martedì 31 gennaio 2012

Manifestazione No Tav, 28 gennaio

I No Tav in piazza per raccontare le macerie dell'Alta velocità
Il Manifesto, 29 gennaio 2012
di Mauro Ravarino

Nemmeno la neve ferma i No Tav, che ieri - in un pomeriggio gelido - hanno invaso Torino. Per protestare contro gli arresti di giovedì e per portare in città le carriole cariche di "macerie" della Maddalena di Chiomonte, dove ha sede il cantiere del tunnel geognostico: filo spinato, gas lacrimogeni, alberi tagliati. Sono scesi in piazza in migliaia, diecimila secondo gli organizzatori, e hanno percorso con slogan e striscioni le vie del centro da Porta Nuova a piazza Vittorio, passando per piazza Castello. Una risposta forte, «pacifica e determinata», alla retata.
«Chi non se l'aspettava - ha detto, a caldo, Alberto Perino, uno dei leader storici - vuol dire che non ha capito niente. Il popolo No Tav non si spaventa, sono vent'anni che abbiamo messo in conto di poter venire arrestati. Giovedì hanno messo in galera qualcuno che gli serviva per affermare che il movimento No Tav non fosse pacifico e popolare ma fatto di infiltrati».
Tanti manifestanti sono arrivati in treno, passando poi dal presidio dei lavoratori ex Wagon Lits e firmando la petizione per il reintegro degli addetti ai treni notte. Il grande striscione d'apertura con Asterix e Obelix «La Valle non si arresta, libertà per i No Tav», ha spiegato il senso della manifestazione più di tante parole. Cartelli sparsi: «Nicola Cosentino libero, i No tav in galera», ventitré sono ancora gli attivisti in carcere; oppure: «Mancano i soldi per la scuola e la ricerca ma li si spreca per l'alta velocità che non serve!». Hanno sfilato valligiani, militanti dei centri sociali, pezzi nutriti della sinistra e del sindacato, accompagnati da un imponente schieramento di forze dell'ordine. Tappa intermedia è stata piazza Castello dove, accanto alla sede della Regione Piemonte, le sei carriole hanno rovesciato le macerie della Maddalena. E, davanti al cordone di poliziotti in assetto antisommossa, si sono schierati i clown No Tav.
In marcia anche gli amministratori valsusini, presente Sandro Plano, a testimoniare la compattezza di una Valle che si oppone al Tav e chiede di essere ascoltata. Poi, la Fiom con il segretario torinese Federico Bellono («è importante ribadire il carattere popolare e democratico del movimento e le ragioni mai tanto forti contro quest'opera»), Michele Curto di Sel, Sinistra Critica, Movimento cinque stelle, Comunisti italiani e, schierata in forze, Rifondazione comunista con il segretario regionale Armando Petrini e quello torinese, da poco eletto, Ezio Locatelli, già deputato e membro della Commissione Trasporti, animatore nei primi anni '70 delle lotte dei pendolari: «Saremo ancora più presenti, attivi e partecipi nel movimento, che è un patrimonio di democrazia e simbolo di lotta. Chi come il parlamentare Pd Stefano Esposito lo dipinge come "paraterroristico" dovrà, ancora una volta, rimangiarsi le inutili e stupide provocazioni. La disobbedienza civile è la migliore risposta».
«Giù le mani dalla Valsusa» è stato uno dei cori più ripetuti. Massimo Zucchetti, professore ordinario del Politecnico, ha legato la sua bandiera No Tav a una stampella in segno di solidarietà con l'amico Guido Fissore, consigliere comunale di 67 anni, accusato di aver colpito gli agenti proprio con una stampella. «È importante che la protesta abbia occupato il centro di Torino», ha detto Zucchetti.
Ci sono stati isolati lanci di uova piene di vernice in via Roma e diverse scritte sui muri di via Po. Scritte che non sono piaciute a molti valsusini: «Imbrattare i muri non fa parte del nostro modo di manifestare», ha detto al microfono Perino. Cori contro il presidente Roberto Cota (che ieri ha dichiarato: «Sono contento che la manifestazione si sia svolta senza violenze, ora pensiamo a realizzare la Tav») e contro il procuratore Gian Carlo Caselli. Più tenero con il pm, l'europarlamentare dell'Idv Gianni Vattimo, in corteo con la bandiera No Tav: «La colpa è della politica, non di Caselli che è un tecnico». Prossimo appuntamento, il 25 febbraio in Valsusa per «un corteo nazionale che raccoglierà tutte le anime della lotta contro il Tav e tutte le resistenze d'Italia». Perché, ha spiegato Lele Rizzo (comitato di lotta popolare di Bussoleno), «fermarci è impossibile». 

I No Tav tornano in piazza
Il Tempo.it, 28 gennaio 2012

La pioggia battente e il nevischio non ferma la protesta No Tav. Sono centinaia i militanti del movimento che si oppone alla costruzione della Torino-Lione che stanno sfilando in buon ordine in via Roma con le tradizionali bandiere bianche su cui campeggia il treno ad alta velocità sbarrato di rosso. Una manifestazione che dopo gli arresti di due giorni fa si carica di nuovi significati.
Fonte: mondoinformazione.com

Sono diversi i cartelli che riportano la scritta "Liberi tutti"
, mentre sui volantini distribuiti dai manifestanti si legge: "Il governo dei tecnici cala l'asso di bastoni". Nel corteo compaiono anche bandiere di Sel e di Rifondazione comunista. Alla testa del lungo serpentone che è partito dalla stazione di Porta Nuova il leader storico del movimento Alberto Perino che ribadisce: "Gli arresti non ci fermeranno". Accanto a lui Gianni Vattimo, europarlamentare Idv, secondo cui il Pd sta facendo "una politica suicida, non so chi voterà più il partito in Piemonte dopo il loro comportamento sul tema dell'alta velocità in Val di Susa. In cima al corteo diverse donne che portano carriole con i detriti del cantiere di Chiomonte, dal filo spinato a tronchi di alberi tagliati fino ai bossoli dei fumogeni usati negli scontri che ripetutamente si sono verificati attorno al cantiere.
 
Pagliacci vestiti da militari con caschi pieni di fiori, carriole piene di detriti e la marcia pacifica dei No Tav, sotto la neve che sta scendendo a Torino, è arrivata in piazza San Carlo sotto il simbolico cavallo di bronzo, dove i manifestanti urlano: "Il dissenso è un'arma pericolosissima" e scimiottano i militari che presidiano il cantiere di Chiomonte.

No alla guerra contro Iran e Siria: l'appello

Pubblicato su Il Manifesto, 20 gennaio 2012
«Sempre più concrete e minacciose si fanno le probabilità che la macchina di morte che ha infierito sulla Jugoslavia, sull'Afghanistan e sull'Iraq e che ha appena finito di devastare la Libia si scagli contro altri paesi sovrani. Paesi riottosi ad allinearsi ai persistenti progetti di Nuovo Ordine Mondiale ma la cui sottomissione è decisiva per rilanciare il dominio geopolitico degli Usa e della Nato in Asia e nel mondo intero. (...)
La guerra psicologica, multimediale e ideologica è in effetti già cominciata e ha già messo in campo le armi della disinformazione e della criminalizzazione dell'avversario ma ha anche già proiettato sul terreno i primi corpi d'elite. Questo appello, che invitiamo a sottoscrivere, è stato originariamente lanciato ai primi di gennaio in Germania, paese nel quale ha raccolto l'adesione di 5 parlamentari nazionali. Il testo è stato pubblicato e diffuso in molte lingue. Sul blog Freundschaft mit Valjevo e.V. la versione originale e le diverse traduzioni.
Fermare i preparativi di guerra! Mettere fine all'embargo! Solidarietà con il popolo iraniano e siriano!
Decine di migliaia di morti, una popolazione traumatizzata, un'infrastruttura largamente distrutta e uno Stato disintegrato: questo il risultato della guerra condotta dagli Usa e dalla Nato per poter saccheggiare la ricchezza della Libia e ricolonizzare questo paese. Ora preparano apertamente la guerra contro l'Iran e la Siria, due paesi strategicamente importanti e ricchi di materie prime che perseguono una politica indipendente, senza sottomettersi al loro diktat. Un attacco Nato contro Siria o Iran potrebbe provocare un diretto confronto con Russia e Cina - con conseguenze inimmaginabili.
Con continue minacce di guerra, con lo schieramento di forze militari ai confini dell'Iran e della Siria, nonché con azioni terroristiche e di sabotaggio da parte di "unità speciali" infiltrate, gli Usa e altri Stati della Nato impongono uno stato d'eccezione ai due paesi al fine di fiaccarli. (...) Al fine di procurarsi un pretesto per l'intervento militare da tempo pianificato cercano di acutizzare i conflitti etnici e sociali interni e di provocare una guerra civile. A questa politica dell'embargo e delle minacce di guerra contro l'Iran e la Siria collaborano in misura notevole la Ue e il governo italiano
Facciamo appello a tutti i cittadini, alle chiese, ai partiti, ai sindacati, al movimento pacifista perché si oppongano energicamente a questa politica di guerra. Chiediamo al governo italiano: di revocare senza condizioni e immediatamente le misure di embargo contro l'Iran e la Siria; di chiarire che non parteciperà in nessun modo a una guerra contro questi Stati e che non consentirà l'uso di siti italiani per un'aggressione da parte degli Usa e della Nato; di impegnarsi a livello internazionale per porre fine alla politica dei ricatti e delle minacce di guerra contro l'Iran e la Siria. (...)

Domenico Losurdo, Gianni Vattimo, Margherita Hack, Franco Cardini, Giulietto Chiesa, Costanzo Preve, seguono altre firme
 
Per sottoscrivere l'appello: noguerrasiriairan@libero.it, Paolo Ercolani, Università di Urbino, 0722-303600, 335-8370043, Facebook.com/Paolo Ercolani University of Urbino, Msn paolo.ercolani@hotmail.it

giovedì 26 gennaio 2012

Interrogazione parlamentare sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio


Interrogazioni parlamentari
30 novembre 2011
E-011270/2011
Interrogazione con richiesta di risposta scritta
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Vittorio Prodi (S&D) , Sonia Alfano (ALDE) , Pino Arlacchi (S&D) , Kriton Arsenis (S&D) , Francesca Balzani (S&D) , Luigi Berlinguer (S&D) , Rita Borsellino (S&D) , Salvatore Caronna (S&D) , Sergio Gaetano Cofferati (S&D) , Silvia Costa (S&D) , Andrea Cozzolino (S&D) , Rosario Crocetta (S&D) , Francesco De Angelis (S&D) , Paolo De Castro (S&D) , Leonardo Domenici (S&D) , Edite Estrela (S&D) , Eider Gardiazábal Rubial (S&D) , Roberto Gualtieri (S&D) , Vincenzo Iovine (ALDE) , Karin Kadenbach (S&D) , Linda McAvan (S&D) , Judith A. Merkies (S&D) , Guido Milana (S&D) , Pier Antonio Panzeri (S&D) , Andres Perello Rodriguez (S&D) , Mario Pirillo (S&D) , Gianni Pittella (S&D) , Rovana Plumb (S&D) , Pavel Poc (S&D) , Niccolò Rinaldi (ALDE) , Daciana Octavia Sârbu (S&D) , David-Maria Sassoli (S&D) , Debora Serracchiani (S&D) , Catherine Stihler (S&D) , Gianluca Susta (S&D) , Claudiu Ciprian Tănăsescu (S&D) , Patrizia Toia (S&D) , Giommaria Uggias (ALDE) , Gianni Vattimo (ALDE) e Andrea Zanoni (ALDE)
 Oggetto: Revisione della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio e divieto dei sacchetti di plastica per la spesa
A marzo 2011 il Consiglio Ambiente dell'Unione europea ha discusso l'impatto ambientale dei sacchetti di plastica per la spesa, giungendo alla conclusione che fosse necessaria un'azione efficace a livello europeo. A maggio 2011 la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica in cui chiedeva quale fosse la soluzione migliore per ridurre l'utilizzo dei sacchetti di plastica. Nell'ambito della consultazione si chiedeva, per esempio, se sarebbe stato efficace imporre una serie di imposte e contributi, o se, invece, sarebbe stato più opportuno ricorrere ad altre opzioni, per esempio a un divieto europeo relativo ai sacchetti di plastica. Si è inoltre sondato il parere dell'opinione pubblica in merito alle opzioni per aumentare la visibilità dei prodotti di imballaggio biodegradabili e migliorare i requisiti di biodegradabilità per gli imballaggi. Secondo i dati pubblicati dalla Commissione, sono pervenute in totale 15 538 risposte, di cui il 96,9 % proveniente dai cittadini. Oltre il 78 % dei partecipanti alla consultazione pubblica si è detto favorevole all'adozione di misure a livello europeo tese a ridurre l'utilizzo dei sacchetti di plastica, più del 71 % si è espresso positivamente in merito all'istituzione di obiettivi in materia di prevenzione dei rifiuti per i sacchetti di plastica, mentre oltre il 70 % ha confermato la necessità di introdurre un divieto europeo relativo ai sacchetti di plastica. L'elevato numero di risposte fornite dai cittadini, nonché l'ampio sostegno ottenuto dalla proposta di introdurre misure a livello dell'Unione dimostrano quanto sia necessario adottare azioni urgenti che permettano di ridurre drasticamente l'utilizzo dei sacchetti di plastica.
Alla luce dell'elevato numero di risposte fornite dai cittadini, nonché dell'ampio sostegno ottenuto dalla proposta di introdurre misure a livello europeo che permettano di ridurre drasticamente l'utilizzo dei sacchetti di plastica, potrebbe la Commissione rispondere ai seguenti quesiti:
1. Quando intende la Commissione proporre una rapida revisione della direttiva 94/62/CE per introdurre un divieto relativo ai sacchetti di plastica monouso e non biodegradabili?
2. Comprenderà la revisione della direttiva 94/62/CE obiettivi specifici in materia di prevenzione dei rifiuti relativi ai sacchetti di plastica monouso e non biodegradabili?
3. Intende inoltre la Commissione proporre misure legislative al fine di promuovere ulteriormente la produzione e l'utilizzo di imballaggi biodegradabili e compostabili conformi alla norma EN 13432 del CEN?
4. Intende la Commissione procedere nei confronti degli Stati membri che non specificano la procedura che tutti gli attori della filiera sono tenuti a osservare per assicurare che gli imballaggi siano immessi sul mercato solo se conformi ai requisiti essenziali della direttiva 94/62/CE?


Interrogazione parlamentare sulle alluvioni in Italia

Interrogazioni parlamentari
1 dicembre 2011
E-011214/2011
Interrogazione con richiesta di risposta scritta
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Barbara Matera (PPE) , Mario Mauro (PPE) , Roberta Angelilli (PPE) , Guido Milana (S&D) , Debora Serracchiani (S&D) , Vincenzo Iovine (ALDE) , Silvia Costa (S&D) , Licia Ronzulli (PPE) , Gabriele Albertini (PPE) , Lorenzo Fontana (EFD) , Potito Salatto (PPE) , Salvatore Tatarella (PPE) , Sergio Paolo Frances Silvestris (PPE) , Magdi Cristiano Allam (PPE) , Fiorello Provera (EFD) , Giancarlo Scottà (EFD) , Mario Pirillo (S&D) , Vittorio Prodi (S&D) , Oreste Rossi (EFD) , Pier Antonio Panzeri (S&D) , Francesca Balzani (S&D) , Crescenzio Rivellini (PPE) , Giovanni La Via (PPE) , Salvatore Iacolino (PPE) , Aldo Patriciello (PPE) , Andrea Cozzolino (S&D) , Andrea Zanoni (ALDE) , Sergio Gaetano Cofferati (S&D) , Clemente Mastella (PPE) , Elisabetta Gardini (PPE) , Giommaria Uggias (ALDE) , Niccolò Rinaldi (ALDE) , Gianni Vattimo (ALDE) , Amalia Sartori (PPE) , Lara Comi (PPE) , Roberto Gualtieri (S&D) , Marco Scurria (PPE) , Gianluca Susta (S&D) , Erminia Mazzoni (PPE) , Claudio Morganti (EFD) , Carlo Casini (PPE) , Francesco Enrico Speroni (EFD) , Antonello Antinoro (PPE) , Rosario Crocetta (S&D) , Alfredo Antoniozzi (PPE) , Mara Bizzotto (EFD) , Alfredo Pallone (PPE) , Paolo De Castro (S&D) e Paolo Bartolozzi (PPE)

 Oggetto: Alluvioni in Italia
Nelle passate settimane un'ondata di maltempo si è abbattuta su tutta l'Italia. Liguria, Piemonte, Toscana, Veneto, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata, sono state duramente colpite da alluvioni e diverse esondazioni. Al pesante bilancio si aggiungono i notevoli danni socio-economici subiti dai territori colpiti.
Molti cittadini sono rimasti senza casa. Interi paesi sono stati evacuati. Collegamenti ferroviari e stradali sono interrotti a causa di frane e smottamenti.
Sono stati colpiti territori che hanno fatto dell'agricoltura e del turismo le loro principali fonti di sostentamento, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista socio-economico. Bellezze naturali e patrimoni paesaggistici riconosciuti a livello internazionale sono andati interamente distrutti.
Può la Commissione far sapere:
se e in che modo intende attivare il Fondo di solidarietà europeo, al fine di permettere ai territori colpiti di poter al più presto riprendere tutte le normali attività;
cosa intende fare, anche alla luce della comunicazione «Verso una forte risposta dell'Unione ai disastri», per migliorare le politiche di prevenzione e stato d'allerta e favorire la formazione e l'esercitazione nonché lo scambio di esperti e progetti di cooperazione che sperimentino nuovi approcci per ridurre il rischio di calamità?

Intervista a Bobbio, nel 1994...

Ritroviamo oggi sulla rete (Uninettuno.tv) una mia intervista a Norberto Bobbio, il 16 giugno del 1994... e volentieri ve la proponiamo. 

Qui il video.

Intervista a Norberto Bobbio realizzata da Gianni Vattimo insieme agli studenti del politecnico di Torino, per il Consorzio Nettuno. Bobbio descrive nell'intervista, il rapporto intercorrente fra la Filosofia e la scienza. Fino al Secolo scorso lo scienziato coincideva con il filosofo, ora le due discipline sono nettamente distinte ed il progresso di questo Secolo è stato solo progresso scientifico.

(Qui troverete altre mie discussioni filmate, sempre all'interno del sito Uninettuno.tv)

lunedì 23 gennaio 2012

Appello al Presidente del Consiglio sul progetto di linea ferroviaria Torino-Lione


Riporto qui volentieri un Appello al Presidente del Consiglio Mario Monti preparato da Sergio Ulgiati,  Ivan Cicconi,  Luca Mercalli e Marco Ponti, per chiedere un ripensamento sul progetto dell'alta velocità ferroviaria Lione-Torino.
L'appello è aperto a universitari e professionisti in grado di esprimere una propria competenza di tipo tecnico, energetico, ambientale ed economico e spingere verso una trasparente revisione critica circa l'utilità del progetto.    
Per firmare l'appello, si raggiunga questo sito, che ospita anche la relativa documentazione scientifica, nazionale e internazionale (cfr.: www.lalica.net/Appello_a_Monti). Ciascun sottoscrittore dovrà dichiarare accanto al suo nome la Professione e l'Istituzione di appartenenza. L'Appello sarà consegnato al Presidente del Consiglio in forma tuttora da decidere, nella speranza di poterlo recapitare di persona.


Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino–Lione al Presidente del Consiglio Mario Monti
Gennaio 2012



Al Presidente del Consiglio dei Ministri
On. Prof. Mario Monti
Palazzo Chigi
ROMA

Gennaio 2012

Oggetto: Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino – Lione, Progetto Prioritario TEN-T N° 6, sulla base di evidenze economiche, ambientali e sociali.


    Onorevole Presidente,

ci rivolgiamo a Lei e al Governo da Lei presieduto, nella convinzione di trovare un ascolto attento e privo di pregiudizi a quanto intendiamo esporLe sulla base della nostra esperienza e competenza professionale ed accademica. Il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta per noi, ricercatori, docenti e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese. Ciò è tanto più vero nella presente difficile congiuntura economica che il suo Governo è chiamato ad affrontare.

Sentiamo come nostro dovere riaffermare - e nel seguito di questa lettera, argomentare - che il progetto1 della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori attraversati.

Diminuita domanda di trasporto merci e passeggeri

Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro.

Assenza di vantaggi economici per il Paese

Per quanto attiene gli aspetti finanziari, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’assenza di un effettivo ritorno del capitale investito. In particolare:

1. Non sono noti piani finanziari di sorta

Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di “stop and go”.

2. Il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici.

Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefici effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali.

3. Ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità

Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario "storico" sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie. 

4. Il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile.

Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi.

5. Ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio.

I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse.
Bilancio energetico-ambientale nettamente negativo.

Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza).

Risorse sottratte al benessere del Paese

Molto spesso in passato è stato sostenuto che alcuni grandi progetti tecnologici erano altamente remunerativi e assolutamente sicuri; la realtà ha purtroppo dimostrato il contrario. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di Alta Velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/PIL del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico.

Sostenibilità e democrazia

La sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti. In questo senso, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convezione di Århus2.

Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.

Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese.

Con viva cordialità e rispettosa attesa,

Sergio Ulgiati, Università Parthenope, Napoli

Ivan Cicconi, Esperto di infrastrutture e appalti pubblici

Luca Mercalli, Società Meteorologica Italiana

Marco Ponti, Politecnico di Milano



Riferimenti bibliografici: cfr. http://www.lalica.net/Appello_a_Monti


Note

1 L'accordo del 2001 tra Italia e Francia, ratificato con Legge 27 settembre 2002, n. 228, prevede all'art. 1 che "I Governi italiano e francese si impegnano (…) a costruire (…) le opere (…) necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario merci-viaggiatori tra Torino e Lione la cui entrata in servizio dovrebbe avere luogo alla data di saturazione delle opere esistenti." Non ostante la prudenza contenuta in questo articolo, i Governi italiani succedutisi hanno fatto a gara per dimostrare che la data di saturazione della linea storica era dietro l'angolo. I fatti hanno dimostrato il contrario, ma – inspiegabilmente - non vi sono segnali di ripensamento da parte dei decisori politici.

Intervista a Messina, Tempostretto.it

Gianni Vattimo a Tempostretto.it: «Se i giovani non leggono più Platone finiranno per abbandonarsi al rincoglionimento mentale»

«Destra e sinistra? Sì, sono ancora diverse. La Destra è natura, la Sinistra è cultura». «Le proteste in Val di Susa? Quanno ce vo', ce vo'». «Se qualcuno mi domanda perché sono cristiano, rispondo semplicemente: “perché non vedo nessuna ragione per non esserlo”».

Domenica, 22 gennaio, 2012, Tempostretto.it. Di CLAUDIO STAITI
 
Venerdì 20 Gennaio, presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Messina, si è tenuto un incontro organizzato dall’associazione Marx XXI e dal Centro Studi Galvano della Volpe. Occasione, la presentazione del libro “Un Nietzsche italiano”, del ricercatore dell’Università di Urbino, Stefano Azzarà, sulla presenza di Nietzsche nel pensiero di Gianni Vattimo e sullo sdoganamento dall’etichetta di pensatore di destra che Nietzsche ha avuto per larga parte del ‘900. A margine dell’incontro-dibattito, introdotto e moderato dal prof. Carmelo Romeo dell’Università di Messina, Tempostretto.it  ha avuto il piacere di porre qualche domanda proprio al filosofo torinese Gianni Vattimo.

Sembra tramontata la figura del filosofo “portatore di verità”. Chi è oggi il filosofo? Trova che sia minacciato dalla frenesia della società attuale?
Il filosofo intanto è colui che fa professione di filosofia, cioè colui il quale continua a leggere brani della tradizione filosofica, li rende comprensibili agli altri, li traduce, e ne scrive di propri. E può anche scrivere delle critiche alle idee di verità e lo fa, al giorno d’oggi, cercando di rispondere a delle problematiche attuali. Perciò il filosofo è colui che guarda al presente e alle sue esigenze, utilizzando però una tradizione testuale che va sotto il nome di ‘filosofia’. Naturalmente ciascuno poi ha di quest’ultima la propria definizione... Non credo che la professione del filosofo sia minacciata... Certamente la minacciano coloro i quali pensano che non debba più essere insegnata nelle scuole, a vantaggio della matematica e dell’informatica. Se i giovani non leggono più Platone e tutti gli altri filosofi, saranno più facilmente preda dei propagandisti e finiranno, passatemi il termine, per abbandonarsi ad un puro e semplice rincoglionimento mentale.

Il filosofo del "pensiero debole" come si rapporta alla politica?
Il filosofo del pensiero debole è uno che sostiene che l’unico modo di emanciparsi per l’uomo non sia quello di cercare di realizzare un ideale prestabilito, “Vivi una vita vera!”, “Sii uomo!”, ma di ridurre la violenza che si impone contro le libertà, per esempio quella dell’eutanasia, quella della libera iniziativa se vogliamo ecc... Fa tutto ciò che credi sia giusto finché non ti scontri con le libertà dell’altro. Credo che il pensiero debole sia una forte teoria dell’emancipazione attraverso l’indebolimento, teoria diversa dal “non c’è niente da fare, stiamocene tranquilli”. Non sono così disperato da non fare più niente. Qualche volta mi viene la tentazione di pensare “sto lì, mi godo la mia pensione” ma mi dispiace e cambio subito idea.

La teoria del pensiero debole non prevede la violenza, eppure lei stesso è vicino alle proteste No Tav in Val di Susa e, in questi giorni (20 Gennaio ndr), i blocchi stradali in Sicilia si stanno ripercuotendo sull’economia locale...
Bloccare le autostrade in Val di Susa per protestare contro la Tav è una “violenza” legittimissima, Si può rispondere alla romana: “quanno ce vo', ce vo'”. (ride) Il problema è stabilire “quanno ce vo'”. E’ controproducente o produttivo? E’ un po’ come far saltare la Casa Bianca. Io, se potessi, lo farei... Ma se questo dovesse dare luogo ad un bombardamento atomico di tutta l’Europa, preferirei di no... si sceglie il male minore, si scelgono degli obiettivi e dei mezzi sufficientemente persuasivi per richiamare l’attenzione. Gli scioperi, le proteste sono questo.

Lei si definisce “comunista”. Come riesce a conciliare questo suo desiderio di approdo a quel tipo di società con l’idea attuale di “sinistra”, per alcuni, termine anacronistico e fuorviante?
Io vedo ancora una diversità fra destra e sinistra. E se devo definirle, penso che la destra è quella che vuole utilizzare differenze naturali a scopo di sviluppo e la sinistra è quella che vuole correggere tali differenze in modo da mettere tutti in condizione di competere sportivamente. Questa secondo me è una differenza fondamentale. La destra è sempre tendenzialmente razzista, darwiniana, “vinca il più forte”, e invece la sinistra deve tendere al rimedio. La sinistra è cultura, la destra è natura. La destra è naturalista, la sinistra è culturalista. E il comunismo è, come dire, l’unico ideale di società che riesco a coltivare, volete che coltivi un’ideale di società che produce di più e per pochi? Tutte le società molto evolute, come gli Stati Uniti, sono anche società di gente esclusa. Sono comunista perché guardo ad un progresso tecnologico controllato da un potere popolare. Laddove c’è solo una di queste due componenti non si attua realmente il comunismo, mettere insieme le due cose è lo stesso ideale di Lenin...

L’uomo moderno sembra perdere sempre più certezze. L’annuncio Nietzschiano “Dio è morto” può considerarsi come l’avvio di questo processo? E lei come mai si professa “cristiano”?
Quando Nietzsche dice che Dio è morto, dice che è morto il Dio morale, il Dio come garanzia suprema di un ordine oggettivo per l’uomo. E poi, in un'altra parte, aggiunge che adesso che Dio è morto, è ora che arrivino molti dei e cioè nuove e più numerose prospettive di vita, criteri di esistenza. Come è noto, io continuo a professarmi cristiano. Come mai? Se qualcuno mi domanda perché sono cristiano, rispondo semplicemente: “perché non vedo nessuna ragione per non esserlo”. Le ragioni per non essere cristiano sarebbero l’autoritarismo papale, la pretesa di comandare sulle leggi, la pretesa di non pagar le tasse? Senza di questo mi è simpatico Gesù Cristo, sono cresciuto così. Se mi offrite delle buone ragioni per non esserlo, ditemelo, ma quelle ragioni qui non sono sufficienti. Anzi, posso essere antipapale ma col Vangelo in mano.

domenica 22 gennaio 2012

Tecnici, sinistra, democrazia

"I tecnici uccidono la democrazia e gli ex comunisti li benedicono"
Il filosofo Gianni Vattimo: «Perché mai il Pd è diventato così reazionario da accettare Monti & C?»
 Il Secolo d'Italia, 21 gennaio 2012
di Federico Callegaro

Se provassimo a domandare a qualcuno «chi governa oggi l'Italia?», con molte probabilità ci sentiremmo rispondere "i tecnici" ma questo termine, che oramai pare essere diventato familiare a tutti, nasconde in realtà un modo tutto particolare di essere intesi e di intendere lo Stato, un modo decisamente diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Chi siano quindi questi tecnici e cosa possa rappresentare la loro comparsa nel nostro orizzonte politico è ciò che abbiamo voluto chiedere al padre del "pensiero debole", il filosofo e l'eurodeputato dell'Italia dei valori Gianni Vattimo.

L'occidente è stato investito da una gigantesca crisi finanziaria ma la finanza, anziché ridimensionare il suo potere, ha iniziato a esercitare un ruolo ancora più centrale e diretto. Che idea ha di ciò che sta accadendo? 

È finita un'epoca di dominio imperialistico tradizionale e si è stabilito una sorta di governo mondiale di tipo tecnico in cui non si capisce bene chi sia a comandare. Un tempo si poteva dire "sparate sui padroni" ma ora come li si individua? Questa è una forma di realizzazione della neutralizzazione di cui parlava Carl Schmitt. Non c'è uno che sia amico o nemico ma c'è un sistema che si autoregola a seconda di norme che sono quelle dei bilanci. Ho anche l'impressione che ci si trovi in una situazione che sfugge al controllo democratico. È vero che i capi carismatici e i politici possano far ridere ma almeno con loro si sa con chi prendersela, invece adesso ci troviamo di fronte ad un'entità e la cosa ci riguarda come cittadini perché ci sfugge sempre di più la possibilità di determinare un controllo.
Nel novero di queste "entità" può rientrare anche l'Unione europea? 

L'Europa è una di questi enti astratti che approva o non approva il nostro bilancio e si noti che c'è pure il sospetto che dietro di lei si nascondano solo alcune potenze più potenti di altre come Francia o Germania. La tendenza globale, che riguarda anche tutti questi organi, va verso l'idea di tecnicizzare sempre di più i meccanismi in modo che non si debba valutare contro chi o in favore di chi ma semplicemente si badi al funzionamento dei meccanismi stessi. Personalmente come cittadino ma anche come filosofo sono turbato perché mi sembra di vedere ciò che Heidegger aveva descritto come Gestell, come tutto l'insieme del funzionamento in cui non si capisce chi fa funzionare cosa e soprattutto perché.
Se il tecnico è soltanto il meccanico del sistema c'è possibilità che riesca a dialogare con le parti sociali? 

Il tecnico nasce proprio per sottrarsi al dialogo. L'idea dei tecnici è questa: togliamo il peso delle logiche elettorali dal funzionamento perché con esse non si riesce a fare un ragionamento a lunga scadenza. Se in passato la figura del tecnico compariva solo nei periodi di emergenza, adesso sta diventando un qualcosa di accettato con normalità.
Nonostante quanto detto, sembrerebbe che i cittadini percepiscano i tecnici come un male minore. Come mai?

 Basti pensare a cosa è stato detto durante tutta questa crisi: se le banche falliscono anche tutti i nostri risparmi vanno persi, non si riusciranno più a pagare gli stipendi e via dicendo. In questo modo siamo stati tutti coinvolti nel funzionamento del meccanismo, che è tanto più potente quanto più è integrato. Siamo tutti sulla stessa barca e diventa difficile ribellarsi.
E il ruolo dei partiti in tutto ciò?

 Perché i partiti sono diventati così remissivi nei confronti dei tecnici? Perché il Pd non fa opposizione e sostanzialmente non chiede nemmeno nuove elezioni? Perché mai gente che ha militato nel Pci è diventata così reazionaria da accettare certe logiche? Secondo me perché non sono manipolatori dell'opinione pubblica ma sono anche loro manipolati. Credo che si sia tutti vittime del terrorismo mondiale. Non quello bombarolo ma quello mediatico...
Non c'è rischio di uno scoramento progressivo dei cittadini nei confronti della democrazia? 

Certo, questo è un naturale portato di una situazione del genere. Ma mi chiedo, la democrazia è un regime eterno? Io ci credo sempre di meno. D'altronde una democrazia in cui se non hai mezzo miliardo non riesci a farti eleggere, che democrazia è?
Se le maglie del sistema sono così strette e chi lo guida è sordo per definizione, cosa resta da fare ai cittadini? 

"Che fare?", diceva Lenin. Io ho l'impressione che convenga fare gesti vitali di piccole resistenze marginali. Questo perché la stessa idea di un sistema universale di trasformazione, una rivoluzione mondiale, non viene in mente a nessuno. Oggi non siamo nelle condizioni del proletariato di Marx che non aveva nulla da perdere. Coltivo l'illusione No Tav, una forma di anarchismo diffuso che non cambia il sistema ma che lo umanizza rendendolo lottabile. Si tratta di ritrovare uno spirito esistenzialistico che ci può rendere autentici in questo mondo e che non ci faccia vivere come delle pietre. D'altronde sollevare vuole dire anche sollevarsi.
Qual è il compito di un intellettuale in un mondo di tecnici?

 Sono convinto che come intellettuale debba predicare il conflitto in tutti i momenti possibili, alla faccia della pace ma d'altronde "la pace è la tranquillità dell'ordine". Poi, forse per l'età, non riesco a vedere un futuro ma solo un dovere a breve scadenza, quello di configgere e stimolare il conflitto. Questo lo si deve fare per respirare.

A Messina

Vattimo e Marramao a Messina
Nuovosoldo.it, di Sostine Cannata

È andato avanti fino alle nove l’incontro con Gianni Vattimo e Giacomo Marramao alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Messina, organizzato dall’associazione Marx XXI e dal Centro Studi Galvano della Volpe. Occasione, la presentazione del libro del ricercatore dell’Università di Urbino, Stefano Azzarà, sulla presenza di Nietzsche nel pensiero di Vattimo e sullo sdoganamento dall’etichetta di pensatore di destra che Nietzsche ha avuto per larga parte del ‘900. L’incontro-dibattito è stato introdotto e moderato dal prof. Carmelo Romeo dell’Università di Messina, che  ha sottolineato l’importanza di questo dibattito e della stessa presenza dei due importanti filosofi e pensatori, sottolineando anche come il libro di Azzarà “Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell’oltreuomo rivoluzionario” getti nuova luce sul pensiero filosofico complessivo “vattimiano”...

domenica 15 gennaio 2012

Messina, il Nietzsche italiano

Per chi fosse interessato a partecipare, 
ecco la locandina della presentazione del libro di Stefano G. Azzarà. 
Tutte le informazioni sul suo blog Materialismo storico.

Legge ammazza-cani in Romania, primo successo

Un articolo de Il Fatto Quotidiano (Alessio Pisanò) sulla famigerata legge ammazza-cani in Romania contro la quale stiamo combattendo in Europa.

Romania, un cassonetto dove vengono gettati i cani randagi (foto Oipa)
La Corte Costituzionale rumena boccia la legge ammazza-cani approvata da Bucarest a novembre che prevedeva la possibilità di praticare l’eutanasia ai randagi malati, aggressivi o pericolosi dopo soli tre giorni dalla loro cattura. La decisione dell’alta Corte arriva dopo che la Romania è stata travolta dall’ondata delle proteste della comunità animalista internazionale. Adesso la tanto contestata legge torna in Parlamento per le dovute modifiche.

Possono tirare un sospiro di sollievo i randagi rumeni che hanno rischiato di finire ‘sulla ghigliottina’ per una legge contestata tanto dentro che fuori i confini nazionali. La Corte Costituzionale nazionale ha infatti giudicato incostituzionali due articoli del testo legislativo (8 voti contro 1) che prevedeva la possibilità di sopprimere i cani malati, aggressivi o pericolosi dopo soli tre giorni dalla loro cattura, senza specificare come le amministrazioni comunitarie avrebbero potuto prendere questa decisione, e lasciando assolutamente vago anche il concetto di “consultazione popolare” prevista per la soppressione di cani non malati né pericolosi dopo 30 giorni.

Adesso la legge torna al parlamento rumeno, che l’aveva approvata il 23 novembre scorso, dove dovrà essere discussa dal Senato e poi di nuovo dalla Camera, per poi tornare all’esame dei giudici costituzionali. Soddisfatti gli animalisti dell’associazione Vier Pfoten che avevano dato mandato alla Corte di intervenire, con l’appoggio di 120 deputati dell’opposizione, sicuri dell’incostituzionalità della legge. Un testo che aveva attirato sulla Romania gli sguardi scandalizzati degli animalisti di tutta Europa e della stessa Bruxelles. Alcuni eurodeputati (tra cui gli italiani Andrea Zanoni, Sonia Alfano, Niccolò Rinaldi e Gianni Vattimo) avevano addirittura chiesto al Commissario Ue competente, il maltese John Dalli, di intercedere con il Presidente rumeno Traian Basescu affinché non promulgasse questa legge. Sempre a Bruxelles il 7 dicembre, l’Oipa (International organization for animal protection) insieme a Zanoni hanno consegnato alla Commissione europea una petizione di 113 mila firme che chiedeva all’Ue azioni urgenti contro l’uccisione di cani e gatti randagi in tutta Europa.

Secondo gli animalisti, il testo di legge così come scritto oggi, avrebbe spinto indirettamente i sindaci a optare per la soppressione dei randagi viste le difficoltà introdotte sia a tenere gli animali nei canili che ad adottarli. Ad esempio non era previsto nessun finanziamento per aiutare i Comuni a costruire e gestire i canili, e per chi fosse stato interessato ad adottare un cane avrebbe dovuto pagare una tassa, registrarlo in un apposito registro, dotare l’animale di apposito microchip, dimostrare di avere i mezzi finanziari e il giusto spazio per tenerlo e perfino chiedere il permesso dei vicini di casa (nel caso si adottassero più di due animali). Insomma tutti criteri probabilmente buoni sulla carta ma che difficilmente si sposano con le condizioni economiche della maggior parte dei cittadini rumeni.

E tutto questo, secondo le autorità rumene, solo per risolvere l’annoso problema del randagismo. Una scusa bella e buona, secondo gli animalisti, che servirebbe solo a nascondere il business dei “boiacani” che, secondo Save the Dogs “si arricchiscono catturando ed uccidendo i randagi romeni”. Secondo l’associazione Four Paws, infatti, ci sono ben altri metodi per contenere il fenomeno del randagismo, come ad esempio la sterilizzazione e la vaccinazione. Sono ben 8292 i randagi così trattati dai volontari dell’associazione nel corso del 2011 in Romania (5122), Lituania (1437) e Bulgaria (1200).

In Europa, intanto, si sta lavorando ad una nuova ‘Strategia sul benessere degli animali’ che dovrebbe essere messa a punto nei primi mesi del 2012 e che terrà in considerazione quanto sancito dall’articolo 13 del Trattato di Lisbona che definisce gli animali come “esseri senzienti” e quindi portatori dei relativi diritti. Ma per mettere definitivamente la parola fine alla legge sui randagi in Romania, bisognerà però aspettare ancora qualche mese.