lunedì 22 novembre 2010

Teheran parte seconda


Altro post sul blog de Il Fatto quotidiano, 21 novembre 2010

Teheran, parte seconda


Ho letto i tanti commenti giunti sul blog al mio post sul World Philosophy Day (WPD) a Tehran. In molti mi chiedevano di specificare cosa avrei detto al congresso. Su La Stampa di ieri, è riportata una parte – quella più strettamente filosofica – del mio intervento. Trascrivo qui di seguito per i lettori de Il Fatto Quotidiano l’introduzione, di natura politica, che farò precedere al mio discorso, intitolato “Universalismo, verità, tolleranza”. Lo faccio nella speranza di suscitare reazioni sul merito della riflessione e sulla proposta politica in essa contenuta (come avvenuto ad esempio in una discussione con Eco su queste tematiche), anziché commenti ispirati all’insensata equiparazione della critica delle politiche del governo israeliano e del sionismo all’antisemitismo, magari conditi da attacchi al sottoscritto (si veda, se proprio necessario, la reazione di Volli al mio post su ilfattoquotidiano.it). Sono certo consapevole della contraddizione, che in molti hanno notato, tra l’accettazione dell’invito di Tehran e il boicottaggio della kermesse israeliana (prima, ed egiziana poi) al Salone del Libro di Torino. Ma è poi tale? Forse no. Entrambe le questioni sono non solo culturali, ma anche politiche. E nel caso del Salone del Libro, che i paesi occidentali (l’Italia, poi…) – e non i loro intellettuali – non perdano occasione per ribadire il proprio sostegno alle decennali pratiche imperialistiche del governo israeliano, prendendo accordi con quest’ultimo per organizzare un evento – in Occidente, non a Tel Aviv – che inevitabilmente finisce per mortificare la causa legittima e colpevolmente trascurata dei Palestinesi, è a mio parere poco accettabile. O comunque, sembra imporsi una scelta, quella che appunto descrivo qui sotto. Un mondo multipolare ha le sue esigenze.


Universalismo, verità, tolleranza

Sono pienamente consapevole dell’onore che mi avete tributato invitandomi al World Philosophy Day. Sono già stato a Teheran anni fa, quando il presidente Katami invitò l’Accademia della Latinità, della quale sono uno dei due vicepresidenti. Oggi sono qui in altra veste: quella di filosofo, e quella di deputato del Parlamento europeo. Sono essenzialmente due le ragioni per le quali ho deciso di accettare l’invito a Teheran: il mio impegno professionale per la filosofia, e il mio impegno politico per promuovere la causa della rivolta internazionale contro l’imperialismo statunitense. Il conflitto fondamentale che caratterizza il mondo odierno è di duplice natura, filosofica e politica, e riguarda le politiche di una potenza economica e militare che pretende anche di rappresentare la ragione e i diritti umani, agitati in nome di una sorta di missione divina. Sapete perfettamente cosa questa pretesa significhi in termini di oppressione di popoli e interventi offensivi nei domini riservati degli stati. Benché non possa dire di condividere, filosoficamente e politicamente, le posizioni ufficiali del governo iraniano e di molti intellettuali del vostro paese, ho deciso di schierarmi in favore della lotta dei tanti popoli che, come quello iraniano, e quelli di paesi latino-americani come il Venezuela, Cuba, la Bolivia e il Brasile, si stanno ribellando al potere della polizia internazionale capeggiata dagli Stati Uniti. Posso ovviamente esprimere le più ampie riserve su molte posizioni ufficiali del governo iraniano: la pena di morte (che è tuttavia pratica corrente nella cosiddetta capitale della democrazia, gli Stati Uniti), ma anche (quella che a me appare come) la forte commistione tra la religione ufficiale dello stato e il diritto civile, che invece dovrebbe a parer mio garantire tutte le scelte morali e filosofiche dei cittadini, e tra queste una maggiore libertà d’insegnamento nelle scuole e nelle università, ma anche l’assenza di persecuzioni nei confronti dell’omosessualità e in generale di tutti gli orientamenti sessuali. Potrei ricordare molti altri punti di dissenso che sono propri anche dell’opinione pubblica occidentale, sebbene quest’ultima sia fortemente influenzata dalla propaganda imperialista e persino sionista. Ciononostante, in nome della causa comune contro l’imposizione soffocante del consenso di Washington, scelgo volutamente di rimandare l’esame delle tante questioni di libertà appena ricordate. Ben sapendo che anche nel mio “mondo libero”, molte delle libertà che spesso invochiamo per i cittadini iraniani non sono rispettate. Quello che mi ripropongo di fare, d’ora in poi, è contribuire, per quanto mi è possibile, alla lotta per realizzare queste libertà sia nel mio mondo occidentale sia nel vostro, ben consapevole del fatto che molti di coloro che in Occidente pretendono di difendere e affermare i diritti umani sono in realtà alleati dell’oppressore. Menziono per tutti gli pseudo-democratici sostenitori dello stato d’Israele, che è oggi uno dei più orribili esempi, ipocrita, di aggressione militare contro quegli stessi diritti.

Partorire idee e bambini


Partorire idee e bambini

L'espresso, 25 novembre 2010

Neppure Hannah Arendt, una delle grandi donne filosofe del nostro tempo, che ha opposto alla centralità dell’"essere per la morte" di Heidegger il concetto di natalità, sembra aver colto tutta la portata filosofica di quell’elementare evento originario che è il partorire. Francesca Rigotti, che insegna filosofia nella università di Lugano, vede anche in fatti come questo, tra i tanti che costellano tutta la storia del pensiero occidentale, il segno che la filosofia,m entre ha dedicato tanta attenzione alla nozione di creatività, non ha mai saputo collegarla al fatto elementare del parto. Dimenticando anche l’origine delle tante metafore che adoperiamo per parlarne, a cominciare dal termine "concetto": qualcuno si ricorda che è il prodotto di un concepimento? Certo si dice che una mente è “feconda”, che un’idea è “partorita”, ma persino quando si parla del parto nel senso letterale si fa attenzione soprattutto a chi nasce, non alla partoriente, eppure la nascita è una faccenda che impegna due soggetti, non solo chi viene al mondo. In realtà, pensa l’autrice, la cultura occidentale maschilista ha espropriato la donna anche di questo “primato”. Spesso pensando che le donne sono meno creative – in termini di opere d’arte, di sistemi filosofici, di fondazione di stati – perché per loro la creatività si esercita e si esaurisce tutta nell’essere madri. Ma non solo – come mostrano tanti esempi che il libro ricorda – una donna può fare figli e produrre opere; ma dall’esperienza del partorire, non obliata, possono nascere opere ben altrimenti originali e “creative” di quelle a cui ci ha abituati la cultura maschilista.

Gianni Vattimo

Francesca Rigotti, Partorire con il corpo e con la mente, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 178, € 16.

venerdì 19 novembre 2010

Contro i danni dell'imperialismo


Quello che segue è uno stralcio del mio intervento al World Philosophy Day a Tehran, 21-23 novembre, pubblicato oggi su La Stampa, con il titolo "Contro i danni dell'imperialismo". Ho già descritto le ragioni che mi spingono a parteciparvi, nonostante le polemiche (si veda l'articolo di Maurizio Assalto questa mattina su La Stampa), in un precedente post su questo blog.


Universalismo, verità, tolleranza

Il punto che intendo proporre oggi qui, sapendo che è di intensa attualità per la filosofia e la politica che ci riguardano tutti, è che la questione dell’universalismo e della verità non può essere risolta da un punto di vista esclusivamente teoretico. Il terzo termine del titolo del mio intervento si riferisce proprio a questo. In un saggio che io qui assumerò come guida per la mia discussione (Solidarietà o oggettività?), Richard Rorty ha tentato di rintracciare le origini dell’universalismo filosofico in un preciso momento della storia del pensiero greco, quando cioè la polis aveva cominciato a espandere i propri commerci al di là dei confini in cui prima era abituata a svolgerli. In questo momento la filosofia greca iniziò a interessarsi del problema di come esprimere posizioni capaci di ottenere il consenso anche di coloro che non erano cittadini delle poleis greche, cercando dunque di porre le basi di una sorta di dominio non violento su tali popoli.

Senza discutere qui della validità di questa ipotesi di Rorty, dobbiamo ricordare che tutti noi cultori di filosofia ci siamo abituati a considerare questa “scoperta” dell’universalità come una tappa positiva nel progresso verso la civilizzazione e l’umanizzazione. Ancora oggi, pensatori di tutto rispetto come Apel o Habermas, ritengono che non sia possibile fare una qualche affermazione vera senza rivendicare, almeno implicitamente, la sua validità erga omnes. E questo omnes si riferisce non solo a coloro che giocano il nostro gioco linguisico o ai nostri concittadini: ma all’umanità in generale, rispetto alla quale la nostra affermazione rivendica la propria validità in nome della ragione stessa.

Ma nella condizione attuale che Heidegger ci ha insegnato a chiamare la fine della metafisica e che Nietzsche descrive come l’avvento del nichilismo, proprio questo appello alla validità universale è diventato sommamente sospetto. Abbiamo imparato a domandare chi è che parla, senza lasciarci spaventare dalla pretese che sia la ragione stessa. Nel mondo della fine del metafisica, ogni pretesa di universalismo deve fare i conti con il fenomeno della globalizzazione, che i filosofi non possono limitarsi a osservare da fuori: e ciò perché la storia e la crisi dell’imperialismo e del colonialismo occidentale hanno oggi una rilevanza filosofica decisiva. Non esageriamo se pensiamo che anche l’universalismo delle filosofie, anche di quelle che sorgono e si affermano al di fuori della tradizione europea, è uno dei danni collaterali prodotti dall’imperialismo occidentale. È come se l’Occidente, con la sua pretesa di parlare in nome della Ragione stessa, avesse contaminato anche altre culture, spianando la strada a una lotta tra diverse pretese di verità assoluta. In Italia abbiamo a tal riguardo un motto paradossale ma non troppo: “grazie a Dio, sono ateo”. Che potrei tradurre così: proprio perché sono cristiano non credo alla verità. La sola verità universale che la filosofia ha da offrire al mondo è quella che si incontra nel Vangelo, là dove Gesù, interrogato su come riconoscere il Messia al momento del suo ritorno alla fine dei tempi, risponde esortando a non credere a chi dice eccolo qui, eccolo là; senza dare alcuna altra indicazione positiva. Non è molto, ma può avere un decisivo significato liberante.

Gianni Vattimo

domenica 14 novembre 2010

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

Gianni Vattimo: "Com'ero felice nella mia soffitta"

«Continuo a dire le stesse cose del ‘99, nel frattempo il Pd mi ha cacciato: sono cambiato io o loro?»

La Stampa, Torino, 14.11.2010. Intervista di Niccolò Zancan

Professor Vattimo, perché la politica torinese sembra impantanata?
«Il problema è che Chiamparino è difficile da sostituire. È un bravo sindaco, molto popolare. Quindi tutti stanno tergiversando, ma non mi sembrano lotte di potere drammatiche».

Qual è il suo candidato ideale?
«Di sicuro non uno del Pd. Chiederei a Marco Revelli, un sinistrorso che conosce bene la città. Perché no?».

Profumo o Fassino?
«Tutto sommato preferirei ancora Fassino, che è un politico. Ma sottolineo ancora, nel senso di extrema ratio».

Coppola o Ghigo?
«Ghigo. Se non altro, lo conosciamo già. Certo ha tutti i limiti di un destrorso».

Lo sa che è rimasto quasi solo più lei a parlare continuamente di destra e sinistra?
«Io la guardo da un punto di vista culturale. Questa distinzione non è mai sparita. La destra è naturalista, la sinistra culturalista. In questo senso: la sinistra vuole correggere volontariamente le differenze naturali che ci sono fra le persone, mentre la destra vuole sfruttarle. Il punto cruciale è sempre lo stesso: cercare di dare eguali condizioni di partenza».

Com’è essere un omosessuale a Torino?
«Se sei un giovane, stai facendo carriera e hai bisogno di approvazione, non è ancora tanto facile. Come direbbe il professor Catalano: è sempre meglio essere ricchi che poveri. Uno già sistemato, se ne può infischiare dei commenti e dei pregiudizi. Gli altri restano ricattabili, quindi soffrono. E soffrono anche per le battute di Berlusca...».

Cosa le piace di Torino?
«Il vecchio centro storico, ci passo la vita e ci starei sempre. È diventato molto bello. Il che spiega il mio favore verso il sindaco attuale, anche se è più di centrodestra che di centrosinistra, anche se è troppo ragionevole, è stato davvero un ottimo sindaco. Ora ci vorrebbe il suo gemello».

Qual è un posto della città dove è stato felice?
«Via Mazzini 52, la mia soffitta. Eravamo calati dalla collina, io e il mio amico Giampiero. Avevamo una vita, ricevevamo amici e gruppi, il martedì di via Mazzini... Sono stato contento».

Cos’era il martedì di via Mazzini?
«Lasciavamo il portone aperto a tutti quelli che volevano venire a bere un bicchiere, professori e giovani scappati di casa. Era una piccola Arcore ma senza escort e senza forze dell’ordine. E soprattutto, purtroppo, senza orge».

Ora c’è un mucchio di gente che fa la sua vecchia battaglia contro gli eccessi della movida. Ha visto?
«Sono un profeta... Ricordo il gran casino di un capodanno in piazza Castello, fino alle sette di mattina».

Qual è la sua ricetta?
«Locali insonorizzati e un’educazione collettiva migliore. Quelli che fanno tutto questo chiasso sono dei barbari».

Cosa cambierebbe di Torino?
«La renderei più a misura di pedone. Certe volte mi sorprendo a cristonare quando cerco di attraversare la strada. E’ ancora una città troppo bucherellata, disordinata, cantierizzata, a tratti sembra bombardata. E poi c’è il problema dei mezzi pubblici».

Cioè?
«Certi pullman sono degli assassini puri. Dite al prossimo sindaco di prendere il 68 che va al cimitero verso l’ora di pranzo. Io lì sopra capisco cos’è la selezione naturale. Chi manca di molleggio è fregato, le vertebre sono a rischio, la schiena si spezza. Un calvario».

Dal punto di vista sociale?
«Bisogna tornare ad aprire le sezioni di partito nei quartieri. Non lasciare la gente davanti alla televisione. Ecco perché io trovo i No-Tav un movimento esemplare: gente che si impegna e si informa, si organizza e va. Bisogna smetterla di gridare governo ladro, è il momento di vedersi, discutere e tornare a ragionare».

Chi può prendere il posto di Bobbio e Galante Garrone?
«Io sono disponibile, ma nessuno mi prende sul serio. Scherzo... Credo che all’Università di Torino ci siano maestri da non buttar via».

È una città con meno fermento intellettuale?
«Mancano i vecchi laboratori informali. Posti dove discutere sul futuro di Torino. Ricordo le riunioni promosse da Marco Rivetti. Ora ci si confronta meno o forse non mi invitano perché sono diventato un estremista e non servo a niente. Oppure c’è meno vitalità, perché abbiamo avuto un sindaco di cui ci siamo fidati».

Come mai è diventato un estremista?
«Guardi, io sono sempre stato un cattolico di sinistra e non mi sento molto diverso, è cambiato il contorno. Io continuo a dire le stesse cose che dicevo nel ‘99, nel frattempo quelli del Pd mi hanno cacciato. La domanda è: sono cambiato io o sono cambiati loro?».

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Giornata Mondiale della Filosofia a Tehran

Lo confesso: sono uno dei filosofi invitati alla Giornata mondiale della Filosofia che annualmente si celebra per iniziativa dell’Unesco, e che quest’anno si svolge, oltre che in alcune altre capitali, in Iran, nelle giornate comprese tra il 21 e il 24 novembre. Circola intanto sul web una notizia secondo cui l’Unesco avrebbe ritirato la sua adesione alla giornata, con l’oscura ragione che, al momento della decisione di tenerla nella capitale iraniana, non sarebbero state fornite dal governo di Tehran sufficienti informazioni su tutti i particolari organizzativi. Ma, come si vede esplorando i vari siti relativi al “World Philosophy Day 2010”, la decisione, se tale è, di ritirarsi, l’Unesco l’ha presa solo sotto la pressione dei soliti paladini del “mondo libero”.

In Italia, è stata lanciato, pare da Reset (Bosetti, Amato), un boicottaggio della giornata di Tehran. Le solite ragioni, da ultimo anche la povera Sakineh; che è stata bensì condannata a morte, per l’assassinio del marito, ma che è ancora viva, mentre la povera disabile americana il cui caso è stato accostato a quello della signora iraniana, è stata democraticamente giustiziata pochi giorni fa senza che alcun sindaco di capitale occidentale abbia sentito il bisogno di affiggere su qualche Colosseo locale il suo ritratto in formato gigante. E intanto, chi difende e commenta enfaticamente la decisione del’Unesco di ritirarsi da Tehran è il cosiddetto filosofo Bernard Henri-Lévy, una specie di Fiamma Nirenstein (o Daniela Santanché? È pure bello) francese, apologeta a tutti i costi anche delle più criminali decisioni dello stato di Israele.

Riconosco nel cosiddetto imbarazzo dell’Unesco di fronte a una giornata di filosofia in Iran nulla più che la eco delle pressioni della Cia e del colonialismo sfrontato di Israele, che mentre stigmatizza Amadinejahd e vuole impedire ai filosofi di tutto il mondo di incontrarsi a Tehran con i colleghi iraniani, continua a calpestare senza scrupoli i diritti dei Palestinesi e tutte le delibere dell’Onu e di quella “comunità internazionale” di cui Bosetti e compagni pretendono di essere i portavoce. Anche per queste ragioni, per manifestare una volta di più lo sdegno e la rivolta contro l’ipocrita osservanza della disciplina poliziesca imposta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (anche l’Italia di Berlusconi!), sarò a Tehran per il World Philosophy Day e mi auguro che i colleghi filosofi invitati abbiano la dignità di respingere il ricatto a cui qualcuno oggi cerca di sottoporli.

Gianni Vattimo

mercoledì 10 novembre 2010

An Ethics for Today



An Ethics for Today: Finding Common Ground Between Philosophy and Religion

Richard Rorty
November, 2010
Cloth, 104 pages,
ISBN: 978-0-231-15056-9
$17.95
/ £12.95
Introduction by Gianni Vattimo





Richard Rorty is famous, maybe even infamous, for his philosophical nonchalance. His groundbreaking work not only rejects all theories of truth but also dismisses modern epistemology and its preoccupation with knowledge and representation. At the same time, the celebrated pragmatist believed there could be no universally valid answers to moral questions, which led him to a complex view of religion rarely expressed in his writings.

In this posthumous publication, Rorty, a strict secularist, finds in the pragmatic thought of John Dewey, John Stuart Mill, Henry James, and George Santayana, among others, a political imagination shared by religious traditions. His intent is not to promote belief over nonbelief or to blur the distinction between religious and public domains. Rorty seeks only to locate patterns of similarity and difference so an ethics of decency and a politics of solidarity can rise. He particularly responds to Pope Benedict XVI and his campaign against the relativist vision. Whether holding theologians, metaphysicians, or political ideologues to account, Rorty remains steadfast in his opposition to absolute uniformity and its exploitation of political strength.

About the Author

Richard Rorty (1931-2007) was professor of comparative literature and philosophy at Stanford University. His Columbia University Press books are The Future of Religion (with Gianni Vattimo) and What's the Use of Truth? Gianni Vattimo is emeritus professor of philosophy at the University of Turin and a member of the European Parliament. His books include The Responsibility of the Philosopher; Christianity, Truth, and Weakening Faith: A Dialogue (with René Girard); Nihilism and Emancipation: Ethics, Politics, and Law; and After Christianity.

Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999

Firenze, in 1500 chiedono giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra nel 1999


Crescono le adesioni: da Gino Strada a Paul Ginsborg, da Piero Pelù a Massimo Carlotto e Alfredo Zuppiroli

A due giorni dall’inizio del processo di appello ben 1500 firme , raccolte in una settimana, spingono l’appello per chiedere giustizia nei confronti dei 13 condannati a sette anni per aver manifestato contro la guerra in Kosovo nel 1999. Dopodomani, 5 novembre, si terrà infatti il processo di appello e tra le 1500 firme di cittadini e cittadine turbati per la esagerata sentenza di condanna di primo grado troviamo anche i nomi illustri di Gino Strada, fondatore di Emergency e dello storico inglese Paul Ginsborg, del cantante Piero Pelù e dello scrittore Massimo Carlotto, del sociologo Alessandro Pizzorno e di Vittorio Agnoletto.

[Firma anche tu qui http://bit.ly/d8q0VG]

A sottoscrivere il testo anche l’europarlamentare Gianni Vattimo, il giurista Danilo Zolo e i presidenti nazionali di Banca Etica e dell’Arci, rispettivamente Ugo Biggeri e Paolo Beni; il conduttore Rai Massimo Cirri, il presidente della Fondazione Michelucci Alessandro Margara e il presidente della Commissione di Bioetica della Regione Toscana e primario all’Ospedale S.M.Annunziata Alfredo Zuppiroli; Silvano Sarti, presidente dell’Anpi Firenze e Roberto Passini presidente del Comitato per la difesa della Costituzione. A fianco dei 13 imputati anche i sacerdoti Vitaliano della Sala e Andrea Bigalli; Maso Notarianni, direttore di Peacereporter, Aldo Zanchetta dell’omonima Fondazione, Alberto Ziparo del Comitato contro il sottoattraversamento Tav e Lore nzo Bargellini del Movimento di lotta per la casa.

Ad affiancare coloro che hanno promosso l’appello – tra i quali ricordiamo Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi – anche molti amministratori locali, consiglieri regionali, comunali e di quartiere, direttori di siti e giornali on line, attivisti di associazioni in difesa dei diritti.

Il testo dell’appello

Il 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell’ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio. Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi – molto divergenti – delle forze dell’ordine e dei manifestanti.

Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti. Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l’ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto – in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l’esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d’appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi “esemplari” a chicchessia. Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un pass aggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.

I promotori

Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabato, rappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità dell’Isolotto | Filippo Zolesi, Sinistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitat o verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà | Miriam Giovanzana, Terre di mezzo | Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlatti, rappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderico Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo.

L’appello è ancora attivo e può essere sottoscritto on line alla pagina http://bit.ly/d8q0VG.

(http://www.altracitta.org/2010/11/03/firenze-in-1500-chiedono-giustizia-ed-equita-per-chi-manifesto-contro-la-guerra-nel-1999/)

sabato 6 novembre 2010

Martiri cristiani e coscienze vaticane

Post dal mio blog su Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2010

Martiri cristiani e coscienze vaticane


Si annuncia davvero un secolo di persecuzioni contro i cristiani, come scrivono osservatori anche politicamente corretti, per esempio il vaticanista de La Stampa, Galeazzi? Accade anche in terre e regioni dove una lunga convivenza, non sempre pacifica ma per lo più non sanguinaria, tra cristiani, musulmani, ebrei, atei e pagani vari, era durata fino a poco tempo fa. Non solo: l’Iraq, dove adesso si spara ai fedeli riuniti nelle chiese, era uno dei paesi più laici di tutto il Medio Oriente. Difficile non pensare che qualcosa sia cambiato di recente in quei territori, tanto da riaprire la storia del martirologio cristiano. Che cosa sia cambiato non può sfuggire a nessuno: si tratta di un altro effetto collaterale della guerra “umanitaria” in cui le bugie di Blair e di Bush ci hanno piombato da anni.

Possiamo dire che se il Papa non avesse manifestato così spudoratamente la sua scelta pro-Stati Uniti, ricevendo con tutti gli onori in Vaticano il presidente Bush, e non mostrasse continuamente la propria soggezione al Washington consensus (politico ed economico), salvo i rituali lamenti sulla pace nell’Angelus della domenica, forse le sorti dei cristiani e dei sacerdoti in Medio Oriente non avrebbe avuto questa svolta drammatica, e molte vite si sarebbero salvate? Alle bugie originarie di Blair e Bush (e Berlusconi: i nostri servizi hanno volonterosamente aiutato con le balle sull’uranio del Niger) si aggiungono in questi giorni (4 novembre, Forze armate…) quelle ancora più palesemente incredibili delle nostre autorità nazionali. Siamo in giro per il mondo, lontanissimi da casa, per “difendere la pace”, in nome di un trattato che ci obbligava a difendere il Nord Atlantico dagli attacchi del Patto di Varsavia, nel frattempo felicemente scomparso. Ci stiamo difendendo da qualche tipo di “terrorismo internazionale”, oppure stiamo stimolando questo terrorismo, e anzitutto quell’odio anticristiano che sta creando nuovi martiri?

Non accade forse, a livello internazionale, ciò che succede, in ben altre proporzioni, a livello nazionale? Non è cioè la politica del Vaticano che crea dal nulla quella “persecuzione” anticristiana che oggi fa parlare di nuovo di martiri? Né nel mondo musulmano (con il Corano che guarda anche a Gesù e a Maria), né nel nostro Paese ancora fin troppo bigotto, c’è chi davvero abbia in odio il Vangelo e i suoi insegnamenti. Possibile che in Vaticano nessuno si senta la coscienza sporca?

Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/05/martiri-cristiani-e-coscienze-vaticane/75341/

mercoledì 3 novembre 2010

Vattimo a Radio 24

Meglio le belle ragazze?

Ricordando un famoso film con Carotenuto e Sordi, il Premier fa coming out e dice: "meglio le belle ragazze che essere gay". E si scatena un putiferio.

Ascolta un estratto del programma - Gianni Vattimo commenta la battuta di Berlusconi sui gay...

Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare dell'Idv, sostiene che le frenesie sessuali di Berlusconi sono frutto di senilità e che siano più che risapute tra i suoi elettori.

http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=La_Zanzara

Che B. ci aiuti (a farlo cadere)

Post sul sito de Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2010

Che B. ci aiuti (a farlo cadere)

Ballarò di ieri sera, litania: bisogna giudicare B. non per la sua vita privata ma per quello che fa al governo. Accettiamo il consequenzialismo, e spingiamolo fino in fondo. Quali le ripercussioni dell’agire di B.? Primo, la stampa estera è scandalizzata. “Unfit to lead Italy”, diceva un tempo l’Economist. Ma ora ci ridono dietro, nel migliore dei casi. E reputano l’Italia un paese ormai perduto. Secondo, il presidente della Camera è scandalizzato. Bocchino sembra uno del Pd, tanto che verrebbe da dar ragione a Lupi: dov’era Fli quando B. proponeva unicamente leggi ad personam come azione di governo? In ogni caso, la fiducia che Fini ripone nel governo sembra ormai esaurita. Terzo, Mubarak (almeno immaginiamo) è imbarazzato. Quarto, i gay sono imbestialiti. Quinto, qualsiasi escort in Italia, oggi, può tranquillamente asserire di essere stata con B. anche se non è vero: tanto un’eventuale difesa di B. appare meno credibile delle più mirabolanti dichiarazioni che le tante Ruby potrebbero fare, anche mentendo.

Un politico dovrebbe non solo saper governare bene, ma anche – e solo, talvolta – saper governare. In queste condizioni, anche senza considerare l’aspetto etico della vicenda, B. non è in grado di governare. Sa solo chiamare in causa il Fondo Monetario Internazionale, non per dire che è stato obbligato a una manovra restrittiva, ma per vantarsi del sostegno ricevuto da un’istituzione che la sua credibilità l’ha persa per ben due volte, con le crisi finanziarie degli anni Novanta e con l’assurda ostinazione su quelle “riforme strutturali” (flessibilità del lavoro, riforma delle pensioni, ecc.) che oggi impediscono all’Occidente di attuare politiche di rilancio. Berlusconi è come il Fondo, senza credibilità. Con l’attacco ai gay, l’ha persa del tutto. Quando ci si difende spiegando che è “meglio essere appassionato di belle ragazze che gay”, si dichiara con orgoglio di non voler essere il presidente che rappresenta tutti gli Italiani, si crea un nemico tra i cittadini stessi (non più i terroristi, dunque, né gli immigrati, clandestini o meno). Naturalmente, lo si fa per ottenere il consenso degli altri, come in ogni dittatura che (non) si rispetti. Magari gridando di essere il partito dell’amore, fondato sui tanti cittadini “che cercano una causa fondata sull’amore, sulla giustizia e sulla libertà. Una causa che, con la forza invincibile degli ideali più nobili, trionfi sulla violenza, gli estremismi e l’odio” – ma non ci si inganni: queste parole non sono di B., sono di Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta (“I mondiali della vergogna”, di Pablo Llonto, sono piuttosto istruttivi al riguardo).

La cacciata di B. è un’occasione propizia per ridare credibilità al paese. Gli unici esempi di credibilità arrivano oggi da quei settori che, con il loro, difendono un interesse che non può che coincidere con quello generale – i disoccupati, i precari della ricerca, i magistrati, ecc. –, perché ne va della loro libertà, e dunque della libertà di tutti. Si faccia uno sforzo di chiarezza, tutti, per una volta: basta con la retorica del “parliamo dei problemi veri del paese”, se non si riesce a parlarne è anche, e soprattutto, per colpa del macigno-B. Se ne liberi Fini, se ne liberi il povero Lupi, se ne liberi l’Italia, se ne liberi persino la Chiesa, dalla quale sarebbe doveroso attendersi una presa di posizione forte: se per Famiglia Cristiana il B. di Ruby è “indifendibile” e “malato”, lo è a maggior ragione il B. che divide il paese che governa tra gay e non. La fine di B., se mai arriverà, non sarà solo un sollievo, ma un’occasione di rinascita. Che B. ci aiuti (a farlo cadere).

Gianni Vattimo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/03/che-b-ci-aiuti-a-farlo-cadere/74964/

“Parole vergognose, rimpiango l’Italia Dc”

“Parole vergognose, rimpiango l’Italia Dc”
Vattimo: "Quelle parole non mi stupiscono, segno della sua doppia morale"

La Repubblica, 3 novembre 2010. Intervista di Vera Schiavazzi

TORINO “Le parole di Berlusconi? Non mi stupiscono. Sono un atto grave di discriminazione "razziale" che, ahimè, rischia di essere condiviso da molti”. Gianni Vattimo, filosofo, europarlamentare, da anni impegnato sul fronte dei diritti degli omosessuali dopo il proprio coming out ma anche cattolico dichiarato, commenta così le ultime dichiarazioni del premier.

Vattimo, in che cosa consiste la gravità dell'ultimo scandalo che investe il premier?
Per quanto mi riguarda non certo nei suoi costumi personali, quanto in una difficoltà a gestirli che lo porta a violare leggi e regole. E a predicare una "doppia morale" che purtroppo è assai diffusa sia nel paese sia nelle gerarchie cattoliche.

A quale doppiezza si riferisce?
Al fatto che frequentare minorenni del sesso opposto sarebbe lecito per un uomo, mentre non lo è quando si preferiscono giovani dello stesso sesso. Questa ambiguità è incoraggiata da una parte della chiesa, che per anni ha coperto la pedofilia ma pubblicamente continua a condannare l'omosessualità.

Uscite come questa sono una novità nella "comunicazione" di Silvio Berlusconi?
No. Fanno parte di uno strisciante razzismo sempre presente, mancava che il premier aggiungesse "meglio correr dietro alle ragazze che essere negri".

Che effetto fanno battute simili, sul piano personale, a chi dalle discriminazioni deve difendersi?
Paradossale. Mi viene da rimpiangere l’Italia democristiana degli anni Cinquanta. Preferivo vivere in quel paese che in questo.

Gli Italiani sono ancora disposti, secondo lei, a "perdonare" queste uscite?
Di più, molti le condivideranno. Ma non per questo si può continuare ad accettare che il governo sia guidato da una persona che fa e dice cose inaccettabili. Se Berlusconi si limitasse a praticare privatamente comportamenti poco morigerati, al massimo potrebbe vergognarsene quella parte dei suoi elettori che invece si astiene dal farlo. Così invece la cosa ci riguarda tutti, perché per coprire le sue manie il premier chiama le questure, provoca la violazione di norme, crea disparità tra i cittadini.

Il "razzismo strisciante" verso le minoranze parte da Berlusconi?
Certamente no. È difficile dire se la volgarità che oggi dilaga sia stata promossa dai suoi media, o dove sia cominciata. Ma certamente ha anche fare con i media che il premier possiede.

Come reagire?
Chiedendo che se ne vada, spingendo per nuove elezioni subito. Forse, una crisi etica di queste proporzioni può essere uno choc salutare per l’Italia.