mercoledì 29 settembre 2010

De Magistris e Vattimo a "Un giorno da pecora"

In diretta da Bruxelles:
Luigi De Magistris dice che Calderoli è un porco, Gianni Vattimo racconta barzellette, Mario Mauro ed Erminia Mazzoni cantano "tanti auguri a te" a Bersani e Berlusconi, Alfredo Pallone non ci svela se è rotondo.

Per riascoltare la puntata: http://ungiornodapecora.blogspot.com/2010/09/seconda-puntata-de-magistris-vattimo.html

martedì 28 settembre 2010

Polemiche su Iran, bomba atomica, e dintorni

Replica di Vattimo
Intanto: il sindaco insulta dandomi dell'idiota. Dunque si prenda le sue responsabilità. Poi: crede che la cultura ebraica sia la cultura sionista e questo è una grossa falsità. Il mondo è, fortunatamente, pieno di ebrei non sionisti e non filo-israeliani. Che Israele sia uno stato canaglia lo dicono i presidenti americani, ha l'atomica senza riconoscerlo. Poi: da quando è nato non ha fatto altro che violare tutte le delibere dell'Onu da cui pure è dipesa la sua stessa nascita (oltre che dal terrorismo ancora oggi praticato): vada a Gaza, signor sindaco (se ci riesce!)...
Gianni Vattimo

Controrisposta di Tarantini a Vattimo
Non ho mai inteso insultare, e chissà quante volte nella mia vita mi è capitato di dire idiozie. Ma, ho l’impressione che il “il tacon xé pejo del buso”, per parafrasare alla leghista (mi sia consentita l’ironia) una risposta, quella del prof. Vattimo che si spinge ancora più in là definendo Israele e gli Stati Uniti, stati terroristici. Inorridisco ancor di più, perché da Sindaco di Trani sede capofila della settimana di cultura ebraica del 2009, ho sempre ritenuto che questa sia la Città modello di confronto e dialogo e simili affermazioni non sono benvenute.
Il Sindaco di Trani
Giuseppe Tarantini

Bomba nucleare all'Iran, la risposta di Gianni Vattimo a Tarantini
Il sindaco Tarantini si astenga dagli insulti: solo ai leghisti è concessa la libertà di insulto, vuole essere un leghista ad (dis)-honorem? Poi: prima di dire in pubblico che riconosco all'Iran, prossimo obiettivo degli attacchi di Israele e Stati Uniti (entrambi super armati di bombe atomiche), il diritto di dotarsi di armi nucleari (un diritto che l'Iran del resto non ha mai rivendicato, limitandosi a cercare di realizzare un programma atomico per usi di pace), ho sempre sostenuto che occorre una denuclearizzazione (anche) del Medio Oriente. Dunque: cominciare a ridurre il pericolo rappresentato dagli stati terroristici: primo fra tutti Israele, e il suo alleato statunitense. Che ne dice il sindaco? Sarebbe d'accordo con una campagna a questo scopo, magari dedicando al tema la prossima edizione dei dialoghi di cui è, pro tempore, editore?
Gianni Vattimo

Bomba nucleare all'Iran? Tarantini replica al filosofo Vattimo
Il sindaco: «Rimango inorridito da simili idiozie»
Trani Informa Comunicazione e informazione culturale, turistica e di servizio
lunedì 27 settembre 2010
Il sindaco di Trani, Giuseppe Tarantini, ha diffuso ai mezzi d'informazione una sua replica all'intervento del filosofo Gianni Vattimo, tenuto durante la serata conclusiva dei Dialoghi di Trani. Vattimo, secondo l'ufficio stampa comunale, avrebbe affermato di essere favorevole al fatto che l’Iran si doti di una bomba nucleare. Questa la replica del primo cittadino:«Da editore assolutamente liberale della manifestazione dei Dialoghi, rimango inorridito dal fatto che si possa, al fine di strappare qualche connivente applauso, affermare simili idiozie in un luogo federiciano a Trani, che rappresenta la culla del dialogo tra popoli e culture. La circostanza che Vattimo sia anche rappresentante del nostro Paese nel Parlamento Europeo, mi deprime ulteriormente. Auspicare l’aumento di armi nucleari in questo momento e dopo il furioso intervento di Ahmadinejad all’Assemblea dell’ONU, non solo è deplorevole, ma mi chiedo, quale progetto di politica estera alberghi nelle menti degli intellettuali di una certa sinistra, peraltro, da questo punto di vista, assolutamente coerente con la tradizione Guevarista.»

A ciascuno il suo Dio

Recensione de "Si fa presto a dire Dio", di Paolo Scarpi
ISBN: 9788862201209. Editore: Ponte alle Grazie

L'espresso, 24/09/2010
A ciascuno il suo Dio

Non è solo una conseguenza dell'assoluta anomalia concordataria italiana, se nelle nostre scuole l'ora di religione è un'ora di catechismo cattolico. Il fatto è che quando parliamo di storia, anche comparata, delle religioni abbiamo sempre in mente il modello della religione cristiana, al massimo con le altre due religioni monoteiste ad essa legate, quella ebraica e l'Islam. Da una riflessione come questa parte il libro di Paolo Scarpi, "Si fa presto a dire Dio" (Ponte alle Grazie, pp. 149, euro 13), professore all'università di Padova, che proponendo una sintesi chiara e appassionante della storia delle religioni, mostra come la nozione di religione sia difficilmente riducibile a unità, come pure difficilmente unificabili sono i termini che generalmente vi sono connessi, anzitutto lo stesso concetto di Dio.

Come spesso accade in altri campi della cultura - per esempio con la nozione di arte (ma c'era qualcosa del genere nelle culture "primitive"?) - noi prendiamo per essenza sovrastorica una formazione culturale, andando a cercarla in civiltà e tradizioni che non l'hanno affatto posseduta e elaborata. Il Dio di cui parliamo, pensando di ritrovarlo sotto forme differenti in tutte le lingue e culture, è anch'esso il risultato di una lunga elaborazione culturale. E il concetto di sacro, per esempio, non sembra pensabile al di fuori della tradizione latina che riservava il nome a ciò che era stato "consacrato" dall'autorità del popolo romano e dei suoi "pontefici". La riduzione all'unità dei concetti e delle esperienze religiose non è senza rapporto con l'imperialismo occidentale che si è sempre legittimato in nome del monoteismo.

Perciò, il libro ha tra i suoi capitoli finali anche pagine sull'ideologia della globalizzazione, dove il monoteismo sembra tradursi (e tradirsi?) nel dogma dell'unità del mercato mondiale. Non è, questa, l'unica provocazione di un'opera ricchissima di informazione e degna della massima attenzione.
Gianni Vattimo

L’animale è “povero di mondo”, ma non per questo va torturato. Intervista a Gianni Vattimo



Basta affiancare il suo nome, su Google, alla voce ”Animali” per capire quanto questo tema sia, da tempo, un cavallo (appunto) di battaglia di Gianni Vattimo, uno dei filosofi italiani più noti al grande pubblico, allievo di Hans Georg Gadamer ed esperto del pensiero di Nietzsche e Heidegger, nonché, dal 1999, europarlamentare.
Lo abbiamo intervistato pochi giorni prima della discussione in aula, a Strasburgo, della controversa direttiva sul ricorso agli animali per gli esperimenti scientifici, approvata mercoledì dal Parlamento Europeo. Ecco, tra ironia, divagazioni e impegno politico il pensiero – non troppo debole – del professore sulla natura, l’ambiente e gli altri esseri viventi.
D) Professore, lei ha sempre avuto una passione per l’alpinismo. Heidegger era uno sciatore. Pensa che il filosofo sia in qualche modo “più vicino” alla natura e ne senta un richiamo più forte?
R) Teoricamente sì. Visto che la filosofia è sempre stata una ricerca sui fondamenti basilari dell’esperienza il rapporto con il mondo fisico sembra essere costitutivo. O almeno storicamente è stato così. Prima di Platone e Aristotele i filosofi erano chiamati fisici. Una certa dose di “sensibilità naturalistica” è dunque normale nella filosofia, anche se non vi è nulla di naturale in tutto ciò, ma si tratta di un accadimento storico.
D) Nel suo caso è nata prima l’attrazione verso il mondo esterno e la natura o la scintilla della riflessione filosofica?
R) Francamente non ricordo più! Ma qui c’è di mezzo la religione. Io ho iniziato ad andare all’oratorio e frequentare l’azione cattolica a 12 anni e negli ambienti cattolici si cercava di stancare l’adolescente perché non avesse troppe energie da dedicare all’impurità. Si faceva quindi molta retorica alpinistica, che però era anche una cosa piacevole e simpatica, un modo per stare insieme agli altri, legarsi in cordata con un compagno di scalata ecc. Io sono stato salvato non poche volte dal precipizio! Direi che la mia vocazione alpinistico-naturalistica è nata così: come interesse religioso per il bello del mondo.
D) Condivide l’idea che camminando – e anche scalando – si pensa meglio?
R) Sicuramente sì, devo dire però anche sciando. Credo ci sia comunque un rapporto tra il pensiero e i muscoli più elastici. Io a un certo punto ho smesso di fare l’alpinista e sono diventato un camminatore di sentieri di metà costa. In Engadina, nel paese della Montagna Incantata di Thomas Mann, ci sono dei sentieri bellissimi. Uno sale a 2000 metri e poi cammina tutto il giorno in quota, senza stancarsi troppo ma con grande piacere.
D) Da un lato l’attrazione dei filosofi verso la natura e il mondo esterno, dall’altro però Heidegger sosteneva che “l’animale è povero di mondo”…
R) Beh, mettersi in rapporto con la natura non significa necessariamente farne parte così organicamente come le piante e gli animali. Heidegger intendeva forse che per accedere alla natura ci vuole un certo distacco, se uno ne fa troppo parte non se ne accorge nemmeno.
D) C’è dunque un “grado di appartenenza” diverso dell’animale alla natura, rispetto all’uomo?
R) Noi tendiamo a pensare così, finché gli animali non ci rispondono, finché cioè non si riesce ad instaurare una comunicazione. Il mio gatto ieri mi ha fatto credere di non aver ancora cenato: andava su e giù vicino alla scodella, come se aspettasse di poter mangiare e ho poi scoperto che aveva già mangiato. C’è quindi sempre un certo grado di comunicazione, anche se non linguistica. Questo ci avvicina, ma ci impedisce di condividere pienamente il mondo con gli animali.
D) Lei però si è sempre detto contrario alla contrapposizione natura-cultura…
R) Nel senso che tutto quello che noi chiamiamo natura lo facciamo pur sempre attraverso termini culturali. Noi siamo viscere, corpo, calli, ma tutte queste cose le assimiliamo sempre attraverso la cultura, quindi la distinzione non regge tanto. Nemmeno un’isola corallina mai frequentata dall’uomo è puramente qualcosa di naturale, ma appena ne parliamo, è già dentro un nostro discorso.
D) Il suo ex-allievo Ferraris (Maurizio Ferraris, autore de Il Mondo Esterno, N.d.R.) non sarebbe d’accordo.
R) Lui è caduto nell’empirismo. Io non ho mai negato l’esistenza del mondo esterno, ma appena lo affermo non è più così esterno. Se fosse davvero “esterno” non potremmo saperne niente. La filosofia non può essere solo lo studio di “cosa c’è”. Nemmeno i filosofi greci si limitavano alle cose “che ci sono”, ma pensavano sempre a come modificarle e farne progetti.
D) Veniamo ad oggi. Qual è secondo lei il problema più urgente per l’ambiente?
R) E’ che il capitalismo sta esaurendo le risorse naturali. Noi siamo come a bordo del Titanic e continuiamo a ballare incuranti… Purtroppo ci sono forti interessi che frenano lo sviluppo di alternative. C’è una certa inerzia della società produttiva che non si riesce a rompere. Io non saprei se l’automobile ad idrogeno, per fare un esempio, non potesse essere possibile già 30 anni fa. Ho assistito qualche anno fa un amico malato di Aids e ho chiesto in ospedale perché non usassero i nuovi medicinali disponibili. Mi è stato risposto che avrebbero dovuto prima finire le vecchie scorte… Il problema dell’ambiente è il problema di questi meccanismi di potere.
D) Altri paesi però, come quelli nordeuropei, sono riusciti, almeno in parte, a tramutare i problemi ambientali in occasioni di business. Perché questo non riesce bene in Italia e si continuano a considerare gli investimenti nella sostenibilità dei costi invece che delle opportunità?
R) Sono abbastanza pessimista su questo. Mi auguro che si riesca a trasformare realmente i problemi dell’ambiente in business, ma ne dubito fortemente. Tuttavia non potendo fare altro è normale che si cerchi questa soluzione. Però facciamo attenzione: se la nostra industria automobilistica per espandersi vorrà vendere un’auto a ogni cinese tra qualche anno non si respirerà più! E’vero che nel frattempo si potrebbero scoprire nuove tecnologie, ma il problema è che si fa poca ricerca. Spendiamo più per la ricerca sulle pillole per l’obesità che contro la malaria.
D) Mi sembra di capire che lei è, in ogni caso, più vicino all’idea di Pallante della decrescita felice, non è vero?
R) Direi di sì, mi piace di più. Il PIL non è un indicatore adeguato. Se la Francia domani vendesse tutti i suoi musei il PIL salirebbe, ma allora? Che razza di indice è questo?
D) Nella prossima seduta del parlamento europeo (8 settembre) si voterà la nuova direttiva sull’utilizzo di animali nella sperimentazione scientifica. Cosa ne pensa?
R) E’uno scandalo mondiale, ci tengo che lei lo scriva sul suo magazine. E’tutta un’affermazione di principio – “gli animali non si possono maltrattare, ecc. ecc.” – ma poi ci sono una serie di clausole di salvaguardia: “salvo il caso in cui, non si possa fare diversamente o gli scienziati ritengano che ecc…”. Ad esempio, per quanto riguarda l’anestesia, si dice che c’è l’obbligo di sottoporre gli animali ad anestesia, per non farli soffrire, “salvo che questa non sia opportuna”! E’ terribile, significa tutto e nulla. Io ero al Parlamento Europeo due legislature fa e ci sono tornato ora, trovandomi questa cosa fatta. E temo che adesso, in seconda lettura passerà (com’è avvenuto, N.d.R.). Sto cercando di raccontare questa cosa a tutte le persone che conosco perché è uno scandalo. Che l’animale sia “povero di mondo” non significa che lo si possa torturare.
Andrea Gandiglio
Sulle reazioni, all’indomani della votazione della direttiva europea sugli esperimenti scientifici sugli animali, vedi anche: “Test sugli animali: si infiamma la polemica sulla normativa UE“, La Stampa, 9 settembre 2010

Bomba nucleare all'Iran, la risposta di Gianni Vattimo a Tarantini

Bomba nucleare all'Iran, la risposta di Gianni Vattimo a Tarantini

Il sindaco Tarantini si astenga dagli insulti: solo ai leghisti è concessa la libertà di insulto, vuole essere un leghista ad (dis)-honorem? Poi: prima di dire in pubblico che riconosco all'Iran, prossimo obiettivo degli attacchi di Israele e Stati Uniti (entrambi super armati di bombe atomiche), il diritto di dotarsi di armi nucleari (un diritto che l'Iran del resto non ha mai rivendicato, limitandosi a cercare di realizzare un programma atomico per usi di pace), ho sempre sostenuto che occorre una denuclearizzazione (anche) del Medio Oriente. Dunque: cominciare a ridurre il pericolo rappresentato dagli stati terroristici: primo fra tutti Israele, e il suo alleato statunitense. Che ne dice il sindaco? Sarebbe d'accordo con una campagna a questo scopo, magari dedicando al tema la prossima edizione dei dialoghi di cui è, pro tempore, editore?

Gianni Vattimo


Bomba nucleare all'Iran? Tarantini replica al filosofo Vattimo
Il sindaco: «Rimango inorridito da simili idiozie»

Trani Informa Comunicazione e informazione culturale, turistica e di servizio
lunedì 27 settembre 2010

Il sindaco di Trani, Giuseppe Tarantini, ha diffuso ai mezzi d'informazione una sua replica all'intervento del filosofo Gianni Vattimo, tenuto durante la serata conclusiva dei Dialoghi di Trani. Vattimo, secondo l'ufficio stampa comunale, avrebbe affermato di essere favorevole al fatto che l’Iran si doti di una bomba nucleare. Questa la replica del primo cittadino:
«Da editore assolutamente liberale della manifestazione dei Dialoghi, rimango inorridito dal fatto che si possa, al fine di strappare qualche connivente applauso, affermare simili idiozie in un luogo federiciano a Trani, che rappresenta la culla del dialogo tra popoli e culture. La circostanza che Vattimo sia anche rappresentante del nostro Paese nel Parlamento Europeo, mi deprime ulteriormente. Auspicare l’aumento di armi nucleari in questo momento e dopo il furioso intervento di Ahmadinejad all’Assemblea dell’ONU, non solo è deplorevole, ma mi chiedo, quale progetto di politica estera alberghi nelle menti degli intellettuali di una certa sinistra, peraltro, da questo punto di vista, assolutamente coerente con la tradizione Guevarista.»
http://www.traniweb.it/trani/informa/14075.html

Intervista a Gianni Vattimo sul voto del Parlamento Europeo che ha condannato la politica di espulsione dei Rom del governo francese

Intervista a Gianni Vattimo sul voto del Parlamento Europeo che ha condannato la politica di espulsione dei Rom del governo francese

Radio Radicale
Strasburgo, 9 settembre. Intervista di David Carretta
http://www.radioradicale.it/scheda/310781/intervista-a-gianni-vattimo-sul-voto-del-parlamento-europeo-che-ha-condannato-la-politica-di-espulsione-de

Omosessualità e pensiero debole

Troviamo sul web, e volentieri pubblichiamo...

Intervista inedita a Gianni Vattimo su omosessualità e pensiero debole
Il movimento gay in Italia. I gruppi cattolici omosessuali. A colloquio con Gianni Vattimo.
di Pasquale Quaranta, http://www.p40.it/testata/wwwp40it, intervista realizzata in due giorni, il 24 e 25 giugno 2005

Gianni Vattimo, classe 1936, è un intellettuale torinese che ha introdotto in filosofia il concetto di pensiero debole. Negli anni cinquanta ha lavorato ai programmi culturali della Rai. Ha insegnato Estetica in diversi atenei del mondo e per le sue opere ha ricevuto lauree honoris causa dalle università di La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima.
In questa intervista, realizzata in occasione del Salerno Pride 2005 e finora inedita, discutiamo di cristianesimo e secolarizzazione a partire dal suo libro “Credere di credere. È possibile essere cristiani nonostante la chiesa?” (Garzanti), e di come ha influito la sua omosessualità nell’elaborazione del pensiero debole.

Nel suo libro “Credere di credere” parla di un rinnovato interesse per la religione.
È vero. C‘è una rinascita dell’interesse religioso perché tanti problemi, come quelli della bioetica, dell’ambiente, c‘è questa idea che il mondo dovesse andare in rovina… Però poi questo interesse religioso è tutt’altro che un interesse di Chiesa. È più un interesse di temi: l’aldilà, il senso della storia, della morale, della bontà e del male… A questi interrogativi la Chiesa risponde molto male, anzi non risponde affatto.

È cambiato qualcosa nel suo pensiero dal giorno in cui ha pubblicato il libro?
Ho cambiato solo questo: mi sono proposto di essere un po’ meno tenero con la Chiesa ufficiale. Perché questi qui, diciamoci la verità, sono dei gran figli di buona donna! [risate]
Cioè?
No, ma nel senso che … Io ho avuto molte corrispondenze con gente che lavora in Vaticano e questi fanno peste e corna, come in tutti i luoghi di potere. Ho scritto un testo per la Stampa intitolato: SCV (1), perché da piccolo, quando ero nell’Azione Cattolica, vedevamo le auto del Vaticano targate SCV (Stato Città del Vaticano n.d.r.) e noi traducevamo con “Se Cristo vedesse…”. Per polemizzare contro la Chiesa cattolica troppo avviluppata negli interessi temporali.
Secondo lei, la fede cristiana ha un ruolo da svolgere nella nostra società? Quale ruolo?
La fede cristiana oggi dovrebbe purtroppo, principalmente, purificare la Chiesa. Non è che mi senta meglio del cardinal Ratzinger, di papa Ratzinger, però se la Chiesa va avanti così… vabbè uno dice: “Si fida del Padre Eterno, che ha promesso che la salva, Amen”. Però ci vorranno gli argani per tirarla su dall’abisso in cui sta cadendo!
Punti di dissenso?
Uno: non vuole fare preti le donne. E se non ci sono più preti, saranno costretti a importarli dal Ruanda, dalla Polonia, come già succede. La Ditta ha bisogno della manodopera. Due: predica cose veramente assurde a cui non credono neanche coloro che vanno a messa tutte le mattine ovvero il preservativo in tempo di Aids, l’embrione, la famiglia…
I credenti non credono?
A me non me ne frega niente che la gente non ci creda… Però la questione è che a furia di predicare cose assurde, la gente non crederà neanche a coloro che predicano la resurrezione della carne, cioè si scredita completamente tutto… Io per esempio, che sono cresciuto nell’Azione Cattolica, ho sempre creduto di credere ma quando sento queste cose…
Non crede più?
Questi qui mi hanno tolto la voglia… Mi dicono cose così straordinariamente inverosimili. Allora, dove credono di arrivare? Questa è una minaccia per la Chiesa. Io sono convinto che deve cambiare qualcosa profondamente…
Per ora è possibile essere cristiani nonostante la Chiesa cattolica?
Sì, per ora è possibile essere credenti nonostante la Chiesa perché se uno dà retta alla Chiesa cattolica abbandona immediatamente ogni pratica religiosa. È solo un problema di scandalo-non scandalo. Per quello mi sono ricordato del detto “Se Cristo vedesse”, perché nella tradizione cattolica c‘è sempre questa diffidenza per il prete che si scopa la perpetua, per il papa che è troppo ricco, perché è la prima cosa che ci viene in mente! Ci hanno anche predicato che bisogna resistere a questo scandalo ma “usque tandem”? Nel senso che Lutero, forse, non aveva tutti i torti nel dire che Roma era una santiera di vizi. Davvero è diverso adesso?
È accaduto qualcosa nella sua vita che le ha fatto assumere toni così polemici?
C‘è questo di vero: sono convinto che se non ci fosse stata la Chiesa a trasmettermi la Sacra Scrittura, non so chi me l’avrebbe spiegata. Tutto sommato che ci sia un’Istituzione che fa questo mi va bene. Non saprei come sostituirla. Però certo che… [sbotta] adesso credo davvero che l’unico compito della fede sia quello di protestare, di dissentire da tutta questa struttura. Ma pensate un po’ a Ruini e Pera, sembra un film dell’orrore! C‘è Pera, Ruini e Vespa: cose da pazzi! Allucinazione pura! Ora, la Chiesa deve essere questo? Il guaio è che quando io ero piccolo, per esempio negli anni ’50 – ’60, c’era chi protestava! C’era un [don Primo] Mazzolari, c’era il dissenso. Adesso la Chiesa è stata silenziata con e dopo Giovanni Paolo II. Non c‘è più nessuno che alzi la voce. Possibile che Pera e Ruini siano culo e camicia? Qualcuno dei due sarà la camicia! [risate] E questo è un problema!
Lei sostiene che “la secolarizzazione è la riscrittura del cristianesimo”: come si concretizza questo pensiero nella vita quotidiana?
L’idea di dissolvere la sacralità è fondamentale per tutti. È come lottare contro le superstizioni, contro la legge del mercato, contro le pretese della sovranità della famiglia. Abbattere gli idoli è il compito del cristiano. Questa è la secolarizzazione. Gesù Cristo è venuto non per farci sapere che il diavolo è molto potente e che bisognava stare attenti ma che il diavolo non c‘è! Allora tutti quelli che ci continuano a predicare che c‘è il diavolo, che dobbiamo stare attenti, è gente che ci vuole fregare!
Qual è il senso del Cristianesimo per lei?
È la dissoluzione del sacro come roba terribile, luminosa, misteriosa… In verità noi non sappiamo niente… Ma figuriamoci se Dio deve essere concepito come un vecchio zio pazzoide di cui non si sa bene cosa voglia! È irragionevole, come noi. Allora, per favore, non fateci credere questo. Sotto questa storia del “mistero della fede” è passato ogni genere di turpitudine. Quindi il senso del Cristianesimo, oggi, è l’abbattimento degli idoli, che consiste nel non farsi imporre come “naturali” delle leggi della società che sono quelle della proprietà, ecc. Che poi gira e gira è questo il senso del naturalismo ecclesiastico: “Chi è nato maschio è nato maschio…”, “L’uomo è uomo e deve andare in guerra…”. Allora, tutte queste essenze naturali che manifestano la volontà di Dio sono delle grandi cazzate! La filosofia ha spiegato questo.
Ma lei si è allontanato dal Cristianesimo, come spiega nel libro, poi lo ha riscoperto, giusto? Può raccontarmi questo suo percorso?
Mi sono allontanato, nel senso che ho cominciato a non andare più a messa quando stavo in Germania perché non leggevo più i giornali italiani! [risate] A quell’epoca eravamo molto impegnati religiosamente e sociopoliticamente. Non credo mai di essere stato anticristiano, intimamente, però non davo più tanta importanza alla messa, alla confessione, ecc. Adesso, per esempio, se voglio faccio la comunione e non mi confesso perché non posso promettere di non commetterne più, andiamo! È come se mi tagliassi tutti gli organi o quel poco che mi è rimasto da settantenne! [risate]
Qual è, professore, il nesso tra religione e ragione?
Mi sembra, più o meno, che non ci siano verità razionali indiscutibili. La razionalità è sempre formale cioè: “Se vuoi questo, devi fare questo”, così come la intendeva anche Weber. La fede è come un avvio, cioè… noi cominciamo sempre con lo sguardo di qualcuno: Gesù Cristo che incontra il giovane ricco e gli dice cosa deve fare, ad esempio. Alla base di tutte le nostre argomentazioni ci sono delle assunzioni relativamente immediate che sono legate al nostro essere finiti. Prima di tutto, noi nasciamo in un’epoca che ci proietta già con dei criteri di vero e di falso. Essere ragionevoli, oggi, vuol dire argomentare sulla base di una serie di presupposti che abbiamo ereditato nel nostro linguaggio, nella politica, ecc. che poi intanto li mettiamo in discussione, questi presupposti, li confrontiamo, però, certo, non c‘è l’essenza assoluta della verità.
Spesso si confonde una verità di fede per verità di scienza…
Le verità di scienza sono verità argomentabili. La fede ha a che fare con una specie di adesione originale, come la pre-comprensione. Ti trovi sempre dentro un orizzonte storico che ti fornisce anche dei criteri di vero e di falso. Ma tu sai se non esistono vampiri? No, perché non ci pensiamo più. Fino a duecento anni fa la gente credeva ai vampiri, bruciava le streghe e nessuno ha mai dimostrato definitivamente che non esistono i vampiri, semplicemente si è consumato il mito. Io non mi metterei a fare una ricerca sui vampiri però questo mi serve per dire che ci sono delle appartenenze che sono la nostra storicità, che non ci legano proprio conformisticamente però, certo, è da lì che partiamo.
Noi argomentiamo sempre sulla base di argomenti disponibili nel nostro patrimonio culturale ma non in assoluto dimenticando tutto quello che è stato.
Ecco, anch’io non mi sono fatto da me, sono stato fatto da qualcun altro rispetto a cui sono come un recettore, uno che deve svilupparsi. Mi posso ribellare ma sempre da lì parto. E questo è importante perché la fede è una roba di questo genere. Naturalmente poi uno può dire: “Ti puoi convertire”. Ma se tu nasci buddista, punto. Anche qui la religione ha più da fare con le nostre basi storiche che sono finite. Pensa a quanti pasticci ha creato lo spirito missionario! I missionari partivano per l’America convinti che questi poveri selvaggi non si salvano se non vengono battezzati, così li minacciano e loro si convertono. È tutto un discorso così… fondato su un facile universalismo del Cristianesimo che vuol salvare tutti. Anche oggi, quando il Papa incontra il Dalai Lama, tu credi che poi si ritiri nella sua cappella a pregare per lui perché andrà all’Inferno? Mi sembra ridicolo! Però se prendi sul serio l’idea che fuori dalla Chiesa non c‘è salvezza, effettivamente mi fa un po’ ridere tutta questa pretesa di unificazione, anche per la salvezza della Chiesa.
Come interpreta l’attuale chiusura della Santa Sede riguardo le relazioni d’amore gay e lesbiche?
Attuale? Secolare! [risate] Una volta non si usava parlarne, oggi non passa giorno che un vescovo o un cardinale parli contro di noi. La Chiesa è stata sempre sessuofoba perché colpire la gente sul sesso era un modo per tenerla legata. Cioè se tu, come dire, ogni volta che scopri un senso di colpa devi andarti a confessare, beh! È un modo per essere legato, per indurre paura, penitenza. Allora la sessuofobia è un po’ finita, in generale, ma è rimasta l’omofobia, che poi è particolarmente importante per la Chiesa perché predica attraverso comunità maschili… quindi è anche omofobia interiorizzata.
Cosa significa, per lei, essere cristiano e omosessuale?
Per me è una vocazione speciale. Una volta che ho scoperto che questa è una vocazione cerco di farlo seriamente, cerco di prendere sul serio questa roba. Lotto per i diritti delle minoranze ma non come Pasolini, lui era esagerato; si sentiva come un Gesù crocifisso… dai suoi nemici. Io non la vivo così. Certo ci sono delle specie di verità in una condizione marginale che uno può esercitare per darne un senso, oppure prendendola come un modo di non accettare le cose come stanno, di vedere l’ingiustizia attraverso il proprio punto di vista. È vero che l’ingiustizia per me, tra le altre cose, è non aver mai potuto corteggiare i miei compagni di scuola. Per esempio il fatto che uno di loro potesse corteggiare una compagna di scuola, scriverle poesie, ecc. Io no, io dovevo andare nei giardinetti e, cazzo, questa non è un’ingiustizia? È questa un’ingiustizia di cui abbiamo sofferto tutti… Allora, il Cristianesimo dà come vivere, dà la spinta per combattere le ingiustizie. Questo non mi sembra tanto inverosimile.
Qual è il senso che il Vangelo ha per lei?
Per me è un libro che parla di un personaggio di cui, ultimamente, ho una grande ammirazione. Mi piace. Sai, qualche volta non ho voglia di leggerlo perché è lo stesso libro che legge Ratzinger, che legge Ruini, che finge di leggere Pera, del resto Pera non ha mai capito un accidente!
Molti ragazzi omosessuali lamentano una certa superficialità dei propri simili nel relazionarsi tra di loro: “Cambiano spesso partners – dicono -, tradiscono, non vogliono impegnarsi in un rapporto sentimentale serio alla scoperta della persona nel suo profondo…”. Secondo lei, una relazione d’amore presuppone comunque un’etica?
Bah, un po’ sì… O almeno la crea. Non sono così moralista da dire che uno a diciotto anni deve legarsi a un altro per l’eternità. Anche su questo ho qualche dubbio persino sul matrimonio gay. Voglio dire, imitare proprio totalmente la famiglia, appiattirsi sul modello della famiglia… È vero che uno non può vivere tutta la vita come una farfallina! [risate] Nella cultura omosessuale che si vede qualche volta anche ai Gay Pride, che c‘è tutto questo travestitismo, il sedere, ecco questo mi imbarazza un po‘… Per ragioni autentiche, cioè sociali, mi imbarazza vedere questa checcaccia con le piume sul sedere anche se poi sono più amico di una checca che di altri che la demonizzano! Come tutte le culture minoritarie, come i drogati. I drogati potrebbero avere una cultura civile come tutti gli altri ma siccome sono respinti nella clandestinità, si rotolano nella fanga con delinquenti, coi trafficanti, ecc… Lo stesso talvolta capita per noi, un po’ meno devo dire, ma un ragazzo sedicenne che viene cacciato di casa dai suoi genitori perché è gay, cosa fa? Se ha un po’ di soldi sopravvive, sennò si prostituisce. C‘è un circolo della puttanaggine… [ride] Ma se io non posso proporre a un mio amico di sposarlo, mettiamo che io mi innamoro di un mio allievo di venticinque anni. Fosse una ragazza conoscerei anche i suoi genitori ma essendo un maschio cosa devo fare? Far finta di niente, perché non c‘è un progetto di vita e questo è un guaio! Sono convinto che la famiglia non è l’unico progetto di vita possibile… però diciamo che sono abbastanza conformista per desiderare che sia possibile, vale a dire che a me piacerebbe davvero non fare un matrimonio gay ma potermi legare a una persona con gli stessi caratteri della famiglia, la famiglia sua, la famiglia mia… Quando mai questo è possibile? Tutto questo è chiuso nella porcheria generale del fatto che siamo considerati dei puttanieri!
Quindi si sposerebbe, se fosse possibile?
A me non piace vivere da solo. Sì, se istituissero il matrimonio gay magari mi sposerei… Sarei sicuramente cornuto perché non sposerei sicuramente un signore della mia età, allora questo qui, dopo un po’, comincerebbe a divertirsi. Ma sarei esattamente nella condizione di molti signori sessantacinquenni e oltre, che sposano delle persone più giovani ma… cazzi miei!
Il movimento gay è stato un’opportunità di crescita per la comunità gay e lesbica in Italia? Quali altri compiti ha da svolgere l’associazionismo gay e lesbico?
Questa è una domanda interessante perché ho l’impressione che, per esempio in certe zone del Nord, l’associazionismo gay e lesbico si configura talmente con una rivendicazione un po’ petulante del “politically correct”, un po’ lagnosa. Non credo che sia fuori attualità del tutto, ovviamente, perché c‘è ancora un sacco di gente che ha ancora dei problemi personali intorno a questa tematica quindi serve come punto di riferimento. A Torino c‘è il circolo Maurice dell’Arcigay che è un punto di riferimento per la gente di questi orientamenti che a un certo punto ci va, si riunisce. Per il resto c‘è da stare attenti a una cultura di ghetto che in ogni piccola questione rivede la propria situazione di discriminati. Non so, mettiamo: in questi tempi ho avuto una disputa un po’ secca con degli amici ebrei che sostengono che io, essendo contro Sharon, sia antisemita. È un po’ quello che succede con il movimento gay. Se tu, capisci, qualunque cosa ti dia fastidio, se tu gridi per caso contro una mucca che è stragay molto più di me e quando ti taglia la strada urli: “Ricchio’!”, saresti flagellato nella pubblica piazza per un personaggio come [Angelo] Pezzana, mettiamo, no? Pezzana è una grande figura del movimento di liberazione gay ma adesso è diventata una vecchia zitella che se non ci sono persecuzioni bisogna inventarsele per poter fare qualcosa! Direi che bisogna il più possibile lasciar perdere tutte queste cose per rivendicare diritti concreti, per esempio le unioni civili, che sono una questione seria e politica. Ma allora bisogna che il movimento diventi da un lato un movimento associazionistico di gente che ha voglia di trovarsi con i propri simili, perché non deve nascondersi, poi magari si draga anche bene, temo solo che nelle associazioni gay si trovino solo vecchi come me, i gay veri sono altrove…
Come dovrebbero evolversi i gruppi gay credenti in Italia per avere maggior rilievo dentro e fuori la Chiesa?
Hanno già un notevole peso perché rompono le scatole alla Gerarchia cattolica, nel senso che costituiscono una specie di spina del fianco. Hanno una grande importanza nella Chiesa ma devono farsi sentire di più altrimenti questa pretaglia ci rovina la vita! Perché mai uno davvero deve essere messo fuori dalla comunità cristiana se ha voglia di starci dentro? Anch’io ho sempre sentito importante il professarsi credente e gay per sfidare la situazione. Ad esempio il consiglio della castità, che è il voto dei religiosi, però non è obbligatorio per nessuno, perché per me dovrebbe esserlo? Per uno come me che studia filosofia, discutere questa tematica è come scoprire che non c‘è una natura normativa, non ci sono essenze da cui si traggono norme, ci sono disposizioni ma io naturalmente sono gay, vivo in una certa armonia con la mia società, non voglio scandalizzare tutti i giorni una mia vecchia zia… Ah, le vecchie zie! [risate] Ma con la religione questo non c’entra proprio nulla. È come dire che le donne non possono diventar preti. Ma dove sta scritto? Le cose bibliche contro l’omosessualità sono in gran parte leggende. È vero che di tutta la storia di Sodoma e Gomorra hanno già fatto svariate interpretazioni, è vero che san Paolo doveva affermare il Cristianesimo contro quei greci che scopavano selvaggiamente fra di loro [risate] Che poi gli ebrei erano davvero contro la sodomia? Io non lo so. Perché uno dei posti più sfrenatamente scoperecci, ricordo, erano le toilette delle fermate dell’autobus di Gerusalemme. C’erano questi qui col codino, il cappello nero, ortodossi, che si masturbavano reciprocamente, allegramente, senza nessun problema. Sono stato impressionato da questo. Io non so fino a che punto anche la tradizione giudaica sia così terribile contro la “gheiaggine”. San Paolo certamente lo è, lo è stato, chissà perché, magari aveva la spina nella carne, cioè gli piacevano i suoi colleghi apostoli, magari i discepoli, quelli più giovani [risate] Insomma, è sempre una storia di costume. Credo che l’unica cosa che le Leggi hanno è la carità più le regole del traffico. La morale è questa: tu devi amare il tuo prossimo come te stesso. Così quando ti dicono: “Sì, ma devi amare Dio sopra ogni cosa”, rispondo: “Sì, ma Dio è nel tuo prossimo non è scritto, invece, nelle tavole della Chiesa!”. E poi tutto il resto sono come le leggi dei semafori: in certe società: si passa col verde, in altre si passa col rosso. Anzi a Napoli, a quanto pare, se non passi col rosso rischi la vita! [risate] Questo però è interessante. È sempre sulla riflessione sul fatto che io mi trovo a essere gay e qualcuno mi dice che è “contro natura”, che io scopro che non ci sono norme naturali assolute. Ci sono delle naturalità che derivano dall’abitudine. Cioè è naturale che non mi metta le dita nel naso in pubblico ma non è che è vietato dal diritto naturale, è così, è una convenzione. È convenzione persino l’omocidio: ci sono state lunghe tradizioni sociali in cui se sei in guerra, ammazzi il nemico. Anche la Bibbia è piena di gente che si gloria di aver fatto fuori un sacco di nemici propri e del Padre Eterno. Allora, voglio dire, si capisce… l’omicidio è qualcosa di diverso. Io non uccido il prossimo perché non voglio togliergli la libertà. Ma mettiamo: se uno sta morendo di dolore e vuole essere fatto fuori eutanasicamente, in omaggio alla sua libertà, lo aiuto a farsi fuori! Non lo faccio perché non voglio andare incontro a troppi problemi legali, giuridici. Questo per dire che nemmeno l’uccidere il prossimo è una regola, una norma assoluta. Anche perché se la vita fosse un diritto naturale, beh, Dio sarebbe il massimo assassino del mondo! Ci ha fatti mortali, poteva farci immortali. Come dire… C‘è tutta una serie di riflessioni che nascono, per me almeno, da questa constatazione di una mia vocazione individuale, di una mia condizione individuale. Se non fossi stato gay avrei avuto più spesso la tentazione di considerare naturale quello che tutti considerano ovvio: cioè si va con le donne, si fanno figli… no! Ho scoperto che queste cose delle leggi naturali sono delle accentuazioni di usi e costumi che poi la Chiesa ha adottato “in toto” perché gli era più comodo e quindi “Va a dà via ‘l cul!”.
Quanto e come ha influito la sua omosessualità nell’elaborazione del pensiero debole?
Appunto, per esempio, su questa teoria delle leggi di natura in realtà, delle essenze naturali. Credo che predicare delle essenze naturali che contengano delle norme sia filosoficamente sbagliato. C‘è la storia della legge di Hume: diceva che trarre una norma dal fatto è una contraddizione in termini. È come se mi dicono: “Sei un uomo?”. O lo sono o non lo sono! “Perché devi esserlo? Perché lo sei?”. Ma se lo sono, è inutile che mi sforzi di esserlo. Lo sono e basta. E chi è che fa questi giochi? Quelli che vogliono mantenere la situazione com‘è… Ecco, se non fossi stato gay, tutta questa riflessione sulla non normatività delle essenze naturali, che è l’anima del pensiero debole, non l’avrei fatta. Quindi è vero che non è una filosofia particolarmente gaya però mi sembra che ci siano delle connessioni importanti.
Secondo lei, il discorso sull’omosessualità implica anche un discorso sulla laicità dello Stato?
Beh, ovviamente sì. Nel senso che se lo Stato assume come base delle sue leggi qualche principio che gli sembra di diritto naturale, come “Il matrimonio è naturale, tutto il resto del sesso non va bene…” o “…si tollera ma di nascosto…”, questa è una non assunzione di laicità. In genere uno Stato che adotta una morale cattolica o una morale ideologica qualunque, non è laico. Anche se ci fosse uno Stato, diciamo, professatamene ateo sarebbe uno Stato non laico. E questo è un problema attualmente dello Stato che si ripresenta continuamente. Perché è vero che le leggi sono difficili da fare partendo da zero, nessuna Costituzione nasce da zero, allora le leggi nascono da certe tradizioni pregresse che portano sempre con sé qualche cosa… La lotta per la laicità non è mai finita. Perché o ci sono delle classi che comandano, dominano, sono ricche e vogliono far credere che il loro dominio è la naturalezza, “le cose stanno così e sono sempre state così e van benissimo così”. Ma io lo dico perché sono ricco abbastanza, se fossi povero me ne fregherei!La rivendicazione di una base naturale del diritto naturale mi va bene quando è uno strumento di lotta, quando è un principio per modificare il diritto positivo ma quando invece viene predicato come conservazione si vede subito la sua essenza ideologica. Se fossi vissuto nell’epoca della Rivoluzione francese sarei stato anch’io un giusnaturalista, spero, però se fossi stato il figlio del Re mi sarei comportato diversamente, li avrei mandati a farsi fottere! Ancora una volta, dipende sempre da che condizione storica tu ti trovi a vivere… È vero che il mondo del proletariato è più buono dei capitalisti? Mah, non credo! Solo che io in quanto sono più proletario che capitalista sto con loro. E so benissimo che le lotte storiche non possono rivendicare dei diritti assoluti. Possono solo rivendicare dei diritti locali e tendenzialmente devono cercare di conciliarsi il meglio possibile ma, insomma, il liberalismo è sempre la cosa meno pericolosa.
Qual è il suo sogno più grande o per lo meno quelle che si sente di condividere con noi?
Che ne so! Questo è difficile dirlo. Sai, il sogno più grande… Hum… Ci sono delle ingiustizie naturali che vanno corrette. Allora, per esempio, se io trovassi qualcuno che mi toglie un po’ di pancia e un po’ di anni, sarei contento! No, voglio dire, che poi lo so benissimo che non è solo questo. Sogno una società in cui possano vivere diverse comunità, una società in cui ci siano gruppi che senza demonizzarsi reciprocamente presentano degli stili di vita che uno può condividere o no. Ehh! Il mio sogno più grande… Il mio sogno più grande è di non morire. Ma non morire significa continuare a lottare per qualche cosa, non starsene con le mani in mano tutta l’eternità a contemplare chissà che. Allora il problema vero è quello. Quando sogno una società in cui si tollerano, si comprendono comunità molteplici, anche se non si condividono totalmente, sogno, come in una galleria d’arte, la presenza di surrealisti, di iperrealisti, di dadaisti, di quadri diversi.
(1) Gianni Vattimo, “Gesù Cristo sarebbe fuggito con orrore”, la Stampa, 24 giugno 2005.

Con la Fiom contro Berlusconi


“Con la Fiom contro Berlusconi”, l’adesione di Gianni Vattimo (AUDIO)

MicroMega, 16 ottobre
Camilleri, Flores, don Gallo, Hack:"In piazza con la Fiom contro il regime Berlusconi-Marchionne"
L'appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, don Andrea Gallo e Margherita Hack perché il 16 ottobre si scenda in piazza a fianco alla Fiom. Un invito rivolto a società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e "a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica".

L'adesione di Gianni Vattimo (file audio):

Gianni Vattimo, passione per la conoscenza

Un bell'articolo sui Dialoghi di Trani
http://www.barlettalife.it/
Gianni Vattimo, passione per la conoscenza
Protagonista con Giulio Giorello ai Dialoghi di Trani
Lunedì 27 Settembre 2010
La passione per la conoscenza è un modo per disvelare ciò che ci è ignoto, orientando la volontà ad approfondire e interpretare il senso del reale. Per questo formuliamo teorie, reti, come afferma K. Popper, che dispieghiamo per contenere quello che chiamiamo il mondo, per conoscerlo, spiegarlo, dominarlo. Uno dei maggiori filosofi italiani, Gianni Vattimo, propugnatore di una "filosofia attenta ai problemi della società" , è portatore di un pensiero "che interpreta la storia dell'emancipazione umana come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi, a favore di un superamento delle ingiustizie sociali che da questi derivano".

Proprio "Passione per la conoscenza" è stato il titolo dell'incontro tenutosi quest'oggi, domenica 26 settembre alle 11, 30 presso il Cortile centrale del Castello di Trani. Nell'incontro, che fa parte del carnet offerto nell'ultimo giorno dei Dialoghi, Gianni Vattimo è stato chiamato a confrontarsi con Giulio Giorello, professore di Filosofia della Scienza all'Università di Milano ed editorialista del Corriere della Sera, sotto la sapiente regia del prof. Piero Dorfles, moderatore dell'incontro.

Diverse le tematiche affrontate, tutte inquadrate nell'ambito del conflitto intrinseco alla "triade" scienza-progresso-religione. Giorello ha aperto l'incontro con una polemica nei confronti dei politici nostrani, visti come «spaventati dalla cultura» e ha criticato la sordità della politica italiana nei confronti della necessaria rivoluzione in campo di insegnamento scolastico. Vattimo, il quale ha privilegiato una narrazione aneddotica nel corso del convegno, ha appoggiato la tesi di Giorello, citando il caso di Galileo Galilei come «paradigmatico del rapporto virtuoso che lega virtù e conoscenza». Il filosofo e parlamentare europeo ha proseguito chiedendosi e interrogando il pubblico su «fino a che punto la scienza sia utile, e fino a che punto è dannosa? , condendo il curioso interrogativo con una punta d'ironia.

Si è poi discusso della capacità della scienza e della ricerca scientifica di difendersi dalle pretese d'intervento e dalle ingerenze delle multinazionali e di coloro i quali fanno uso e applicazione delle scoperte realizzate in materia scientifica. Giorello ritiene necessario «evadere dal materialismo imperante, in nome di una difesa dell'impero scientifico. E' necessario allontanarsi - ha poi proseguito Giorello - dagli idealisti della verità e dell'essenza, che pretendono di rendere la politica odierna sulla falsariga di un totalitarismo leggero». Idea confermata da Piero Dorfles, il qualeha richiamato Goethe riproponendo il contrasto tra l'ingente volume dei dati presenti nella nostra epoca e la scarsa padronanza in nostro possesso che ne deriva. Dorfles ha calcato la mano su questa problematica esprimendo preoccupazione per le sorti di una ricerca scientifica sempre più nelle mani dei privati, con le riduzioni in termini di tempi e denaro che ne seguono. Vattimo ha confermato questa preoccupazione, dicendosi quasi «diffidente nei confronti di una ricerca scientifica dominata dalle multinazionali, che potrebbe diventare incapace di contrapporre l'inesplorato all'esplorato».

L'ultima tematica trattata ha riguardato gli strumenti attraverso cui la conoscenza possa fornire felicità. A farla da padrone in questo campo è stato Gianni Vattimo. «Credo che oggi il compito dell'uomo sia salvare la Chiesa e la ricerca, due fattori di felicità per molti, dal suicidio - ha detto l'esimio pensatore - il vero problema da noi sperimentato nella società scientificizzata è il paradosso di avere a disposizione tanti strumenti, ma senza un uso liberatorio, emancipatorio di questi». Di avviso opposto Giorello, il quale ha espresso fiducia nel relativismo della scienza, purchè non si progetti un pubblico di referenza assimilabile al "cretino informato", figura tanto cara ai sociologi contemporanei.
Un incontro che ha allietato il pubblico presente, suscitando diversi punti di riflessione, come hanno testimoniato le diverse domande poste dall'uditorio al termine della conferenza. L'ennesima conferma del livello elevato degli appuntamenti che hanno caratterizzato questa nona edizione dei Dialoghi di Trani.

La disinformazione sui diritti umani

Dal mio blog su Il Fatto Quotidiano
La disinformazione sui diritti umani
Diritti umani. Mentre la lapidanda Sakineh è ancora viva, anche per merito della campagna internazionale che ci ha tanto mobilitati e commossi, l’inferma di mente Teresa Lewis è stata uccisa in un carcere della Virginia senza che quasi il mondo se ne sia accorto, e io stesso mentre scrivo non sono neanche sicuro che l’esecuzione sia davvero avvenuta (leggo la “breve” sul “Fatto quotidiano” di oggi venerdi, p. 13, dove è scritto che “Tranne che per una grazia dell’ultimo istante, la 41 enne è morta ecc...” e non capisco bene che significhi; se non che è un caso del tutto secondario e l’errore redazionale sfugge).

La differenza di trattamento – non solo da parte delle autorità giudiziarie statunitensi e iraniane, ma da parte dell’opinione pubblica mondiale – dei due casi (simili perché si tratta di uxoricidio, anzitutto) salta spiacevolmente agli occhi. I quali rischiano di oscurarsi per un attacco di rabbia e di sconforto, quando mi rendo conto che i lettori del Fatto che non leggono anche il Manifesto (venerdì 24, p. 9) non sanno, sempre in tema di diritti umani, che la Commissione istituita dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, con un documento pubblicato mercoledi scorso, ha duramente condannato, parlando di “omicidio intenzionale” (nove persone uccise dai paracadutisti) e di trattamenti brutali e disumani, l’aggressione israeliana alla nave turca Mavi Marmara, parte della Freedom flotilla che nel maggio scorso stava cercando raggiungere Gaza per portare un carico di aiuti umanitari. Inutile ricordare che la flottiglia non aveva violato le acque territoriali israeliane, e che il blocco in atto da parte di Israele è del tutto illegale, come dice lo stesso documento dell’Onu. Tel Aviv, appoggiata dagli Stati Uniti, ha il coraggio di sostenere che i suoi soldati che hanno arrembato illegalmente e con la violenza la nave, hanno dovuto far fuoco per legittima difesa. Siccome proprio in questi giorni stanno muovendo da vari Paesi europei colonne di camion e auto che si dirigono verso l’Egitto e i porti del Mediterraneo dove si congiungeranno a una seconda flottiglia prevista per novembre, questa notizia di provenienza Onu ha una scottante attualità, e anche una sperabile funzione preventiva: quanti morti, altrimenti, dovremo aspettarci di vedere quando altri pirati appartenenti all’esercito israeliano abborderanno le navi e dovranno sparare per “legittima difesa”?

venerdì 17 settembre 2010

Vivisezione: ho votato contro.

Da Il Giornale di oggi:

La posta dei lettori
L'angolo di Granzotto

Sperimentazione sugli animali, ecco chi l'ha votata

Leggo con sgomento la sua mi auguro involontaria censura dei nomi dei deputati che hanno appoggiato al Parlamento europeo la legge che accetta e rende possibile le torture sugli animali. Mi auguro che vengano resi noti anche sul suo Giornale. Noi ragazzi siamo schifati oltre ogni dire da una classe politica che dilapida i nostri soldi con sprechi inaccettabili e per di più si arroga il diritto di imporci un’etica che invece ci disgusta e risulta contraria a ogni nostro valore. Siamo stanchi del silenzioassenso verso simili malefatte. La prego, rimedi subito al suo, mi auguro davvero, non voluto, proteggere questi disgraziati omettendone il nome.
Gio’ (La dame aux camèlias)

Ma quale censura involontaria o no, gentile lettrice (perché non si firma con nome e cognome? L’anonimato fa parte della sua etica?). Ho scritto di non aver trovato sul pur sontuoso e «trasparente» sito del Parlamento europeo i dettagli del voto (in pratica, i nomi di coloro che hanno votato a favore della legge sulla sperimentazione su animali, quelli che votarono contro e gli eventuali astenuti). Lei me ne fornisce l’elenco, tratto da un altro sito del quale non ero a conoscenza (abbia pazienza: ce ne sono, nella dannatissima Rete, qualche milione). Elenco che mi affretto a pubblicare, come promesso. Hanno votato «sì»: Gabriele Albertini (Pdl), Magdi Cristiano Allam (Io Amo l’Italia), Roberta Angelilli (Pdl), Antonello Antinoro (Udc), Alfredo Antoniozzi (Pdl), Pino Arlacchi (Idv), Raffaele Baldassarre (Pdl), Paolo Bartolozzi (Pdl), Sergio Berlato (Pdl), Luigi Berlinguer (Pd), Mara Bizzotto (Lega Nord), Vito Bonsignore (Pdl), Mario Borghezio (Lega Nord), Antonio Cancian (Pdl), Carlo Casini (Udc), Sergio Cofferati (Pd), Giovanni Collino (Pdl), Lara Comi (Pdl), Paolo De Castro (Pd), Luigi Ciriaco De Mita (Udc), Herbert Dorfmann (SVP), Carlo Fidanza (Pdl), Lorenzo Fontana (Lega Nord), Elisabetta Gardini (Pdl), Roberto Gualtieri (Pd), Salvatore Iacolino (Pdl), Vincenzo Iovine (Idv), Giovanni La Via (Pdl), Clemente Mastella (Udeur), Barbara Matera (Pdl), Mario Mauro (Pdl), Erminia Mazzoni (Pdl), Claudio Morganti (Lega Nord), Alfredo Pallone (Pdl), Pier Antonio Panzeri (Pd), Aldo Patriciello (Pdl), Mario Pirillo (Pd), Gianni Pittella (Pd), Vittorio Prodi (Pd), Fiorello Provera (Lega Nord), Licia Ronzulli (Pdl), Oreste Rossi (Lega Nord), Potito Salatto (Pdl), Matteo Salvini (Lega Nord), Lia Sartori (Pdl), David-Maria Sassoli (Pd), Giancarlo Scottà (Lega Nord), Marco Scurria (Pdl), Sergio Paolo Francesco Silvestris (Pdl), Francesco Enrico Speroni ( Lega Nord), Salvatore Tatarella (Pdl), Iva Zanicchi (Pdl).
Mancano all’appello 21 eurodeputati (il nostro contingente assomma a 78 parlamentari), che o erano assenti o hanno votato contro. In ogni modo non si sono resi complici dell’euromisfatto. Sono tre del Pdl: Mario Mauro, Cristiana Muscardini ed Enzo Rivellini. Un Udc: Tiziano Motti. Dodici del Partito democratico: Gianluca Susta, Francesca Balzani, Rita Borsellino, Salvatore Caronna, Silvia Costa, Andrea Cozzolino, Rosario Cricetta, Francesco De Angelis, Leonardo Domenici, Guidi Milana, Debora Serracchiani e Patrizia Toia. Nessuno della Lega e cinque dipietristi: Niccolò Rinaldi, Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Giammaria Uggias e Gianni Vattimo. Alla prossima chiamata alle urne riproporrò questo elenco. Così sapremo per chi non votare.
Paolo Granzotto

Torino Spiritualità

Dal Venerdì di Repubblica, di oggi:

A Torino torna di casa la spiritualità
Cinque giorni di dialoghi sulle religioni, e non solo. Torna, dal 22 al 26 settembre, Torino spiritualità. Tra gli ospiti della rassegna, giunta alla sesta edizione, Antonio Sciortino (giovedì 23), il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, i teologi Vito Mancuso ed Enzo Bianchi, i filosofi Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris.
La kermesse è dedicata quest'anno alla Gratuità, con incontri sugli sprechi alimentari e una "cena collettiva" per mille persone in piazza Carignano, in collaborazione con Slow Food e Last Minute Market, prima tappa delle Giornate europee contro lo spreco.

lunedì 13 settembre 2010

Mirabello e il punto di non ritorno

Post sul mio blog nel sito de Il Fatto Quotidiano

Mirabello e il punto di non ritorno

Chissà che davvero il discorso di Fini a Mirabello non abbia segnato un punto di non ritorno nella politica italiana. Bersani ha preso coraggio, e Berlusconi sembra averne perso. La festa di Atreju ci ha consegnato un B. un po’ meno uguale a se stesso; un B. che sembra rincorrere, senza sosta, qualcosa di cui non dispone. Fini si è letteralmente preso la scena politica, e B. vorrebbe strappargliela. Ma non ci riesce, il suo discorso è dimesso. Appare vecchio, e lo dice apertamente, più volte, per fingere di non crederci. Ma ci crede, e lo dimostra quel colletto troppo alto, troppo slanciato, troppo “giovane”. Come sempre, padroneggia con maestria l’autoironia; ma questa volta è ossessiva, troppo accentuata. Come in tutti i suoi discorsi, si autocelebra, senza limiti. A colpire, però, non è tanto il B. che plaude se stesso in quanto leader del governo del fare, ma quello che riprende in mano la sua “opera”, quel libretto scritto ai tempi del suo ingresso in politica, “L’Italia che ho in mente”.

Riferisce, per continuare con il connubio autoironia-autocelebrazione, che a lasciargli il libro sul comodino siano stati i suoi segretari. Ne legge una pagina e mezza: non per magnificare la visione presuntamente liberale del suo sogno politico, come avrebbe dovuto fare per rispondere alle parole di Fini, e come avrebbe voluto fare, poiché l’uomo è ambizioso; ma per ricordare ai giovani presenti il male insito nel comunismo e nell’abolizione della proprietà privata. La telecamera, impietosa, ce lo mostra mentre segue col dito le parole lette per non perdere il segno. Volutamente anti-storico, ricorda che nel ’93, in Italia, vigeva un regime comunista. Eppure, poco dopo, spiega la pagliacciata di Gheddafi con le ragioni storiche del colonialismo. Chiede ai giovani di non leggere i giornali, ma il succo del discorso thatcheriano, in contraddizione con le proclamate intenzioni, è che non bisogna leggerli non perché dicano falsità, ma perché parlano male del governo. Il rapporto con le donne: ci aveva abituati troppo male. Comincia assecondando le nostre aspettative, ma conclude ricordando che le mille donne pronte a sposarlo sanno che all’opulento B. restano pochi anni.

Ha un sussulto quando racconta la barzelletta su Hitler. Anche qui, però: la introduce assurdamente, spiegando che bisogna diffidare delle persone che, come i leader della sinistra, non sanno ridere. Ma la barzelletta non fa poi così ridere. È piuttosto amara, e al di là del cattivo gusto (tanto più quando a raccontarla è un primo ministro), tradisce forse lo stato d’animo del barzellettiere. B. parla di sé, s’immagina che i fedelissimi, tra qualche anno, vogliano spolverarlo e riportarlo alla guida del paese. Una sola condizione, questa volta cattivi. Ed è proprio qui il problema: un uomo cui è stato concesso tutto vuole di più. Ha umiliato la repubblica, si è fatto forte con gli ignoranti e i menefreghisti; vuole salvarsi dai processi, certo, ma l’immagine di uomo della provvidenza gli piace. E non si capacita del mancato sostegno degli elettori, né del cattivo giudizio storico che Fini, l’“esule in patria” che B. stesso ha sollevato dall’obbligo di mostrare il passaporto, ha ormai consegnato alla prossima generazione. Sa ormai benissimo che gli elettori che tutti, e B. in particolare, si preoccupano di non “tradire” non esistono, visto che in gran parte, quegli elettori – quelli di B., ma che anche quelli di Casini, e lo stesso si può dire per molti del PD – non votano per appartenenza, né si lasciano plasmare dai leader; gli elettori traditi sono semmai quelli che non votano più. Al tramonto, B. non ci pensava, non ci ha mai pensato. Forse, oggi, l’ha fatto per la prima volta.
Gianni Vattimo

venerdì 10 settembre 2010

Scempio dei diritti degli animali

Scempio dei diritti degli animali

Senza votazione, poiché si trattava di una cosiddetta seconda lettura, il Parlamento europeo ha approvato una direttiva sulla "Protezione degli animali utilizzati a fini scientifici" che non può non suscitare sentimenti di vergogna in chi ha partecipato alla seduta. Chi aveva lavorato da anni a una soluzione di compromesso – compromesso tra chi? Ovviamente tra difensori dei diritti animali e BigPharma – ha sostenuto che si tratta del miglior compromesso oggi possibile. Ma chi legga onestamente il testo che da oggi è legge europea non può non rilevare che alle molte affermazioni di principio sul rispetto degli animali si accompagnano tali e tante "clausole di salvaguardia" (salvaguardia dell'industria e non degli animali, ovviamente) che il titolo sulla protezione è esplicitamente (e persino cinicamente) contraddetto. Il tono dominante può essere riconosciuto leggendo per esempio l'art. 14: "Gli stati membri assicurano che, salvo non sia opportuno, le procedure (che causano dolore, sofferenza, angoscia, danno prolungato) siano effettuate sotto anestesia totale o locale": si può parlare di "opportunismo"? Chi e come debba decidere sulla "opportunità" non è ovviamente detto. E così in tanti altri articoli. Molto spesso, poi, si parla di qualcosa che "è scientificamente provato" – come se gli stati non sapessero che ci sono posizioni scientifiche diverse proprio su temi delicati come quello della vivisezione –: è il caso dell'art. 11 (si potranno utilizzare animali randagi e selvatici delle specie domestiche nel caso in cui sia "scientificamente provato che è impossibile raggiungere lo scopo della procedura se non utilizzando un animale selvatico o randagio").

Quasi tutti coloro che si sono schierati a favore del testo della direttiva hanno dichiarato la loro insoddisfazione e il proposito di lavorare per un miglioramento nel futuro. Molti hanno ricordato – con untuosa compunzione – che molte malattie oggi si possono curare proprio perché in passato si è sperimentato con animali vivi; come se non si fossero fatti moltissimi progressi nella farmacologia che permettono finalmente di evitare le sofferenze degli animali con altri metodi di esperimento. La preoccupazione di non porre le industrie farmaceutiche europee in condizioni di inferiorità rispetto a quelle di paesi più "tolleranti" è stata uno dei motivi ben visibili nel dibattito: è purtroppo regola, ormai, che le imprese europee delocalizzino la propria produzione verso paesi che presentano tutele ben più blande dei diritti (in particolare quelli sociali). Ma uno degli articoli più assurdi e abbastanza incomprensibili è quello che vieta agli stati membri di legiferare in modo più severo e restrittivo; difficile non accorgersi che anche questo divieto è da intendersi come clausola di salvaguardia dell'industria farmaceutica, che non deve incontrare intralci in nessun luogo del mercato unico.

Due soli fatti si possono menzionare per limitare la vergogna della approvazione della direttiva: i tre emendamenti proposti dai Verdi – miranti a correggere alcuni dei punti più inaccettabili della direttiva (e cioè a introdurre il diritto degli stati membri di adottare leggi più restrittive e il dovere di ricorrere a metodi alternativi alla vivisezione laddove esistano) –, che sono stati respinti a maggioranza; e la richiesta (presentata da Sonia Alfano ma appoggiata dai Verdi e da altri singoli deputati) di rimandare il testo alla Commissione agricoltura del Parlamento (competente sul tema) per un ulteriore ripensamento. Sia gli emendamenti dei Verdi, sia la richiesta di rinvio, sono stati respinti, ma almeno nel caso degli emendamenti c'è stato un voto nominale: gli elettori interessati al benessere degli animali hanno dunque la possibilità quantomeno di leggere i nomi e cognomi dei deputati (una larga maggioranza, purtroppo) che hanno contribuito a questo vero e proprio scempio dei diritti degli animali.
Gianni Vattimo
(Articolo postato sul sito dell'Italia dei Valori)

giovedì 9 settembre 2010

Dalla comunicazione alla solidarietà

In esclusiva per i lettori del blog: il testo della lecture tenuta alla Euprio Conference 2010, Stresa, 1 settembre.

Dalla comunicazione alla solidarietà


I due termini di questo titolo dovrebbero essere seguiti da un punto interrogativo. Non è affatto detto, anzi è sempre più evidentemente problematico, che dalla comunicazione scaturisca in qualche modo la solidarietà, anche se non potremmo dire che si può dare la solidarietà senza qualche forma di comunicazione. Io stesso ho pubblicato alla fine degli anni Ottanta un piccolo libro intitolato La società trasparente, che ha avuto una larga fortuna in varie paesi, e che però – forse per il suo titolo, che anch’esso avrebbe avuto bisogno di un punto interrogativo – mi ha fatto scambiare per un apologeta convinto della portata emancipatoria dei mass media. Certo, sono anche un difensore del significato liberatorio della comunicazione generalizzata; ma con un certo numero di significative condizioni. La prima delle quali è l’indipendenza politica della rete. Se posso permettermi un po’ di autobiografia, e di marketing editoriale, ricordo che La società trasparente ha avuto una seconda edizione che contiene un capitolo aggiuntivo intitolato “I limiti della derealizzazione”. Non starò qui a illustrare nei dettagli il senso di questo titolo, che sta in rapporto con una posizione filosofica generale che ho chiamato “pensiero debole” e che immagina l’emancipazione umana come un cammino di progressiva riduzione del peso e della perentorietà del “reale”. In questo cammino, è ovvio che la sempre più vasta pervasività dei media ha un ruolo decisivo: siamo sempre meno in contatto con le “cose” e sempre più in contatto con le loro rappresentazioni mediatiche; cioè con interpretazioni che implicano la presenza di altri soggetti, a loro volta tutt’altro che specchi passivi del “dato”. Tanto che spesso mi capita di sostenere che nel nostro secolo la stessa nozione di verità – il come stanno, in se stesse, le cose – viene sostituita da quella che chiamerei evangelicamente la carità, cioè l’accordo con gli altri che mediano ogni nostro rapporto con il cosiddetto reale. Faccio notare che una prospettiva come questa non è così stravagante per la filosofia: Hegel e Marx, in termini diversi, l’hanno formulata molto prima del pensiero debole: fare del mondo la casa dell’uomo (dove lo Spirito diventa assoluto perché si sente “presso di sé”), come pensava Hegel nella sua filosofia della storia; o eliminare l’alienazione anche nei suoi termini sociali ed economici come voleva Marx, è per l’appunto un modo di ridurre la perentorietà del reale “esterno” e della sua forza di limitare la libertà.

Il mio ripensamento sul senso emancipativo della comunicazione, come ho accennato, è stato motivato dalla presa d’atto che la “logica” della comunicazione generalizzata – cioè la tendenza della mediatizzazione della società a ridurre il peso del “reale” esterno a favore di una accentuata interdipendenza tra soggetti, comunità ecc. – era limitata dal peso “realistico” del potere, dei bisogni, della diseguale distribuzione della ricchezza. Se nella pretesa Babele post-moderna le varie prospettive interpretative si riducono di fatto a una sola o alle due di cui dispongono i due monopolisti, si ristabilisce una rigidezza “realistica” che contraddice al senso emancipativo della comunicazione. Ripeto che parlo qui di emancipazione dal peso del reale non perché ci siano ragioni filosofiche di preferire un mondo di simulacri al mondo delle cose (una sorta di platonismo ripreso e intensificato: tutto a favore delle idee, niente valore alle cose concrete); ma perché le immagini che sono distribuite dai media sono già sempre interpretazioni, e cioè risultato di atti liberti che si rivolgono alla nostra libertà chiedendoci un analogo impegno attivo di interpreti. (Il pensiero debole – che non è qui il nostro tema principale – ha anche una ipotesi sul perché il reale, le “cose come stanno”, ci sembrino da sempre preferibili alle “mere interpretazioni”. Le cose come stanno “oggettivamente” nascondono la trama di relazioni di potere che ci avviluppano: le analisi di Nietzsche sono spesso dirette a mostrare come i deboli, i senza potere, tendano a mascherare in modo consolatorio la loro debolezza proprio richiamandosi a un dato “innegabile”, alla fine il potere sovrano di Dio).

È in relazione a queste tematiche che la domanda contenuta nel mio titolo, qui, prende un senso più preciso, e cioè questo: possiamo pensare che l’intensificazione e lo sviluppo della comunicazione, che nel nostro mondo è diventata identica alla stessa realtà (se non se ne parla sui giornali o alla TV, non “esiste”...) comporti anche una intensificazione della solidarietà, e cioè una riduzione delle relazioni di dominio che hanno sempre costituito la trama “oggettiva” del cosiddetto reale? Nella mia ipotesi filosofica di riportare la verità alla carità – ma se volete, alla solidarietà – il fatto che riconoscere la verità di una proposizione – anche di una proposizione delle scienze sperimentali, dure – equivalga a condividere il punto di vista di una comunità, dunque a una sorta di atto di “appartenenza”, comporta già di per sé un elemento emancipativo in quanto richiede appunto il riconoscimento di una struttura dialogica della esperienza del mondo. Detto molto elementarmente: se so che il “dato” non è l’oggetto bruto che posso solo registrare passivamente, ma mi è appunto “dato” da qualcuno, ho nei confronti di esso un atteggiamento effettivamente più libero. Davanti a ogni proposizione posso, e devo, domandare “chi lo dice?”, assumendomi la responsabilità di partecipare a un dialogo più che di rispecchiare fedelmente il “dato”. Naturalmente si pone subito il problema del conformismo: se non mi richiamo alla “cosa stessa” come farò a non farmi ingannare dai tanti idola tribus, fori, ecc. L’esperienza del “reale”, ovviamente, è sempre stata condizionata dalla comunicazione (appunto: idola tribus, ecc.), e anche a priori kantiani condivisi con altri soggetti. Non c’è esperienza delle “cose” che non sia mediata dal rapporto con altri, e dunque dalla comunicazione. La novità della nostra situazione è che la comunicazione è diventata un fattore esplicito della nostra esperienza: Tutti sanno ormai che “la TV mente”, e cioè che siamo presi in una rete (un web, appunto) di informazioni non sempre coscientemente manipolate, ma inevitabilmente mediate dall’esperienza di altri, dalla comunicazione che ne riceviamo. Una volta che si pone esplicitamente la domanda “chi lo dice?”, non possiamo più credere ingenuamente alla favola dell’immediatezza dell’esperienza. Nietzsche ha parlato di una “scuola del sospetto” che caratterizza il nostro pensiero di tardo-moderni. E’ qui che la comunicazione confina, quasi necessariamente, con la solidarietà. A che dobbiamo essere fedeli per sapere la verità? Certo non al preteso dato immediato, che ormai sappiamo non essere affatto tale. E allora? Possiamo solo rispondere più o meno responsabilmente ai messaggi che ci vengono dagli altri: i nostri simili intorno a noi, o le culture altre – nello spazio o nel tempo – con cui veniamo in contatto. Non solo la nostra cultura è cultura del sospetto, nel senso del”chi lo dice?”; ma è anche una cultura della storicità, e cioè della comunicazione. Si fa esperienza di verità non quando, “mettendo da parte” opinioni e pregiudizi , si va “alle cose stesse”: questo è il massimo della mistificazione, la cancellazione della domanda “chi lo dice?” a favore di una immediatezza che non è e non può mai essere tale.

Il passo tra comunicazione e solidarietà è dunque, anzitutto, quello che prende atto di una storicità determinata e situata, in rapporto alla quale soltanto possiamo accedere alla verità. Che, se vale quel che si è detto fin qui, non è il trovarsi di fronte al “dato immediato” in una sorta di stuporoso silenzio imposto dalla “evidenza”; ma il riconoscersi, sempre problematico e mai tale da tacitarci, con altri con cui condividiamo una certa interpretazione, con cui ci “accordiamo”.

C’è però una possibilità di non cadere nel puro conformismo, quello per cui sarei nel vero solo se sono d’accordo con la mia comunità di appartenenza? Il carattere esplicito della comunicazione, il sapere che “la TV mente” e che occorre domandare “chi lo dice?” impediscono di pensare che la comunità entro cui mi trovo a vivere e pensare sia l’unica, si identifichi con l’umanità tout court. È proprio la consapevolezza che il “dato” mi è sempre “dato” da qualcuno ciò che mi libera dall’accettazione pura e semplice delle opinioni condivise; anche qui: “condivise da chi?”. Mi pongo questa domanda, che società più chiuse entro tradizioni condivise e sorrette da una autorità (nel Medio Evo, guelfi e ghibellini; due agenzie di verità e potere, l’imperatore e il papa…), perché vivo in un mondo di pluralità di interpretazioni, anche solo perché posso viaggiare e conoscere culture diverse, e perché queste culture diverse sono anche ormai qui con noi. La solidarietà a cui pensiamo qui non è l’accettazione passiva di una appartenenza, ma la consapevolezza critica che ci muoviamo sempre dentro, e partire da, una collocazione storica, a cominciare dl fatto che abbiamo una lingua che porta con sé non solo un lessico e una sintassi, ma anche una enciclopedia di esperienze, di paradigmi, di modi di rapportarsi al mondo. La consapevolezza critica – non accettata passivamente – di una appartenenza è anche la libertà che ci è offerta proprio dalla comunicazione. Il giorno che ci fossimo “liberati” dalla pluralità delle interpretazioni, come spesso raccomandano autorità di ogni tipo – religiose o politiche o anche “scientifiche” – avremmo perso anche ogni libertà nei confronti del preteso “reale”.

Il disagio che spesso, o anzi per lo più e quasi necessariamente, sentiamo di fronte a questo modo di pensare l’esperienza come pluralità di interpretazioni, è davvero un bisogno di “verità” su cui poggiare senza dubbi e incertezze? Noi siamo persuasi che si tratta invece della reazione “normale” di chi – come il “cane invecchiato alla catena” di cui parla Nietzsche – è cresciuto in un sistema dove la verità del dato era imposta dall’autorità di un sovrano, terreno o celeste che sia; e che desidera sostituirsi, o almeno allearsi, con questa autorità. Il “pensiero unico” che, anche e soprattutto con l’aiuto dei mass media sottoposti al controllo della proprietà, cerca di imporsi dovunque, con una schiera di collaboratori desiderosi soltanto di servire per partecipare al potere, è una prova abbastanza evidente che la malattia della catena non è affatto debellata. Una comunicazione capace di produrre e promuovere solidarietà può essere solo quella che, consapevole della propria collocazione, sa che può vivere solo entro la molteplicità preservata da ogni pretesa di “verità unica”. Un motto che potrebbe riassumere questo discorso sembra essere “salvare Babele”. L’alternativa – espressa nell’altro motto “amicus Plato sed magis amica veritas” esprime solo la patologica nostalgia per un mondo dove la libertà umana avrebbe solo il senso di negarsi e dissolversi nel silenzio della contemplazione dei “fatti”.

Gianni Vattimo

mercoledì 8 settembre 2010

Interrogazione sulla discriminazione contro le coppie dello stesso genere, diritti LGBT

Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione
Articolo 115 del regolamento
Sophia in 't Veld, Renate Weber, Niccolò Rinaldi, Baroness Sarah Ludford, Sonia Alfano, Cecilia Wikström, Alexander Alvaro, Gianni Vattimo, a nome del gruppo ALDE

Oggetto: Discriminazione contro le coppie dello stesso genere, libertà di circolazione, diritti degli LGBT, Roadmap UE
Il Piano d'azione della Commissione per l'attuazione del programma di Stoccolma e altri documenti di programmazione della Commissione non prevedono nessuna nuova, specifica e concreta iniziativa sui diritti degli LGBT e sulla lotta all'omofobia. Non è assicurato il reciproco riconoscimento delle coppie dello stesso genere, che siano coniugate, o in partenariato civile, o in coabitazione o de facto, nonostante l'art. 67,§ 4, TFUE sull'applicazione del principio del riconoscimento reciproco in materia civile, l'art.81 TFUE sulla cooperazione giudiziaria in materia civile con implicazioni transnazionali o l'art.19 TFUE, che dà all'Unione le competenze di "prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul...l'orientamento sessuale". La mancanza del riconoscimento reciproco incide anche nel contesto dell'applicazione della Direttiva 2004/38/CE(1) relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in quanto la maggior parte degli Stati membri applica un'interpretazione restrittiva e scorretta dei suoi articoli 2 e 3 in relazione alle coppie dello stesso genere(2), in stridente contrasto con gli articoli 2, 3, § 3 TUE e 10 e 19 TFUE e in particolare con l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali. Il Parlamento europeo ha espresso forti critiche, sollecitando gli Stati membri e rivedere la propria legislazione e invitando la Commissione a redigere orientamenti precisi - basandosi sulle analisi e conclusioni contenute nella relazione sull'omofobia dell'Agenzia sui diritti fondamentali - al fine di garantire l'applicazione del reciproco riconoscimento, della parità, della non discriminazione, della dignità e del rispetto della vita privata e famigliare. All'interno dell'UE le persone, quali i transessuali e le persone transgenere, continuano a essere oggetto di discriminazione a causa del loro orientamento sessuale e identità di genere oppure mancano di tutela e sostegno adeguati; alcuni Stati membri non riconoscono l'orientamento sessuale quale un motivo vincolante per riconoscere l'asilo in base alla Direttiva sulla qualifica e lo status delle persone bisognose di protezione internazionale; la Decisione quadro sul razzismo e la xenofobia non si applica all'omofobia; in taluni Stati membri vigono leggi che considerano l'informazione sulle coppie dello stesso genere nocive per i minori. Anche a livello internazionale dovrebbe essere rafforzata l'azione UE contro la criminalizzazione e la persecuzione delle persone LGBT.
Quali iniziative concrete, azioni e programmi intende prendere e promuovere la Commissione nel settore suddetto? Ha intenzione la Commissione di sostenere l'idea di formulare una Roadmap UE sui diritti degli LGBT e contro l'omofobia, con un calendario di misure volte a garantire che i diritti degli LGBT siano rispettati, protetti e promossi nella UE e nel mondo?

(1)
GU L 158 del 30.4.2004, p. 77.
(2)
Uno Stato membro (la Polonia), ad esempio nega i documenti di stato civile ai suoi cittadini che desiderano contrarre all'estero un partenariato con persone dello stesso genere.

Interrogazione sulle crescenti minacce alla libertà d'informazione e dei media

Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione
Articolo 115 del regolamento
Sophia in 't Veld, Renate Weber, Sonia Alfano, Nathalie Griesbeck, Baroness Sarah Ludford, Marietje Schaake, Leonidas Donskis, Cecilia Wikström, Gianni Vattimo, Adina-Ioana Vălean, Marielle De Sarnez, Ramon Tremosa i Balcells, a nome del gruppo ALDE

Oggetto: Crescenti minacce alla libertà d'informazione e alla libertà dei media negli Stati membri dell'UE e intervento previsto dalla Commissione
Dopo la Repubblica Ceca e l'Italia, anche l'Ungheria, l'Estonia e la Romania stanno vagliando severe restrizioni alla libertà d'informazione e dei mezzi di comunicazione, volte ad attribuire ai governi il potere di determinare i contenuti, censurare la critica e aumentare il loro controllo sui media. In Ungheria, un disegno di legge del governo prevede la costituzione di un "Consiglio dei media", sostenuto dal governo, per controllare i mezzi d'informazione pubblici, il cui leader sarà nominato dal Primo ministro. In Estonia, il parlamento sta discutendo una nuova proposta di legge che costringe i giornalisti a rivelare le loro fonti e commina multe ai giornali in caso di sospetta intenzione di pubblicare "informazioni potenzialmente dannose". In Romania, il Consiglio supremo di difesa ha trasmesso al parlamento per un'azione legislativa la nuova strategia di difesa nazionale, che prende di mira "il fenomeno delle campagne mediatiche commissionate, volte a denigrare le istituzioni dello Stato diffondendo false informazioni sulle loro attività". Sono state sollevate preoccupazioni anche per quanto riguarda la revisione della normativa sulla radiodiffusione pubblica. Giornalisti e editori ungheresi, estoni e rumeni, sostenuti dai loro omologhi in altri paesi europei, hanno criticato tali iniziative definendole come attacchi alla libertà dei media nei loro rispettivi paesi, che riportano pericolosamente indietro nel passato.
Ritiene la Commissione che siffatti disegni di legge siano compatibili con le norme europee sulla libertà d'informazione e la libertà dei media, sancite dall'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, dall'articolo 10 della CEDU e dalla relativa giurisprudenza, nonché dall'articolo 6 del TUE?
Non ritiene la Commissione che la libertà dei media sia un elemento fondamentale della democrazia, che l'Unione europea e le sue istituzioni devono tutelare, anche, se del caso, attivando l'articolo 7 del trattato sull'Unione europea?
Quali misure intende la Commissione adottare per assicurare l'applicazione corretta e completa di tutta la legislazione pertinente nei settori del mercato interno, della politica audiovisiva, della concorrenza, delle telecomunicazioni, degli aiuti statali, dell'obbligo del servizio pubblico e dei diritti fondamentali?
Quando sarà pubblicata la comunicazione sugli indicatori del pluralismo dei media (annunciata per il 2010) e quali saranno le prossime tappe? In particolare, intende la Commissione proporre una revisione della direttiva "Televisione senza frontiere" affinché includa la libertà e il pluralismo dei media?

martedì 7 settembre 2010

Il tradimento di Fini

Postato sul mio blog per il Fatto Quotidiano.
Casini, perché attaccare Berlusconi solo dopo averlo abbandonato? La domanda di Mentana sullo speciale de La7 al termine del discorso di Mirabello è legittima e illuminante. L’imbarazzo di Casini – “Ci siamo sbagliati”, ha spiegato,”pensavamo che alla lunga il suo agire si sarebbe normalizzato”: ricorda qualcosa? - e il mea culpa di Fini sulla legge elettorale? - “Ho contribuito anch’io alla porcata”, ammetteva – tradiscono l’opportunismo dei due, tanto che Di Pietro può dire a Fini di “non fare il furbo”. D’altronde, a detronizzare i leader di regimi autoritari ci pensano solitamente, in mancanza o prima delle rivoluzioni, gli ex alleati; che però difficilmente sanno fornire spiegazioni convincenti, a posteriori, del perché si siano accorti così tardivamente degli errori compiuti. E lo stesso Fini, che pure ringrazia B. per aver sdoganato l’Msi trasformatosi in An, ha ricordato un solo motivo che possa spiegare l’abbraccio mortale con colui che oggi lo espelle dal partito: fermare, nel ’94, la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. Certo, sulla macchina non c’era il centro guidato da Martinazzoli, che però avrebbe dato vita all’Ulivo di lì a due anni; ma davvero il pericolo (quale, poi?) della gioiosa macchina da guerra giustifica il regime di B.?
Difficile che un partito come quello di Casini, abituato a votare in base alla convenienza politica, possa ricordare di essere stato parte di un progetto politico-ideale, e per questo scusiamo l’incapacità di fornire una risposta sensata al perché della tragica alleanza. Ma lo stesso Fini non ha voluto ricordare alcun risultato positivo del suo (ex) governo, e si è limitato a dire che l’esecutivo si è comportato bene (?) in merito alla crisi economica per poi sparare a zero, come notava giustamente Travaglio, sull’essenza dei principali provvedimenti presi dai ministri di B. – in primis la sciagurata riforma di scuola e università che di certo non fa nulla per risolvere il male che Fini sente al cuore per quel giovane disoccupato ogni quattro. Un governo senza politica industriale, che ha tradito il suo orientamento liberale, e ha promosso politiche insensate, come spiega lo stesso Fini (federalismo, riforma della giustizia, ecc.), e che anzi ha di fatto favorito il sorgere di cricche e illegalità di ogni tipo. Fini non può certo ricordare con merito, alla luce delle sue posizioni attuali, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione e quella Fini-Giovanardi sulla droga. Ma allora cosa?
Nulla. Resta solo la distruzione della macchina da guerra, l’unico risultato dell’impegno politico di B. che resterà negli annali. Vent’anni bruciati, oltre ai danni irreparabili subiti dalla democrazia. Un paese mancato, come direbbe Guido Crainz. E a subirne le conseguenze sono proprio i giovani che preoccupano il cuore di Fini. Lo sguardo di Bersani era giustamente sconsolato, ieri sera. Ora però anche Bersani sa che il governo non sa giustificare il suo operato, e che fare peggio è impossibile. L’occasione è irripetibile: il vuoto da riempire è fortunatamente enorme. Se solo il Pd dedicasse un po’ del tempo che ha perso per difendere i diritti di Schifani (ma l’opinione pubblica non ha il diritto d’interrogare la seconda carica dello stato sulle accuse che gli sono state rivolte?) a costruire un programma e un’alleanza, la gioiosa macchina, non da guerra ma da governo, potrebbe finalmente vincere la sua corsa.
Gianni Vattimo