martedì 26 giugno 2012

Summer School Italia dei Valori 2012

SUMMER SCHOOL IDV 2012
GENERAZIONE EUROPA - IL NOSTRO FUTURO

Gli Europarlamentari dell'Italia dei Valori, Niccolò Rinaldi, Giommaria Uggias, Gianni Vattimo e Andrea Zanoni, sono orgogliosi di annunciare la quarta edizione della Scuola di formazione europea dell'IDV, che si terrà presso il Parlamento europeo, a Bruxelles, il 27,28 e 29 giugno 2012.
 150 giovani da tutta Italia e non solo, si ritroveranno la prossima settimana presso il Parlamento europeo, a Bruxelles, per prendere parte alla 3 giorni di formazione, dal titolo "Generazione Europa: il nostro futuro".
L'incontro con le istituzioni europee sarà l'occasione per un importante momento di formazione per i giovani partecipanti, che ascolteranno e prenderanno parte a varie discussioni e tavole rotonde, con gli interventi di numerosi ospiti, tra cui il Presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, il Presidente dell'ALDE GUy Verohfstadt, il Coordinatore Nazionale Giovani IDV Rudi Russo, il Sostituto Procuratore presso la Procura di Caltanisetta Nicolò Marino, il Direttore Generale dell'OLAF Giovanni Kessler, il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, l'On. Ignazio Messina, l'on. Ivan Rota, l'On. Ramon Tremosa I Balcells, l'On. Ivo Vajgl, il Responsabile del CABS Andrea Rutigliano, la Dott.ssa Carla Poli del Centro Riciclo Vedelago, Emanuele Giordano di Rete Afgana, la fotoreporter Monika Bulaj, i giornalisti Riccardo Mascia e Emiliano Morrone.
Potrete seguire in diretta streaming l'evento sul sito dell'Italia dei Valori, http://www.italiadeivalori.it/
Per maggiori informazioni, visitate la pagina Facebook dell'evento: http://www.facebook.com/#!/events/349140651823753/ 


150 giovani IdV a scuola di Europa dal 27 giugno a Bruxelles

Si rinnova l'appuntamento con la Scuola di Formazione Europea dell'Italia dei Valori, una tre giorni che, dal 27 al 29 giugno, riunirà al Parlamento europeo circa 150 giovani italiani e catalani per affrontare temi cruciali dell'agenda europea. L'evento, dal titolo "Generazione europa: il nostro futuro", è promosso dagli eurodeputati dell'Italia dei Valori -  gli Onorevoli Niccolò Rinaldi, Giommaria Uggias, Gianni Vattimo e Andrea Zanoni - in collaborazione con il partito catalano CDS (Convergenza Democratica della Cataluna) e sotto l'egida del Gruppo dei Liberali e Democratici (ALDE).
Ad aprire i lavori, il giorno 27 giugno a partire dalle ore 16,30, saranno gli stessi europarlamentari dell'IDV, insieme al deputato della delegazione catalana, Ramon Tremosa I Bacells, con la partecipazione del Presidente dell'ALDE, l'Onorevole Guy Verhofstadt, del presidente dell'Eldr (partito dei liberal-democratici europei) l'Onorevole Sir Graham Watson, e del Coordinatore Nazionale Giovani IDV Rudi Russo.
Ospite immancabile dell'evento, il Presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che discuterà dei valori dell'Europa presso la sede dell'Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles il giovedì 28 giugno dalle ore 20 insieme a l'IdV Belgio, al Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris e al Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.
"Siamo orgogliosi di ospitare per il quarto anno consecutivo la scuola di formazione europea dell'IDV" - commentano gli eurodeputati. "E' fondamentale che i giovani incontrino le istituzioni europee e vengano formati ad esse, poiché l'Europa rappresenta il nostro presente, ma soprattutto il nostro futuro, proprio come i 150 ragazzi provenienti da tutta Italia ed Europa che prenderanno parte alla scuola".
La mattinata del giovedì 28 giugno si aprirà con  la tavola rotonda sulla legalità con gli interventi dell'On. Ignazio Messina, del Sostituto Procuratore presso la procura di Caltanisetta Nicolò Marino, del Direttore Generale dell'OLAF Giovanni Kessler. Nel pomeriggio dello stesso giorno si discuterà di ambiente, economia, fondi europei e di politica internazionale, con gli interventi  del responsabile del CABS Andrea Rutigliano, di Carla Poli, del Centro Riciclo di Vedelago, dell'On. Ramon Tremosa i Bacells, di Emanuele Giordana di Rete Afgana e di Monika Bulaj, fotoreporter.
Il 29 giugno, giornata conclusiva della scuola, si parlerà di nuovi media e di partecipazione democratica con il giornalista e blogger Riccardo Mascia, il giornalista Emiliano Morrone e il blogger dell'Espresso Alessandro Giglioli. A chiudere la 4ª edizione di questa Summer School sarà lo stesso Presidente dell'Italia dei Valori, l'On. Antonio di Pietro, insieme a l'On. Ivan Rota, responsabile nazionale organizzazione IDV e al Sindaco di Palermo Leoluca Orlando.



sabato 23 giugno 2012

In risposta a qualche commento sullo Heidegger di Faye

In risposta ai commenti giunti al post "Heidegger, nazismo e filosofia"

Perché Faye e non altri più attendibili? Credo sia perché fa più scandalo, sembra una "scoperta" (dell'acqua calda) che smove una certa ortodossia che - giustamente - considera Heidegger un classico da cui non si può prescindere; e poi corrisponde di più all'ondata di "nuovo realismo" che alcuni filosofi o pseudo tali cavalcano aiutati dalla stampa "indipendente", la stessa che crea il mito di Monti e poi lo ritrova nei sondaggi... Insomma si tratta di assecondare un ritorno all'ordine "atlantico", che si giova anche della caccia al nazista per riaffermare il buon diritto del mainstream "occidentale", spacciandolo per il solo punto di vista "umano". Quanto all'errore di Heidegger troppo "greco", la mia tesi è che Heidegger, scegliendo Hitler nel 1933, ha ceduto a un vecchio mito della cltura tedesca tra Sette e Ottocento, che vedeva nella Germania la vera erede della grande tradizione europea proveniente dalla Grecia pre-classica. Ma nella stessa filosofia di Heidegger, che ha sempre sostenuto che l'essere stesso non si dà mai in presenza, ma sempre solo come altro dall'ente, ci sono i principi per evitare di identificare una determinata civiltà - quella greca preclassica o quella tedesca nazista che pretendeva di riprodurla - con la vera civiltà umana. Quello di Heidegger nazista è dunque anzitutto un autofraintedimento, che proprio in nome dei suoi principi va rifiutato e gli va rimproverato.

Che poi la filosofia per essere valida debba sapermi indicare le ragioni per cui il nazismo è disumano è un discorso più complesso: dovrei supporre che una filosofia possa e debba essere "vera" in modo definitivo. Questo lo pensavano i vincitori della Seconda guerra mondiale, lo pensa Bush quando bombarda l'Iraq per affermare il "vero" diritto degli iracheni alla democrazia, lo pensa l'occidente che si crede legittimato a colonizzare e dominare il mondo in nome della propria verità. Io so che - viste le mie esperienze e ciò che condivido con i miei "prossimi", concittadini, amici, compagni politico-culturali e religiosi di cui  mi fido - non devo essere nazista. Sarà la verità assoluta? Se lo credessi, diventerei un pericolo pubblico per tutti quelli che non la pensano come me, un fanatico, appunto un nazista, sia pure di colore diverso. Heidegger scelse male i propri compagni di strada. Condizionato, anche se non giustificato, dalla situazione disperata della Germania della sua epoca. Noi lo sappiamo e abbiamo il dovere di tenerne conto; ma non come se fossimo Dio...

Gianni Vattimo

venerdì 22 giugno 2012

Gianni Vattimo, ''Il rilancio dell'Italia non passa dai tecnici, ma dalla mobilitazione della gente comune''

Il filosofo e parlamentare europeo attraverso il suo libro “Della realtà” analizza e commenta la situazione storica attuale 
Libreriamo, 22 giugno 2012

 MILANO - Basta realismo rassicurante, i problemi della società di oggi si possono superare solo attraverso la mobilitazione comune. E’ quanto ha dichiarato il filosofo Gianni Vattimo in un incontro tenutosi ieri sera presso la Fnac a Milano. Il filosofo noto a livello internazionale ha inoltre parlato del suo ultimo libro “Della realtà”, edito da Garzanti, un saggio filosofico che documenta un percorso di conoscenza e che alla riflessione sul pensiero di Heidegger unisce una costante attenzione alle trasformazioni della società contemporanea. Al richiamo alla realtà, Vattimo contrappone l’ermeneutica, ovvero la costante pratica dell’interpretazione, lo straordinario strumento conoscitivo che secondo il filosofo ci consente di superare la dittatura del presente.
 
DECOSTRUZIONE DELLA VERITA’ - Gianni Vattimo spiega al pubblico come, a suo parere, il discorso sulla pura negatività dell’ontologia sia molto fondato. “Numerosi pensatori del ‘900 hanno concepito una funzione più negativa della filosofia. Essa si presentava molto critica, pensando che l’essere non è, ma diviene, accade.” Nel suo libro, Vattimo decostruisce, contesta, ma non si oppone ad una falsità in nome di una verità assoluta. “Quello che io, come anche Heidegger, pensiamo è che sia impossibile definire l’essere. Questo discorso non è soltanto negativo, ma permette di non identificare gli esseri con gli enti, un errore che Heidegger rimproverava alla metafisica. L’autore di “Essere e tempo”  è vissuto all’inizio del ‘900, un momento di gran positivismo grazie anche allo sviluppo industriale, e la sua insofferenza nei confronti del positivismo è legata al fatto di vederla come la filosofia del mondo dell’organizzazione totale.”
 
BISOGNO DELLA REALTA’ – Secondo Gianni Vattimo, il realismo di oggi nasce dalla necessità di essere rassicurati, e la frenesia ed il bisogno di realtà si manifestano soprattutto all’interno dei quotidiani cosiddetti indipendenti, in realtà a suo avviso reggicoda di Monti e di tutte le banche mondiali. “Il neorealismo che tiene banco sui quotidiani negli ultimi mesi, è l’ideologia del tardo capitalismo cadente, che tenta di salvare le banche tecnicamente.” Il filosofo italiano si rifà a Nietzsche, il quale affermava che i fatti sono interpretazioni, che dipendono dal punto di vista dell’osservatore. “Anche l’economia non è una scienza naturale, ma interpretativa, fatta da un soggetto concreto, portatore di interessi, legittimi ma parziali. Una volta preso atto che non ci sono fatti ma interpretazioni, uno che si propone di avere la verità assoluta è molto pericoloso se non gli si da retta. In realtà si tratta di una realtà convenuta, che quando non va bene può mettere il dubbio in chi lo ascolta. Questa è l’essenza del Marxismo e di Nietzsche, e in parte di Freud.”
 
VERITA’ ATTRAVERSO LO SCONTRO – Gianni Vattimo ritiene che sia più ragionevole pensare alla storia come successione di illuminazioni. “C’è una certa continuità nella storia, ma non vuol dire che ci sia una linea ontologicamente garantita alla Hegel.” Il filosofo italiano illustra quindi la sua visione dialettica della storia. “Non sono d’accordo sul fatto che si possa arrivare alla verità solo attraverso l’accordo tra maggioranza e minoranza. Credo che la verità si costruisca soprattutto attraverso lo scontro, la sostituzione, il cambiamento, la rivoluzione.” Secondo Vattimo la nostra democrazia oggi è purtroppo questa, e la naturale conseguenza è la mancanza di convinzione nell’andare a votare pensando di poter cambiare le cose. “Occorre un po’ più di conflitto: anche il governo tecnico attuale è figlio dell’accordo tra maggioranza e minoranza di governo. Addirittura in passato la destra e la sinistra si rimproveravano di essersi copiati i programmi dell’altro. Una situazione diffusa anche nel resto del mondo.”
 

Le immagini parlano meglio nel silenzio

Le immagini parlano meglio nel silenzio. Intervista a Erion Kadilli

AlbaniaNews, , 22 Giugno 2012

Il regista si candida quest’anno al festival con un prezioso e suggestivo documento sul filosofo Gianni Vattimo dove il giovane regista e l’anziano filosofo si accompagnano in un percorso di formazione e di amicizia attraverso il Montenegro.

Erion Kadilli è un giovane regista albanese di adozione torinese, classe ‘83 che ha all’attivo due documentari realizzati indipendentemente ma di grande interesse cinematografico: il documentario Sono stato dio in Bosnia. Vita di un mercenario (2010, 80′) ispirato al libro “La guerra in casa” di Luca Rastello; e il film Primavera in Kosovo, girato nei giorni in cui il piccolo paese balcanico dichiarava una controversa indipendenza dalla Serbia.
Regista rivelazione al Biografilm Festival 2012, vincitore dell’Audience Award | Biografilm Italia 2011 per il suo Sono stato Dio in Bosnia. Vita di un mercenario, Erion Kadilli si candida quest’anno al festival con un prezioso e suggestivo documento sul filosofo Gianni Vattimo dove il giovane regista e l’anziano filosofo si accompagnano in un percorso di formazione e di amicizia attraverso il Montenegro. La montagna di Nietzsche inizia con l’ultima lezione universitaria del teorico del Pensiero Debole e continua facendoci sbirciare dentro ad un "dopo", che solo apparentemente può avere caratteristica di disimpegno intellettuale.

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Come sei arrivato al cinema, in che modo ti sei avvicinato ad esso per poi infine tra le varie diramazione della rappresentazione video hai scelto proprio quella documentaristica?
Io amo il cinema in prima istanza come semplice spettatore... così è iniziata la mia passione... poi conseguentemente il fare cinema e certamente la domanda sorta a quel punto era: quale cinema voglio e posso fare? Il documentario è il cinema più intellettuale, sincero, libero ed economico (digitale) che esista... quindi...

Parlaci della Montagna di Nietzsche? Perché questo titolo? Da cosa nasce l’idea? 
L'idea nasce dalle sottili ma numerose similitudini, esistenziali non solo di pensiero,tra Nietzsche e Vattimo... la loro vita personale e familiare...
Ma tutto questo è detto e non detto... rimane legato alla sfera intima, "per tutti e per nessuno" direbbe Nietzsche. Così anche il titolo è un riferimento astratto, lontano, non diretto. L'ho girato in Montenegro... e la “montagna nera” fa pensare alla famosa "selva nera"... e qui parliamo di Heidegger naturalmente.

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Nel film non ci sono praticamente dialoghi. Come mai questa scelta quando puoi “far parlare” in una dimensione intima una delle menti più illustri del XX secolo?
Parlare di Vattimo e del suo pensiero sono i suoi numerosi volumi... io lavoro con le immagini... e le immagini parlano meglio nel silenzio, mi sembra naturale da qui, la scelta di evitare "l'intervista" e far uscire IL DISCORSO direttamente dal video, dalle immagini...

Qual è il tuo rapporto con Vattimo? La sua influenza sulla tua crescita personale e/o professionale?
Posso ben dire che Gianni Vattimo da anni oramai è un mio amico... questo è per me motivo di vanto e debito di affetto nei confronti di un grande professore che quando può dedica tempo per passeggiate o cene in cui parliamo di filosofia o facciamo filosofia nonostante dall'altra parte ci sia un ignorante come me.

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Ai tuoi documentari fanno sempre da sfondo al di là della tematica sviluppata, i Balcani, qual è il tuo rapporto con questi paesi? E con il tuo Paese?
Si è vero... anche senza volerlo coscientemente torno sempre da quelle parti per i miei documentari... sarà che a me l'Albania mi fa impazzire... oltre ad un patriottismo incondizionato c'è qualcosa di vagamente erotico in essa.

So che la tua tesi finale al corso di DAMS è un progetto che ti ha impegnato e ti sta tutt’ora impegnando moltissimo. Di cosa si tratta esattamente?
Sì, il mio lavoro di laurea è un collage di oltre 90 scene di film stranieri in cui compare l'Albania, montati in ordine cronologico dagli anni ‘40 ad oggi!! Il tutto per 2 ore e mezza di filmato. Non voglio ancora anticipare nulla ma posso dire che in autunno grazie anche al supporto del Centro di Cultura Albanese di Torino, fondato da Benko Gjata che da anni mi sponsorizza e supporta ci sarà una serata speciale proprio in occasione del centenario dell’indipendenza dell’Albania e cento anni dopo la prima proiezione cinematografica albanese di Kole Idromeno a Scutari.

In questi giorni La Montagna di Nietzsche è presente al Biografilm Festival 2012 da Bologna, dove Erion Kadilli per il secondo anno consecutivo è tra i registi in concorso. Inoltre verrà proiettato a Torino il 3 luglio presso lo Spazio Ferramenta nell’ambito della quinta edizione di Torinover ’12 curata da Elisa Lenhard e Francesca Solero che hanno selezionato il video per la rassegna 1 Year Tour che fino all’estate prossima girerà in vari festival ed eventi culturali per tutta Europa.

mercoledì 20 giugno 2012

LA MONTAGNA DI NIETZSCHE. In viaggio con Gianni Vattimo


Il documentario su Gianni Vattimo "La montagna di Nietzsche. In viaggio con Gianni Vattimo" di Erion Kadilli è in vendita a Torino da Blowup (Via Montebello 22) e nelle librerie indipendenti "La bussola" (Via Po 9) e "Comunardi" (Via Bogino 2)

 

LA MONTAGNA DI NIETZSCHE - Omaggio a Gianni Vattimo

Dopo il successo del 2011, Erion Kadilli torna al Biografilm di Bologna col suo nuovo lavoro: dal "mercenario" al "filosofo"

Cinemaitaliano.info, 11 giugno 2012. Di Carlo Griseri

 

LA MONTAGNA DI NIETZSCHE - Omaggio a Gianni Vattimo
E' duplice l'obiettivo de "La montagna di Nietzsche", documentario dell'italo-albanese Erion Kadilli incentrato sulla figura di Gianni Vattimo: da un lato mostrare un lato insolito e privato del pensatore (grazie al lungo rapporto di amicizia tra i due), dall'altro inserire il nome di Vattimo tra quelli dei grandi filosofi della storia.

Questo secondo fine viene raggiunto mostrando in successione immagini di suoi grandi predecessori come Nietzsche (le cui musiche, poco note ma efficaci nel dare il senso del tempo altro - distante nel tempo e nello spazio, sono usate come colonna sonora) e Heidegger, tra gli altri. Un procedimento didascalico che se ottiene il suo obiettivo convince poco dal punto di vista stilistico.

Il "Vattimo privato" invece appare solo in alcuni momenti, radi e poco incisivi. In spiaggia, in stanza d'albergo, al bar: qualche immagine di una visita in Montenegro, qualche battuta e poco più.

Le immagini del teorico del Pensiero Debole alla sua ultima lezione in Università, a Torino, da cui prende il via il racconto, sono invece austere al punto giusto per rendere lo scarto da quella "rigidità" alla scioltezza della seconda parte del racconto, ma sono forse un po' troppo lunghe (come del resto quelle - lunghissime - in macchina, con l'inquadratura di una croce che volteggia attaccata allo specchietto retrovisore...).

Se i primi due terzi di documentario quindi un po' deludono, specie pensando al rigore del precedente lavoro di Kadilli, "Sono stato Dio in Bosnia - Vita di un Mercenario", gli ultimi minuti sono invece folgoranti, con il filosofo e i suoi accompagnatori seduti a un tavolo da picnic immerso nella nebbia. Sospeso e "perso", il finale resta nella mente e nel cuore a lungo, e compensa (ampiamente) i punti deboli visti fino a quel momento.

 

Erion Kadilli: "Ho cercato il lato privato del pensatore Vattimo"


Il regista ha presentato in anteprima mondiale al Biografilm 2012 il suo documentario dedicato al filosofo

Cinemaitaliano.info, 11 giugno 2012. Di Carlo Griseri


Erion Kadilli: "Ho cercato il lato privato del pensatore Vattimo"
Erion Kadilli racconta la genesi del suo documentario realizzato "in viaggio con Gianni Vattimo".

"Mi fa molto piacere tornare a Biografilm un anno dopo il successo 2011, ho tenuto in "caldo" il documentario per poter fare qui l'anteprima, ci tenevo molto visto anche il rapporto di amicizia e di cinefilia che si è instaurato lo scorso anno.

"La montagna di Nietzsche" è un film personale, perché personale è il rapporto che ho con Gianni Vattimo, ho la fortuna di essere suo amico, è probabilmente il più grande filosofo vivente e ho l'onore di frequentarlo".

"L'idea è stata questa: non porgli mai nessuna domanda su grandi temi, ma di fare uscire quello che secondo me è una parte del suo pensiero con queste immagini. Ci sono dei momenti rubati di vita vera, di noia anche, in questo viaggio che abbiamo fatto in Montenegro dove Gianni teneva alcune conferenze.

C'è poi questo finale immerso nella nebbia, e lì mi sono ispirato - con tutto il rispetto - al grande maestro russo Sokurov e alla sua "Elegia sovietica". Volevo che uscisse fuori il lato umano del pensatore".

In sala prima della proiezione anche il "protagonista", Gianni Vattimo: "Ero imbarazzato prima di iniziare, ma ora sono contento: Erion è un bravo regista, mi fidavo di lui dopo aver visto il suo primo lavoro. Da spettatore l'ho molto apprezzato, spero che il pubblico lo apprezzi e che il festival lo ospiti lo prendo come un buon segno. Apparire in un buon film è sempre qualcosa...".

Vattimo: le risposte della filosofia

ViviMilano, 20 giugno 2012. Di Ida Bozzi

Che cosa sta succedendo nel mondo e nella concezione del mondo? Come il pensiero contemporaneo si confronta con elementi quali la crisi del capitalismo e il cosiddetto ”nuovo ordine mondiale”? L’occasione per capire uno dei fronti di elaborazione in cui si trova il pensiero filosofico, è la presentazione del nuovo saggio del filosofo Gianni Vattimo, ”Della realtà. Fini della filosofia” (Garzanti), nell’incontro di giovedì 21 alla Fnac con il pubblico milanese. 

“Proprio in tempi di crisi – ha illustrato Vattimo a ViviMilano, anticipandoci i temi del libro – come quella che stiamo vivendo, che tutti riconoscono come crisi strutturale, mi sembra importante la filosofia. Che certo non ha suggerimenti immediati da fornire – su come ridurre il debito, come rifinanziare (ancora una volta!) le banche, eccetera – ma ci chiede una riconsiderazione generale del nostro modo di vivere e dei nostri sistemi di valori. Potremmo dire che attraverso questo saggio si ha una panoramica del ”prima” e del ”dopo”, a partire dal ”pensiero debole” della fine del Novecento per arrivare all’oggi, un tempo che il filosofo descrive nel libro come il «ritorno all'ordine che nella cultura, non solo filosofica, si è fatto sentire in questi ultimi anni – effetto forse dell’11 settembre? Della lotta contro il terrorismo internazionale? Della crisi finanziaria che sembra si possa battere solo con un ”nuovo realismo”?».

Insomma, in un saggio che non è di pura divulgazione ma nemmeno solo teoretico, Vattimo prende posizione su quello che sta accadendo nel mondo, non solo del pensiero, con il ritorno al ”realismo” e i richiami al rigore, allo stringere la cinghia e così via. Qual è, in breve, la sua posizione, lo anticipa lo stesso filosofo, che conclude illustrandoci il senso del suo libro: “Richiamando i (miei) lettori a non lasciarsi imporre le pretese ricette ”realiste”, che si fondano sempre su una interpretazione (situata, socialmente e storicamente; e dunque interessata) della realtà e non, come pretendono, sulla conoscenza oggettiva delle cose (la conoscenza che sarebbe propria dei ”tecnici” neutrali), invita a professare la filosofia come progetto attivo di modifica del mondo com’è e non come contemplazione inerte dell’ordine (!) esistente”. La filosofia, insomma, si occupa come non mai delle questioni più scottanti del presente, e il dibattito è aperto e caldissimo.

Pensiero debole ma idee forti

Il nuovo Vattimo


LA VERITÀ vi farà liberi, sta scritto nel Vangelo. Il problema è come trovarla senza subire gli inganni del potere. È uno dei grandi temi di Della realtà (Garzanti), nuovo libro di Gianni Vattimo, filosofo e eurodeputato (Italia dei Valori). Un saggio sulle trasformazioni della società contemporanea firmato da un pensatore, classe 1936, che continua a definirsi "resistente". Prende posizione - dai No Tav ai palestinesi, all'eutanasia -, e dà spazio ai giovani. Giovedì alla Fnac (ore 18) lo presenterà Tommaso Portaluri, studente di 18 anni, appena nominato per meriti scolastici Alfiere della Repubblica. 
 
Professor Vattimo, cos'è "Della realtà"? «Raccoglie i corsi che ho tenuto a Lovanio (1998) e Glasgow (2010) nelle Gifford Lectures, una specie di premio Nobel per la filosofia. Non è un'opera di divulgazione per il grande pubblico, ma nemmeno un documento teoretico per gli addetti ai lavori o i biografi. È un itinerario filosofico sul senso e il risultato di una vita di lavoro». 
 
Di lei dicono tutti: è l' inventore del pensiero debole. Ovvero? «Il pensiero debole è un mix di ermeneutica, l'analisi critica della realtà, e nichilismo. I miei maestri sono Heidegger e Nietzsche. Le teorie di quest'ultimo ruotano attorno alla celebre: 'Non esistono fatti, solo interpretazioni' . Salvo poi aggiungere: 'Anche questa è un' interpretazione' . L'avversario da battere è il ritorno all'ordine nella cultura, non solo filosofica. Effetto dell'11 settembree della lotta contro il terrorismo? della crisi finanziaria?». 
 
Uno dei capitoli di Glasgow si sofferma sull' importanza, sottovalutata dai non filosofi, delle virgolette. «La costante pratica dell'interpretazione ci permette di superare la dittatura del presente, passando dalla "realtà" alla realtà. Chiunque dovrebbe mettersi in discussione, rifiutando la perentorietà dei dati. Se hai un solo televisore, vale come fonte della verità. Se ne hai venti, sei libero come il superuomo di Nietzsche, scegli in chi credere. I miei colleghi sostenitori del "neorealismo" cercano un'oggettività che nessuna scienza o tecnologia potrebbe avere». 
 
Perché la filosofia piace tanto alla gente, occupando classifiche e festival? «Hanno successo i filosofi perbenisti, che coltivano valori mainstream promuovendo i loro libri da Fabio Fazio, non quelli che si ribellano. Il vero filosofo è maledetto, prende le distanze dal sistema, guarda le cose del mondo con scetticismo». 
 
Come si concilia il suo "cattocomunismo" con l'Idv di Antonio Di Pietro? «Sono stato eletto come indipendente nell'unico partito di opposizione. La politica è un impegno morale e non totalmente fallimentare, nonostante i limiti delle rivoluzioni. Sappiamo come sono andate a finire quella sovietica e cinese o i tentativi riformisti della sinistra italiana. L'Unione Europea è un insieme di agenzie burocratico bancarie incapaci di realizzare un socialismo dal volto umano. Il comunismo, la società senza classi, restano l' unico orizzonte contro il dio mercato». 
 
Come passerà l'estate? «Insegnerò in Colombia, a Vilnius e in Austria, dove terrò un seminario su Wittgenstein. Tra un'università e l'altra vorrei rileggere i classici. Ho nostalgia di quando vent'anni fa tornavo dal mare con l'ansia di proseguire Guerra e pace. Merito di Tolstoj, del tramonto di Santorini o, forse, di uno stato d'animo diverso. Anche i filosofi credono nella felicità».

"Il pensiero debole è ancora forte" (Pier Aldo Rovatti)

La Repubblica, 16 giugno 2012

Pier Aldo Rovatti
Non possiamo far finta che non si stia combattendo un sintomatico conflitto di idee. Esso esisteva ancor prima che venisse alla superficie attraverso articoli, saggi e libri. Con il Manifesto del nuovo realismo (Laterza) Maurizio Ferraris ha il merito di averlo fatto emergere e di avere surriscaldato la scena. Umberto Eco, nel suo intervento intitolato Di un realismo negativo (in “alfabeta2”, n. 17, e su questo stesso giornale), ha stemperato i toni. Gianni Vattimo, pubblicando (da Garzanti) Della realtà, cioè quello che ha detto e scritto nell’ultimo decennio, ha documentato la propria dissidenza filosofica con la consueta chiarezza, ed è a partire da questo libro che vorrei esprimere alcune mie considerazioni.
Lascio perdere le punte polemiche (per esempio, Vattimo che pubblica sul manifesto una lettera a Eco, e Ferraris che gli risponde contestualmente, come a dire «se vuoi parlare con me, fallo direttamente»). E vengo subito al conflitto delle idee: in gioco mi pare soprattutto la domanda «dove sta andando la filosofia?» e, più precisamente, «che fine stanno facendo il “sociale” e il “politico” in questa svolta di pensiero? ». Nessuno dei contendenti si sogna di dichiararsi “contro il realismo”: da una parte, però, si propone di salvare il nocciolo “ontologico” della questione sbarazzandosi di tutto quanto è avvenuto dal ’68 a oggi, dall’altra si valuta con preoccupazione quel che si perderebbe procedendo così.
A detta di Vattimo si rinuncerebbe al potenziale di trasformazione che la filosofia può ancora avere e che anzi, proprio adesso, in tempi in cui la crisi tende a comprimere anche gli spazi di pensiero, dovremmo cercare di attivare e valorizzare. Il suo punto di vista è netto: per lui rischiamo di ingabbiarci in un atteggiamento ultraconservativo dal sapore accademico, se togliamo alla filosofia quel mandato sociale e politico costruito in decenni di lavoro ermeneutico e fenomenologico, attraverso la rilettura critica di Nietzsche e di Heidegger, gli apporti mutuati dalla microfisica del potere di Foucault e dal decostruzionismo di Derrida, senza dimenticare il ruolo non marginale giocato da Benjamin. Tutto questo percorso – che ora si vorrebbe devitalizzare (omologandolo in un generico postmodernismo) – conduce secondo Vattimo proprio a una descrizione critica della “realtà”, nella sua complessità ma soprattutto nei suoi dispositivi oggettivanti e che limitano la libertà dei soggetti in quanto cittadini in lotta per i loro diritti.
 
Umberto Eco
Come è noto, anche se non mi sono mai del tutto identificato filosoficamente con Vattimo (per formazione e scelte specifiche), ne condivido nella sostanza l’impianto (cfr. in Della realtà soprattutto le “Lezioni di Glasgow” del 2010): è una posizione che permette, nell’attuale conflitto di idee, di vedere bene i rischi del disboscamento in atto e soprattutto di illuminare il tratto più sorprendente di questa “pulizia” culturale, e cioè la rimozione della soggettività. Sembra infatti che il realismo ora rilanciato voglia e possa fare a meno della soggettività, quasi fosse inglobata o sottintesa e non una questione aperta e cruciale. Un realismo senza soggetto, per dir così, chiude o comunque squalifica come irrilevanti i problemi che, secondo Vattimo (e secondo me), dovrebbero invece essere considerati vitali per il discorso filosofico: quelli, per esempio, dell’identità e dell’alterità e di cosa può significare oggi socializzazione o legame sociale; oppure quelli della prossimità e della distanza e di cosa, appunto, può voler dire “soggetto” nel momento in cui è chiaro che nessuno può essere più padrone a casa propria e che l’idea di individuo neoliberale sembra ormai andare in frantumi.
Ipotizzo che Vattimo si sia rivolto a Eco (nella lettera che ho sopra ricordato) perché gli attribuisce una sensibilità sull’intera questione, nonostante il fatto che Eco appaia schierato nel campo avverso. Una sensibilità innanzi tutto “storica”: una cautela nel buttar via il bambino con l’acqua sporca, salviamo almeno l’insegnamento in fatto di “ironia” che ci arriva da quella stagione che ora vorremmo frettolosamente cancellare. E poi una sensibilità verso un “realismo minimo”, inteso come un limite «che non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verità».
 
Maurizio Ferraris
Ecco gli ulteriori e imprescindibili fronti della battaglia in corso, molto evidenti nel libro di Vattimo: la storia e la verità. Storia significa provenienza, genealogia, processo sociale attraverso cui si forma la coscienza politica del presente e al di fuori del quale la parola “critica” e anche la stessa parola illuminismo (invocata da Ferraris) rischiano di restare parole senza spessore. “Verità” (con le virgolette!) vuol dire appunto negazione della pretesa di possedere una volta per tutte la verità (senza virgolette). Le due questioni sono ovviamente intrecciate: per combattere le pretese di chi ha creduto o ancora crede di avere in mano la verità, occorre che gli “eventi” vengano ogni volta attraversati dalla storicità e che i soggetti storici ne siano i responsabili effettivi, concreti, politici: tutti i soggetti, non solo quei supposti “funzionari dell’umanità” che chiamiamo filosofi.
Vattimo ha costantemente combattuto questa battaglia e continua a farlo anche in Della realtà. Qualcuno ritiene che sia ormai passato il suo tempo. A me pare lampante che la sostanza del suo programma filosofico sia ancora incisiva, oggi – forse – ancora più di ieri.

Visioni di futuro #6 - Intervista a Gianni Vattimo

Visioni di futuro #6 - Intervista a Gianni Vattimo

RaiNews24.it
Gianni Vattimo, autore di "Della realtà. Fini della filosofia" sul futuro, sul rapporto tra analogico e digitale; contiene un servizio di Laura Carcano ed estratti dai testi degli scrittori Alberto Costantini e Francesco Troccoli. Le immagini pittoriche sono di Adriano Nardi. Sintesi di Marta Colò.


lunedì 11 giugno 2012

Vattimo: “Soy un cristiano heterodoxo y nostálgico”

Vattimo: “Soy un cristiano heterodoxo y nostálgico”

Revista Criterio, n. 2382, Jnio 2012; por Poirier, José María - Ryan, Romina

El filósofo italiano Gianni Vattimo afirma que no existen los hechos sino las interpretaciones y que los conceptos absolutos no son viables en la Posmodernidad. Como en años anteriores, Gianni Vattimo visitó Buenos Aires y la Feria del Libro, donde además de dictar una divertida conferencia presentó su libro Della realtà. Fini della filosofia, una compilación de los últimos 15 años de trabajo universitario. Profesor emérito, en la actualidad es representante en el Parlamento Europeo del partido Italia de los Valores, cuyo líder es Antonio Di Pietro, “el único partido de oposición auténtica a Berlusconi y ahora a Monti”, explicó en diálogo con CRITERIO.
–Algunos dicen que hay un Vattimo anterior a la obra Creer que se cree y uno posterior; otros dicen que hay varios. ¿Cuántos Vattimo hay?
–Me gusta muchísimo que se diga que hay diferentes Vattimo, porque eso sucede sólo con algunos grandes filósofos como Heiddeger, Wittgenstein oNiezschte… Yo, sin embargo, creo que hay una continuidad en mi historia intelectual. Cuando terminé mis estudios en la escuela superior decidí inscribirme en la carrera de Filosofía por intereses teológicos y políticos. Más tarde comprendí que como inquietud religiosabuscaba lo que más tarde se llamó Posmodernidad, la idea de poder construir un pensamiento filosófico no tomista, no demasiado tradicionalista, pero sí cristiano. Siempre digo que soy un “cato-comunista”, un católico de izquierda. Si tenemos que hablar de rupturas, en mi historia la primera fue en 1968. Si bien no participé en el movimiento estudiantil, tenía muchos amigos allí. En ese momentoya era catedrático en Turín, gracias al apoyo de una mayoría de católicos de derecha y debido a la influencia del profesor que dirigía mis estudios. Pero después de tres meses alejado de la universidad e internado en un hospital por un problema de salud, al regresar me di cuenta de que había devenido maoísta. Cuando hablé con mi profesor y amigo me dijo: “¿Cómo? ¿Y ahora me lo dices? ¡Qué problema! ¿Qué hago?”. “¡Es que ha sucedido ayer!”, le expliqué. En ese período de enfermedad había leído a Herbert Marcuse, al griego KostasAxelos que había escrito Marx, pensador de la técnica, es decir que se empezaba a reconocer una conexión entre al antitecnicismo de Heidegger y el anticapitalismo de Marx, y aún sigo creyendo que se puede ser marxista o comunista siendo hegeliano. El último libro mío traducido al inglés, HermeneuticCommunism, tiene como subtítulo “De Heidegger a Marx”.
Una primera ruptura entonces sucedió en 1968, cuando se convierte en maoísta. ¿Y después?
–En 1974 se publicó mi libro sobre Nietzsche, escrito entre 1968 y 1972, que era absolutamente revolucionario en tanto el asunto principal eraunir la aspiración revolucionaria de la burguesía –la liberación del sujeto, la liberación sexual, el divorcio– con la revolución proletaria, que era básicamente económica. Obviamente Nietzsche no fue revolucionario en lo personal, pero muchas de sus ideas pueden ser utilizadas en ese sentido. Ese año fue también muy interesante porque empecé a trabajar en estos pensamientos de transformación socio-cultural inspirados por Nietzsche y Heidegger juntos y, finalmente, todo el desarrollo sucesivo fue la elaboración de la conexión entre ambos, algo que ellos nunca hubieran pensado. Cuando algo se combina es difícil distinguirlo de lo que viene después. En este sentido, el conocimiento personal con los estudiantes más radicales se convirtió para mí en una manera de tomar distancia del terrorismo italiano, muy presente en aquellos años. Un día, por ejemplo, uno de mis discípulos me dijo que habían arrestado a un estudiante en Bolonia sólo porque tenía mi número telefónico en su agenda. En 1978 fui amenazado por las Brigadas Rojas porque el discurso era que si había alguien en la izquierda que no estaba con ellos, era un enemigo. Y yo era decano de la Facultad, pertenecía al Partido Radical, que era contestatario pero pacifista, y había aceptado formar parte del primer juicio popular a las Brigadas Rojas. En ese momento empecé a pensar que una revolución no podía ser leninista y violenta porque tendríamos 20 años de guerrilla y otros 20 años de stalinismo. En ese tiempo de reflexión sobre la experiencia del terrorismo escribí un ensayo que para mí es fundamental, Dialéctica y diferencia del pensamiento débil; la dialéctica era el marxismo, a diferencia del pensamiento de nombres como Jacques Derrida o GillesDeleuze, que no terminaban de gustarme porque eran un poco anarquistas pero se abstraían de la lucha política efectiva. El pensamiento débil guardaba relación con la idea de hacer uso de Nietzsche y Heidegger para imaginar una filosofía de la historia que adquiere sentido en la reducción de la violencia y no en la realización, incluso violenta, de un modo pensado antes. Esto era importante política y éticamente. En esos años, además, me pidieron una introducción a la edición de El mundocomo voluntad y representación de Arthur Schopenhauer. En ese momento dejé de ser maoísta ingenuo para convertirme en izquierdista no violento, pero menos ilusionado con la idea de revolución total.
–¿Hubo un tercer quiebre?
–Sí, vinculado a la lectura de RenéGirard: la idea de una interpretación de la religión no en el sentido victimario, sacrificial, sino viendoal cristianismo como superador del carácter violento de las religiones naturales. Cuando uno se pregunta por qué Jesús fue asesinado,es porque precisamente reveló esa visión, algo muy escandaloso.
–¿Qué relación establece entre el pensamiento débil y la teología del anonadamiento, la kénosis?
Tengo que volver a un momento importante, incluso a unrencuentro conmi religiosidad personal.Paradójicamente, cuando estuve viviendo en Alemania a comienzos de los años ’60, donde no leía los diarios italianos porque llegaban demasiado tarde, cuando dejéde tener el problema de discutir con la jerarquía católica italiana y con los católicos de derecha, no fui más a misa. Pero repensando a Girard creo que volví a ser cristiano, y también por mérito de Nietzsche, de Heidegger y hasta de Mao.
–Algunos escribieron que a partir de Creer que se cree usted volvía a la religión pero también que la religión volvía al pensamiento y al debate.
–Esasí en cuantouno intenta relacionar siempre en el discurso la historia personal con la historia de la época. En 1968 era típico: los estudiantes pedían la liberación sexual porque era lo que a ellos les interesaba, pero pensaban que debía ser mundial. Eso refleja la idea de vocación histórica, es decir que no siento la filosofía como una vocación para ocuparme de los absolutos sino para leer los signos de los tiempos, que es una expresión evangélica. Cuando empecé a escribir Creer que se cree, un verano en la montaña, me parecía que ya no había razones filosóficas “objetivas” para no ser cristiano en tiempos de la Posmodernidad. Cuando se disuelven los meta-relatos (materialista, positivista, etc.) que intentan explicarlo todo, uno puede releer escrituras sagradas como el Evangelio –no tengo mucha simpatía con el Antiguo Testamento, sobre todo por la violencia, es demasiado antiguo–. Fue un esfuerzo por interpretar la situación filosófico-cultural desde el punto de vista de un retorno posible a la religiosidad a través de la disolución de los meta-relatos metafísicos.
–Su lectura de la Posmodernidad siempre se da en términos positivos, como por ejemplo la desaparición de los dogmas.
–Y como no existe más “la verdad”, se necesita la caridad.
–El concepto de kénosis, pero también la interpretación…En eso usted parece luterano.
–Sí, porque la interpretación tiene que ver con el hecho de que no hay una verdad objetiva. Tal vez en el siglo XX la noción misma de verdad se transformó en una noción de caridad, porque si uno retoma incluso a Habermas, siempre habla de una racionalidad comunicativa, lo cual implica que es racional lo que puedo decir sin vergüenza frente a los otros. Sobre todo porque todo el discurso epistemológico del siglo XX tiene mucho de convencionalismo, es decir que la verdad científica se pronuncia dentro de un paradigma compartido, no es un encuentro directo de mí mismo con el objeto, es un encuentro con maneras de interpretar el objeto conforme a una historia de la ciencia, de la matemática, etcétera.
–Desde su perspectiva filosófica, ¿la metafísica preserva algo o absolutamente nada?
–Tengo el defecto de que cuando hablo de metafísica la nombro desde Heidegger, que es enemigo de la metafísica porque es enemigo del concepto de una verdad objetiva; para él ni siquiera y Dios puede ser un objeto. Desde una perspectiva metafísica puede decirse que Dios es un objeto supremo, pero llamarlo objeto no es un gran elogio. La metafísica en tanto concepción de la vida, fe existencial puede considerarse, pero en la historia siempre ha tenido una pretensión de universalidad que no logro visualizar sin violencia.
–Quisiéramos preguntarle sobre la construcción de la verdad en la política.
–No puedo pensar en una verdad para todos; yo pienso algo y puedo dar razones, pero no puedo demostrarlo. En cuanto a la verdad política, se trata de preguntar quién lo dice. Esto es lo básico, hermenéutico: como no hay verdades, sólo hay interpretaciones. Cuando me confronto con problemas, por ejemplo, con lo que pasó durante el gobierno militar en la Argentina, hay un problema de interpretaciones que se confrontan y se construyen sobre la base de documentos y testimonios, que son intérpretes en un proceso penal. Todo es un juego de relación intersubjetiva más que de toma de acto de lo que está. Lo mismo sucede con la verdad política; yo no tengo confianza en lo que diga Videla. ¿Por qué? No porque sé que ha matado, sino porque tengo otros testimonios de gente que tiene parientes desaparecidos, y por lo tanto no es una opinión sino que está documentado. En Italia se me reprocha esta idea, pero sé que no tengo confianza en Berlusconi. Hay hechos que se llaman así porque tenemos suficientes luces que nos indican que lo son, así como un dato de la física cuántica puede considerarse de tal forma porque lo atestiguan ciertos científicos.
¿Qué le suscita Raztinger como intelectual? Insiste en el relativismo pero por otro lado la dimensión del diálogo entre fe y cultura le interesa mucho.
Yo abrigaba muchas esperanzas cuando fue elegido Papa porque había sido profesor en Tübingen, pero ahora tengo una versión un poco descolorida sobre lo que el catecismo llama “la gracia de estado”: cuando uno llega a ser ingeniero, tendría una asistencia especial para ingenieros, y cuando uno es elegido Papa, se torna reaccionario. Por ejemplo, en la encíclica Deus caritas estdecía, por ejemplo, que las primeras comunidades cristianas eran comunistas pero que naturalmente esto después se quebró. ¿Por qué “naturalmente”? Es como aceptar la afirmación de Margaret Thatchercon respecto al capitalismo. Creo que Benedicto XVI es menos reaccionario que Juan Pablo II, que era más simpático; pero este Papa tiene menor decisión que su antecesor, que no era un teólogo sino un pastor de almas. Tiene toda la incertidumbre del intelectual, y como hombre de estudio, creo que tiene dificultades para tratar con la Curia. Yo esperaba mucho más de él.
¿Cómo ve el futuro de la Iglesia como institución?
–Me gustaría salvar a la Iglesia del suicidio, por ejemplo, ante ciertas actitudes un poco dogmáticas en torno del sacerdocio femenino, el problema del celibato eclesiástico, que ahora es anacrónico; todo esto le da un rostro reaccionario que no es exigido por ningún cristianismo. Básicamente no creo que ni siquiera la Escritura Sagrada sea una descripción adecuada de Dios, es una educación para el pueblo de Dios, por lo tanto, la teología como tal me parece absolutamente insignificante. Cuando era chico mi director espiritual me obligaba a leer libros del dominico francésGarrigou-Lagrange.Hay ciertas cosas que me gusta deciraunque sean arriesgadas porque creo que son religiosas, por ejemplo hay una frase de san Pablo que dice que la fe y la esperanza son transitorias, pero que la caridad va a durar. Un día discutía con un obispo en Toscana y le sugerí que esa frase no se refiere solamente a la vida eterna sino también a la vida histórica, es decir que hoy cada vez parece menos urgente que la gente crea que Dios es uno y trino. Los misioneros, cuando llegan a un destino como el Amazonas, abren un hospital o fundan una escuela, no obligan a la gente a creer en un Dios trino. Sería bueno pensar la historia del cristianismo como articulada con una reducción de la importancia de los dogmas e incluso una reducción de la pura esperanza en el más allá. Yo no tengo ninguna actitud polémica ni siquiera en contra de mis educadores católicos, estoy muy agradecido de la educación cristiana recibida. Soy básicamente un cristiano un poco heterodoxo pero nostálgico, incluso soy uno de los pocos que podría seguir la misa en latín. Si no fuera cristiano, no sería comunista.
Le había molestado en la polémica con Umberto Eco sureivindicación de la realidad al estilo un poco aristotélico.
–Sí, porque siempre fue un señor básicamente neo-tomista. Así como santo Tomás tenía como base la cosmología tolemaica, Eco toma la semiótica; siempre quiere como base para sus afirmaciones una ciencia positiva, como fundamentación científica.
¿Qué opina de su colega Massimo Cacciari?
–Lo conozco bien pero no lo comprendo mucho; siempre le digo que lo quiero muchísimo pero no lo entiendo. Estámuy comprometido, es una gran persona, pero no llego a entender a dónde quiere llegar; y también hay otros filósofos italianos que son demasiado erráticos para mi gusto. Cuando les pregunto a los universitarios por qué leen ese tipo de autores tan complicados, me dicen: “si los comprendiéramos no tendría sentido leerlos”. Hay una cierta vitalidad, de todas maneras, que resiste al pensamiento único, que rechazo sobre todo por razones políticas. En Italia tenemos el gobierno de Monti, que no fue elegido por nadie, y es aceptado por los partidos más opuestos ya que los libera de responsabilidades; Monti hace lo que dice el Banco Mundial.
–En el ámbito político de su país, ¿qué opina de Beppe Grillo, actor líder de la anti-política?
Es un fenómeno interesante, de populismo, pero no comparto que tome un carácter de anti-política. Empezó hace algunos años, pero en las últimas elecciones se volvió fuerte. Obviamente estoy más cerca de Grillo que de Berlusconi, incluso que de los comunistas, que respaldan a Monti, pero quiero ver qué pasa. Con Di Pietro me encuentro bien, aunque me critican que yo siempre haya sido de izquierda y él sea un representante del centro. Si bien está en la oposición absoluta a Berlusconi, no se identifica con ideales socialistas o marxistas. Estoy con él porque es la forma de lograr que un italiano comunista vaya al Parlamento Europeo, porque los partidos de extrema izquierda en Italia se han dividido y no tienen ni un solo diputado.

Feria del libro de Madrid

71ª FERIA DEL LIBRO DE MADRID

Gianni Vattimo inaugura el especial de EL PAIS: "Solo una guerra o revolución podrían cambiar la clase política" 

El filósofo italiano Gianni Vattimo ha inaugurado esta mañana la cobertura especial que hará EL PAÍS de la 71ª Feria del Libro de  Madrid. Lo ha hehoc a través de un chat con los lectores, en un homenaje a Italia como país invitado a la cita madrileña. 

Los internautas preguntan a Gianni Vattimo

profespa

1. 25/05/2012 - 12:13h.
¿Cómo podría Italia librarse de esa clase política corrupta que no sabe renunciar a sus privilegios? ¿No le parece que hay una ruptura insalvable entre la casta política y el pueblo?
El problema es que la política es como la describía Aristóteles: si tenemos que filosofar filosofamos. Y la política está así. Soy una parte pequeña y extranjera de la clase política. No veo muy bien cómo se puede sin una revolución o una guerra. La historia ha demostrado que estos hechos necesitan de cambios radicales. El problema es quién va a hacer esto. No me gusta lo que hace Monti, es un hombre más de la banca. Pero cómo sustituimos a los políticos actuales? La cuestión es complicada porque en tiempo de crisis de la democracia no hay manera constitucionales de cambiar la constitución sin hacer referencia a la clase política existente. No veo muchas posibilidades de este tipo. Se trata de preparar una nueva ley electoral, con algunos movimientos de masas. Preparar un nuevo parlamento de acuerdo a las exigencias del país. La única esperanza es esta posibilidad de trabajar un poco al interior de las instituciones, no todos son corruptos. Escuchar a los movimientos de calle, una activación de las masas aunque no sea violenta.
 

Juan C. Santos

2. 25/05/2012 - 12:16h.
¿Y si la Democracia fracasa?¿Y si los ciudadanos han perdido el control sobre la política? ¿Es la rebelión la solución?
Se trata de producir revoluciones. Creo que desafortunadamente tenemos que trabjajar mucho para reactivar la política. La mala reputación de los políticos es justificada. No es una invención de los medios de comunicación, y todo esto esconde otras corrupciones. No todo es responsabilidad de la clase política, hay otros poderes que usan la mala fama de la politica para limitar la democracia.
 

Michel Lugo

3. 25/05/2012 - 12:24h.
Existe el desencanto en política. ¿Y en filosofía? ¿Alguna vez lo ha sentido?
Sí. Creo que el desencanto aqui es básicamente porque los fundamentalismos son violentos. La busqueda de verdades absolutas. Esa busqueda es una actitud de violencia. Eso no singifica que la filosofía no tenga nada más que filosofar. Yo intento responder a esto con el pensamiento débil, que es esa tentativa de responder a a ese desencanto elaborando una via para salir de la violencia. Hay un contenido de la filosofia después de la metafisica, elaborar un discurso mas interpretativo y menos obejtivista, con menos pretensiones de corresponder a una realidad innegable.
 

alexanxo

4. 25/05/2012 - 12:28h.
Usted que es un gran conecedor de nietzsche, ¿ que cree que pensaria de esta epoca que nos ha tocado vivir?.gracias.
Nietzsche sería un filósofo adecuado para esta época, no como exacerbación de la vioencia y el poder. El escribió una vez que ahora que Dios ha muerto queremos que vivan muchos dioses Era una posicion de pluralismo cultural. Ser fuertes en una perspectiva de vida. El superhombre no quiere decir el líder de las bandas criminales, sino una persona capaz de interpretar el mundo actual. Tenemos que crear una acitud más individual y característica. Es una buena manera de indicar el camino de la autenticidad. tiene que devenir un sujeto responsable en un mundo pluricultural. Ahora que no hay verdades absolutas hay que tener caridad.
 

Magaly

5. 25/05/2012 - 12:33h.
Cree VD. que la desigualdad entre ricos y pobres, a nivel planetario, tiene visos de corregirse en este siglo?
No lo tiene. Si no se corrige esta diferencia excesiva puede derivar en cuestiones indeseadas. El problema no se reduce a asumir una pérdida de condiciones de vida. Por ejemplo, el día que todos los chinos tengan coche vamos todos a morir porque no habrá gasolina suficiente. Hay que evolucionar en aspectos tecnológicos. Es problema de desarrollo tecnologico y presencia democrático. Hay que desarrollar métodos alternativos. Lenin tenía razón como algo mixto un conjuto de desarrollo tecnológico y presencia fuerte de democracia política, de participación popular en la política.
 

ALS

6. 25/05/2012 - 12:36h.
¿Sigue teniendo sentido la presencia de la filosofía como asignatura específica y común en los planes de estudios de la enseñanza secundaria (Bachillerato en España)?
Es muy importante que esa asignatura permanezca. Me gustaría que hubiera una discplina para todas las carreras. Sin filosofía no hay democracia. Donde no hay una cultura filosófica muy desarrollada ni pensamiento crítico la conciencia política se pierde en la tecnicidad. La tendencia a susttuir la filosofía por asignaturas más prácticas y ténicas es una tendencia al suicidio. La tecnología por sí solo no lleva a nada. NO discute la técnica.
 

José Manuel López García.

7. 25/05/2012 - 12:46h.
¿ El método de la metafísica conduce a una visión violenta del mundo o quizás debería ser llamada violencia semántica?
El problema es que la metafísica como idea es una estructura que se puede conocer como causa primera. Todo esto es una idea de las clases dominantes. El establecer diferencias entre los que saben y no saben. No se trata de inventar formas de saber. Hay que tomar la palabra. Walter Benjamin dice que lo importante es dar la palabra a los que han sido silenciados a lo largo de la Historia. Se trata de desarrollar la filosofía como diálogo subjetivo. No decimos que nos ponemos de acuerdo porque hemos encontrado la verdad, pero podemos decir que encontramos la verda cuando nos ponemos de acuerdo. Es la negociacion entre grupos. La filosofia se desarrolla en ese sentido y así es como podrá tener un sentido útil para la sociedad.
 

Mensaje de despedida

Muchas gracias por las preguntas tan interesantes. Lamento no haber contestado más, pero he tratado de dar unas respuestas un poco más largas. Un saludo a todos

Vattimo: la academia de filosofía itinerante

Vattimo: la academia de filosofía itinerante

El ensayista italiano estuvo de ronda en Buenos Aires dejando a su paso cuestionamientos sobre los conceptos absolutos. “En Europa, hay clima de resignación”, sentenció.

Ñ Revista de Cultura, 23.05.2012. POR Julieta Roffo

El filósofo italiano Gianni Vattimo anduvo por Buenos Aires y, como los futbolistas que se adaptan a distintas posiciones en el campo, se movió en escenarios diferentes y ante públicos disímiles, pero en cada conferencia subrayó dos de sus ideas más importantes: que con el correr de los años –de las décadas, de los siglos– crece lo que él ha llamado “el pensamiento débil”, y que no existe una única verdad sobre un hecho, sino tantas interpretaciones como testigos haya. Para Vattimo, se trata de dos conceptos irrenunciables.
La primera de sus presentaciones fue el domingo 6 en la Feria del Libro: a su cargo estaba la última de las conferencias magistrales de la 38º edición del evento, y ante casi doscientas personas, el autor de El fin de la modernidad, ejemplificó el debilitamiento de los conceptos absolutos a través de la evolución de la figura de Dios: “Antes era algo muy misterioso, muy trascendente, caía un trueno y se le rogaba al Dios del Trueno que no destruyera la propia casa. Con la figura de Jesús aparece un hombre que les dice a sus prójimos que no son servidores de Dios sino sus amigos; eso debilita la primera idea tan fuerte y tan temible”, sostuvo, y agregó que el pasaje entre la unción divina de los reyes medievales hasta las elecciones democráticas actuales es otra señal de ese debilitamiento.
Esos mismos ejemplos utilizó el miércoles 9 en Arte Sin Techo, una Organización No Gubernamental que trabaja con gente en situación de calle desde una especie de casa ocupada –ocupada por sus intervenciones artísticas y por su trabajo constante, desde que emergió en medio de la crisis de 2001– en el corazón de Almagro. Apenas llegó a esa casa, Vattimo bromeó en su castellano casi perfecto: “Parece un centro civil italiano, feo, sucio y malo”. Allí lo escucharon unas veinte personas, en una actividad organizada entre la ONG, el Centro de Excelencia Jean Monnet de la Universidad de Bologna, y el Laboratorio en Humanidades “Política, Estética y Comunicación” constituido por el Instituto Italiano di Cultura y el Servicio de Cooperación y Acción Cultural francés.
En ese segundo encuentro fue en el que el también diputado del Parlamento Europeo profundizó más sobre conceptos filosóficos: Friedrich Nietzsche y Martin Heidegger, a quienes estudió largamente, fueron los más citados ante un público más especializado que el que había llenado la sala Leopoldo Lugones de La Rural, en su mayoría estudiantes universitarios. Sobre los años en los que Heidegger avaló al nazismo, Vattimo intentó una explicación, aunque no una justificación: “Tiene que ver con el lugar que ocupa un filósofo cuando se cruzan dos triunfalismos, como fueron el capitalismo y el comunismo”, señaló. Las intenciones de un intelectual al unirse a un sistema político son claras para Vattimo: “Enseguida el intelectual querrá liderarlo”, sentenció, y destacó el rol de Rusia sobre el final de la Segunda Guerra Mundial aseguró: “Si Rusia no hubiera hecho lo que hizo, liberado lo que liberó, estaríamos completamente dominados, seríamos todos nazis”.
En Arte Sin Techo hubo tiempo para reflexionar sobre el arte y también sobre la política, tema que especialmente interesa a Vattimo y que lo llevó a definir a la Organización de las Naciones Unidas (ONU) como “una organización disciplinaria hasta el día de hoy”. Para el filósofo, “el impresionismo, el cubismo y el surrealismo fueron una defensa de la actividad humana contra la tecnificación de comienzos del siglo XX, cuando se fundaban Ford y Fiat, y el taylorismo se imponía como modelo de producción fabril”. Esa tecnificación, explicó el autor de Adiós a la verdad, se está dando actualmente en Europa, en las más altas esferas del poder político: Mario Monti, el actual premier italiano, economista y con más experiencia institucional que en el barro partidario, es para Vattimo una muestra de esa “tecnocracia” posterior a la renuncia de Silvio Berlusconi, a quien critica duramente cada vez que tiene el margen de hacerlo.
En Europa “hay un clima de total resignación, la gente no ve que le propongan mejoras alentadoras como para orientar su voto hacia allí”, aseguró, y vinculó esto a su idea de dominación: “El dominio hacia el otro se funda sobre la idea de que la realidad es de tal manera, inamovible. Hoy esa realidad la delinean los banqueros, y no los débiles, por eso es importante desterrar el concepto de una verdad única”, dijo Vattimo, a medio camino entre el entusiasmo y la preocupación.
Hay otro concepto que debe ser reformulado, según el italiano: se trata de la esencia, un tema del que la filosofía se ha ocupado largamente. “Un papa, un dirigente político o un filósofo ambicioso puede decirte ‘Esta es tu esencia, tú no lo sabes pero yo te lo digo’”, le dijo a su público atento, esta vez en la Feria, y continuó: “Yo no creo en eso; la única esencia es la libertad de cada uno, que merece ser respetada, y la única verdad posible es la que nos deja ser más libres, aunque acepto interpretaciones porque de eso les hablé toda la tarde”, matizó.
En cada ámbito que Vattimo visitó en una ciudad que define como “una segunda patria”, hubo público atento a su obra y sobre todo a los pensamientos que elabora ante las nuevas preguntas, y que empieza a responder después de tomarse unos segundos la cabeza con las dos manos. Hay una convicción que lo sigue a cada charla: “Hay que ser fuerte para ser uno de los débiles, hay que saber poner la otra mejilla y darse cuenta de que uno no debe ser el violento, porque el orden imperante siempre será más violento que uno”, concluyó. “Y basta”, dijo.