cina, che sta diventando una potenza capitalistica anche peggiore di quella degli Stati Uniti».

2 commenti:

Adele ha detto...

Mi scriveva proprio ieri un amico: "non ci sono più i musici, i poeti, e gli intellettuali di una volta, o sono spariti o hanno abdicato al loro ruolo. Ci tocca di avere il men che mediocre, elevato ad eccellenza."

Però qualche filosofo rimane. Tuttavia, la filosofia non aiuta tutti, perchè non credo che tutti siano in grado ( o abbiano il tempo) di leggere e far proprio "l'addio alla verità" di Vattimo. Muoversi lungo quelle linee fra il pensiero politico, l'ontologia dell'attualità che oppone il metodo analitico della verità al modo storico... non è certo da tutti.

Dibattuti fra il recupero di ogni autonomia e libertà e il rifugio nell'autorità , come possiamo salvare il nostro contratto sociale? La trappola del Profeta o Demiurgo è sempre in vista, quando si ha la sensazione di aver perso ogni "ubi consistam".

Federico Sollazzo ha detto...

Mi permetto di segnalare il seguente intervento sulla mutazione antropologica in Pasolini:
http://pasolinipuntonet.blogspot.it/2012/11/pasolini-e-la-mutazione-antropologica.html